PARROCCHIA DI CAMPOLONGO DI CONEGLIANO  

ritiro  operatori pastorali 2007

.

 

 

   

Collalbrigo 17 giugno 2007

 

  .  

RITIRO CON LA COMUNITA'

Collalbrigo 17 Giugno 2007

 

Abbiamo programmato quest'anno pastorale partendo da Gs 24.

A Sichen Giosuè pone all'assemblea delle tribù di Israele un'alternativa:

servire il Signore o servire gli idoli. Le tribù scelgono di servire Dio.

Anche noi abbiamo fatto questa scelta. Riflettiamo sul cammino compiuto, anche per capire come proseguirlo.Accostiamo a Gs 24 una pagina del NT.

Lc 24,13-35 dice come i discepoli di Gesù hanno reagito alla crisi generata in loro dalla sua morte. Egli li ha invitati ad entrare nella terra promessa del NT, il tempo dello Spirito e della sacramentalità.

Vi propongo due flash per una ricerca da fare insieme.

 

1   Recuperare uno sguardo di fede su quello che siamo.

 

I due discepoli conversavano su tutte le cose che erano accadute, il testo dice: discorrevano e discutevano; dibattevano parole l'uno contro l'altro.

Camminavano ancorati al passato ma con posizioni diverse e contrastanti; erano insieme e nello stesso tempo divisi a causa di Gesù.

La Chiesa in cammino con Dio incontra il mistero e il sacramento.

I problemi che emergono sono due.

- Gesù di Nazaret fu uomo profeta potente in parola e opere ma i sommi sacerdoti e i capi lo hanno consegnato a una condanna a morte e lo hanno crocifisso. Ha Vissuto come i profeti. La fede non lo riconosce risorto.

- I discepoli speravano che Gesù fosse colui che intendeva liberare Israele.

Gesù intendeva un'altra liberazione. Sorgono le domande vere.

Chi era veramente Gesù? Quali possibilità ha la sequela di Gesù?

Qual è il disegno di Dio? Queste domande sono attuali sempre.

Gesù cammina con noi e porta alla luce parole di Dio non comprese.

Rivisitiamo le relazioni della nostra vita personale ed ecclesiale per riconoscere le parole di Dio che sono Importanti ora.

 

       Noi e Dio.

 

Abbiamo trascorso un tempo al seguito di Gesù.

Viviamo in questo tempo, in questa Chiesa, in questa parrocchia.

Siamo chiamati a portare frutto dove Dio ci ha posti.

Ci sono posizioni diverse sul cammino da fare: sono l'una contro l'altra?

E' naturale essere più attaccati al passato che protesi al futuro.

Lo sguardo di fede ci suggerisce che siamo nelle mani di Dio.

Non voi avete scelto me ma io ho scelto voi (Gv 15,16).

Gesù precede. La nostra risposta viene dopo l'iniziativa di Gesù.

 

 

- Recuperiamo la gratitudine.

Dio lavora sempre e lavora bene. Noi siamo fortunati a lavorare con lui.

- Recuperiamo l'umiltà. Siamo idolo, se agiamo senza il crocifisso risorto.

Nei salmi, preghiera ispirata, ritorna spesso questa dichiarazione: il Signore

per me ha fatto meraviglie (cf. Sal 118,16.23; 77,15; 86,10; 136,4).

La nostra preghiera esprime questa consapevolezza?

L'eucaristia ci educa alla gratitudine e all'umiltà; ci insegna a sentirci amati e a inchiodare la nostra volontà alla croce, perché venga il regno di Dio.

Lo sguardo su Dio ci dice che siamo amati e dobbiamo essere umili.

 

    Noi e il mondo

 

Tu solo abiti forestiero in Gerusalemme? Siamo nel mondo ma forestieri.

Siamo una presenza sacramentale. Siamo stati iniziati dalla parola, dai sacramenti e dall'amore. Dobbiamo occuparci di essere efficienti nella pastorale ma non possiamo valutare i risultati in base all'efficienza.

Gesù ci ha salvato nei tre anni di vita attiva, nei trenta di vita nascosta, nei tre giorni della pasqua. Gesù ha salvato tutte le genti stando in Israele.

Vita sacramentale significa che in essa umano e divino dibattono insieme.

Se ci fermiamo all'umano, esso diventa un idolo. Occorre essere abitanti e forestieri, perché Dio non cammina con gli idoli. Non possiamo servire due padroni. Noi speravamo che egli fosse colui che intendeva liberare Israele.

Egli non l'ha fatto non perché impedito ma perché intendeva costruire il suo regno in altro modo. Impariamo a valutare secondo Dio e non secondo gli uomini (cf. Mc 8,33). Recuperiamo lo sguardo di fede sull'umano.

 

        Noi e la Chiesa.

 

il laico non è ancora riconosciuto e capito nella Chiesa.

Dipende da tanti fattori, anche dai laici stessi. Sono preparati ad assumere i loro compiti? Hanno aiutato i pastori a riconoscere il loro ruolo?

Ad esempio, il laici si comprendono ancora partendo dai ministri ordinati.

Così si sentono sottomessi o ribelli ma non complementari.

Occorrono tempi lunghi perché la mentalità del Concilio si realizzi.

Occorre sperimentare e offrire testimonianze.II Vescovo Magarotto ha detto al nostro Consiglio pastorale: La Diocesi ha bisogno di segni forti e voi siete  un segno forte. Una comunità così ha una sua valenza, deve continuare.

Stiamo continuando o siamo in crisi? Cosa ci manca? A Emmaus Gesù non  ha celebrato l'eucaristia, perché mancava la comunità. A Gerusalemme si trovavano gli Undici e quelli che erano con loro e dicevano: Davvero il  Signore è risorto. Dobbiamo anche noi ritornare alla comunità.

L'importanza della comunità è abbastanza assodata?

 

 

E chi ha abbandonato l'impegno? E chi non ha fatto il nostro cammino?

La comunità è il nostro punto forte e insieme il punto debole da rafforzare.

Recuperiamo lo sguardo di fede su di essa. Ad esempio, abbiamo portato la comunità a riflettere sul canto. Ora bisogna che il messaggio sia condiviso e bisogna prendere in mano altre realtà, come i sacramenti.

Occorre che le scelte siano giuste ma anche che risultino giustificate e condivise, altrimenti nella parrocchia si costituiscono due chiese diverse.

Occorre che chi segue il cammino indicato dallo Spirito manifesti agli altri il suo consenso e così contribuisca a comporre i dissensi sulle scelte fatte.

La comunità deve poter assicurare, quando il cammino è contrastato.

I laici devono assumere la loro responsabilità. Quella del parroco e del Consiglio pastorale non  bastano più al nostro cammino di Chiesa.

 

2    Recuperare l'autenticità in quello che viviamo.

 

Essere testimoni nella parrocchia e nella società è fare la fatica che ha fatto Gesù ad essere profeta in patria. Ovunque andiamo diventiamo abitanti di quella realtà ecclesiale e quindi profeti in patria. Le difficoltà più grandi per la pastorale non vengono da fuori ma da dentro la comunità.

Riflettiamo su tre caratteristiche della testimonianza cristiana.

 

        Autorevolezza.

 

Una comunità cristiana è autorevole quando tutti, sacerdote-diacono-consacrati-laici, sono fedeli al loro ruolo e sono riconosciuti fedeli.

La prima comunità cristiana era così.

Accanto ai Dodici c'era il gruppo di uomini e donne e tutti stavano insieme.

Era la comunità a pregare, mandare in missione ed essere informata.

Abbiamo avviato gli incontri dei Consigli con la comunità. Occorre che manifestino la Chiesa. Prima tutto gravitava sul parroco, poi sui Consigli, ora sulla comunità. Oggi la presenza del laico manca o non è ancora definita.

Bisogna essere creativi e rispondere alle esigenze della Chiesa.

Vediamo che le comunità rimaste senza parroco hanno bisogno dei laici.

E' vero anche per le parrocchie in cui c'è il parroco, perché si tratta della natura della Chiesa e non di una necessità contingente. Senza il popolo di Dio non c'è spiritualità ecclesiale e quella personale è limitata.

 

       Crescita

 

La Chiesa è Gesù nella storia e, come lui, è chiamata a crescere in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini. Non siamo arrivati. Gesù

non era venuto per essere servito ma per servire (cf. Mt 20,28). I diaconi scelti per servire alla mense erano pieni di Spirito santo e di saggezza (At 6,3).

Il Signore ci domanda di trovare tempi e modi per curare la saggezza spirituale nell'ascolto, nella preghiera e nella fraternità. Siamo uomini normali, dunque mai garantiti, perché siamo sottoposti ai venti che soffiano tempeste, ai terremoti che devastano, ai fiumi che straripano (Mt 7,24-27).

Non si vive di rendita della fede. Signore, aggiungi fede (Lc 17,5).

Non si vive di rendita del matrimonio. Ravviva il dono di Dio che è in te (2Tm 1,6). Non si vive di rendita della fraternità. Non è facile agire insieme:

ognuno ha una sua visione, una sua reticenza, una sua riservatezza.

E' necessario crescere in una compagnia spirituale fissa, seria, serena, esigente e capace di aiutare, perché nessuno cammina verso Dio da solo.

 

       Unità.

 

Stavano insieme (At 2,44). I laici appartengono al corpo della Chiesa, non possono stare soli ma devono vivere nella comunione sacramentale.

La presenza costante nella comunità esprime e nutre l'appartenenza.

In un mondo conflittuale la Chiesa è segno quando è tessitrice di unità.

La Chiesa non è fondata sull'organizzazione ma sulla relazione di amore.

L'unità si realizza non nel lamentare ma nel benedire.

La parola e la lode esprimono la benedizione.

 

 

il servire il Signore nell'ascolto e nella lode

genera cammini ulteriori.

 

Sulla via di Emmaus Gesù ascolta i discepoli, cammina con loro ed evoca con loro le parole che i profeti avevano detto su di lui.

Egli le aveva ascoltate a lungo, fino ad accettare che si adempissero nella sua vita, fino ad essere battezzato in esse.

Le propone ai discepoli perché percorrano il cammino indicato dallo Spirito.

Occorre che la parola e la liturgia aggiungano fede alla fede e diventino testimonianza comunitaria.

I discepoli dicono al Risorto: Resta con noi, Signore, perché si fa sera.

Anche nella nostra comunità si fa sera: tempo di riposo e di bilancio.

Gesù rimane per benedire Dio e spezzare il pane.

Benedire e condividere sono i percorsi suscitati dalla parola e necessari perché il disegno di Dio si compia. Siamo chiamati a recuperare l'esperienza della comunità del Risorto descritta negli Atti. Allora la comunità diventerà testimone e amica, donando agli altri quello che Dio le ha manifestato.

scarica il file 

 

 

Pagina a cura del gruppo internet della Parrocchia dell'Annunciazione di Campolongo di Conegliano (TV)