Omelie
di Avvento 2006
a cura di
don Carlo Salvador
03.12.06
AVVENTO 1
C 2006 |
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08.12.06
IMMACOLATA 2006 |
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10.12.06
AVVENTO 2 C 2006 |
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17.12.06
AVVENTO 3 C 2006 |
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24.12.06
AVVENTO 4 C 2006 |
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AVVENTO
1 C
2006
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In
queste quattro domeniche di avvento riflettiamo sulla seconda
lettura. Tre brani sono tratti dalle lettere di Paolo e uno
dalla lettera agli Ebrei. Sono testi che riflettono la
predicazione della Chiesa delle origini, l’applicazione del
vangelo alla vita cristiana.
Li
meditiamo nel contesto del brano evangelico che caratterizza
la liturgia domenicale.
o
Paolo insegna ai cristiani che il Signore
nostro Gesù Cristo viene con tutti i suoi santi.
Il
pensiero corrisponde al vangelo, che annuncia i segni che
precedono la fine dei tempi e il Figlio dell’uomo che viene
sulle nubi con potenza e gloria grande. La bibbia si chiude
con questa preghiera: Vieni, Signore Gesù! C’è
grande differenza fra i primi cristiani e noi, che invece
chiediamo che la morte non venga o che venga più tardi
possibile.
Chi
desidera Gesù più della sua vita ha una fede grande in lui.
Questa fede non è facile.
Gesù
ci invita a vegliare per avere da Dio la forza di stare
di fronte a lui che viene.
o
Paolo spiega ai cristiani del suo tempo come
riempire l’attesa della venuta di Gesù.
Per
incontralo serenamente bisogna credere con forza. Come
raggiungere questa forza?
Il
Signore vi accresca e vi faccia abbondare nell’amore gli uni
per gli altri e verso tutti. L’amore ai fratelli della
comunità e a tutti gli uomini è quello che Gesù esige dai
suoi discepoli, il suo comandamento. Sappiamo già che pregare
con il cuore diviso da un fratello vanifica la preghiera e che
l’amore al fratello che vediamo è segno dell’amore a Dio
che non vediamo. Ma amare così è impegnativo. L’avvento è
il tempo propizio per chiedere a Dio che ci dia la forza di
amare i fratelli. Infatti Paolo scrive che è il Signore che
accresce e fa abbondare nell’amore; egli dona lo Spirito, la
forza divina dell’amore.
o
Paolo motiva il suo annuncio così: l’amore
conferma i cuori, li rende irreprensibili nella santità
davanti al Padre nostro celeste. I cristiani hanno nel
cuore la santità che è stata loro donata nell’iniziazione
cristiana ma, perché il loro cuori siano irreprensibili
davanti al Padre, occorre che la santità sia confermata
continuamente dall’amore fraterno.
Per
farlo i cristiani hanno bisogno ancora della grazia di Dio,
perché la spiritualità cristiana dipende prima di tutto da
quello che Dio opera in noi.
o
Paolo richiama il cammino spirituale che la
comunità di Tessalonica ha fatto con lui: Voi conoscete
quali norme vi ho dato nel Signore
Gesù. Il pastore dà alla sua comunità le norme di vita,
indica il camino da fare nei vari tempi e contesti in cui la
comunità vive.
Lo
fa in virtù del sacramento dell’ordine che opera in lui e
del dialogo con la comunità negli organismi di partecipazione
alla vita ecclesiale. Il parroco fa riferimento al Consiglio
pastorale e a tre gruppi parrocchiali, che in passato erano
dette “Commissioni”.
Il
gruppo dei catechisti dei piccoli e degli adulti che
annunciano la parola secondo il piano pastorale della
parrocchia. Ad annunciare si impara testimoniando insieme.
Il
gruppo liturgico che cura la formazione alla liturgia,
i ministeri e gli animatori liturgici, l’avvicendamento
delle persone in modo che tanti possano esperimentare la
partecipazione attiva, la promozione di celebrazioni
significative ed educative per la comunità. Nel nostro
passato abbiamo fatto belle esperienze affidandoci alla
spontaneità. Mercoledì scorso abbiamo formato un gruppo
liturgico nuovo con persone che hanno approfondito la
liturgia: siamo in grado con loro di offrire un servizio
migliore.
Il
gruppo che anima le attività del Circolo parrocchiale,
infine, favorisce l’accoglienza e le relazioni di fraternità
con iniziative come l’oratorio, il grest e gli spazi aperti.
Nelle
domeniche di avvento i bambini del catechismo attendono Gesù
costruendo il presepio. E’ bello che noi grandi attendiamo
Gesù costruendo la comunità indicata nella lettera di Paolo,
una comunità che, nel nome di Gesù, vive l’amore ai
fratelli.
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IMMACOLATA
C 2006
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Il
giorno in cui celebriamo l’inizio della vita di Maria nel
seno di sua madre la liturgia ci propone l’inno che apre la
lettera agli Efesini. Abbiamo proclamato 6 versetti su 12.
Applichiamone
alcuni a Maria e a noi: ci sentiremo partecipi a una vocazione
comune.
o
Il Dio e padre del nostro Signore Gesù
Cristo è/sia benedetto.
Anche
Maria benedice Dio. E disse Maria: Magnifica l’anima mia
il Signore ed esultò il mio spirito in Dio, mio salvatore.
La vita di Maria non ha la ragione di essere in se stessa o in
qualcuno nel mondo ma esulta in Dio. Ogni vita trova la gioia
in Dio che la genera.
Maria
è donna, nata come noi da due genitori, ma vive per Dio,
l’amore della sua vita.
Nel
suo Magnificat non benedice il figlio che le era stato
annunciato, ma Dio e quello che è per lei. Maria prima che
madre di Gesù si sente creatura amata di Dio: è sua figlia.
Riscoprire Maria come figlia di Dio, significa vederla come
Gesù e come noi, entro la vocazione comune a tutta l’umanità:
essere figlia è per lei più bello che essere madre. Come per
me e per il papa è più bello essere figlio di Dio che essere
suo ministro.
Impariamo
da Maria a benedire Dio e la vita creta da lui. I cristiani
commettono due brutti peccati:
bestemmiano Dio e parlano male dei fratelli. Smentiscono in
modo brutale il comando dell’amore e la propria dignità.
Come possiamo dire male di Dio o di Cristo o dei ministri che
egli si è scelto e consacrato o dei cristiani, che sono
membra di Cristo?
Maria
non ha detto male di nessuno; anche se tanti si comportavano
male o vivevano scelte diverse dalla sue o si opponevano a Gesù.
Maledire è tradire la dignità della vita.
Perché
benedire Dio? Per quello che lui è: la bellezza piena, la
santità totale, il bene.
Tutto
ha origine da Dio. Tagliamo il ramo su cui siamo seduti? Paolo
scrive: Piego le mie ginocchia
verso il Padre, da cui ogni stirpe nei cieli e sulla
terra è nominata.
Maria
è vergine, prima di essere madre, e lo è per l’amore
totale di Dio a lei e suo a Dio.
Alcuni
non credono che Maria è vergine prima del parto, nel parto e
dopo il parto.
Eppure
è l’evento bello, voluto da Dio non in rapporto al corpo e
alla sessualità, ma come segno ed effetto della consacrazione
che lega Maria e Dio.
Maria è innanzitutto vergine per Dio: vive sulla terra come
si vive in cielo. Non si unisce a un uomo perché è unita a
Dio con amore totale. Dio vuole che sia segno di questo.
o
Dio ci ha benedetto con ogni benedizione
spirituale nei cieli in Cristo.
La
natura di Dio è benedire; dice bene di noi. Le benedizioni
che Dio dice sono in Cristo. L’inno lo ripete ad ogni opera
che Dio compie. Dio non fa niente fuori di Cristo, neppure
Maria. Significa che nessuna creatura è amata da Dio come Gesù:
egli è il Figlio amato.
Maria
è madre di Dio, ma secondo il mistero di Dio che egli solo
conosce e non secondo l’esperienza umana. Dante ha composto
un verso che la liturgia ha accolto nell’ufficio delle ore: Vergine
madre, figlia del tuo figlio. Come possa essere figlia del
figlio noi non lo comprendiamo. L’inno ci aiuta a capire che
Maria è figlia di Dio in Gesù. Tutte le cose furono fatte
per mezzo del Verbo e senza di lui non ne fu fatta neppure una;
dunque neppure Maria. Madre di Dio non significa che genera
Dio o che è più grande di Gesù o che non è parte della
famiglia umana. Maria non è niente senza Cristo e senza
la Chiesa.
o
Dio ci ha scelti per essere santi e
irreprensibili davanti a lui nell’amore. L’amore viene
da Dio e ci fa vivere come Dio, il santo. Siamo santi già ma
non ancora realizzati in tutto.
Oggi
la liturgia presenta Maria nel contesto del peccato
dell’uomo, della promessa del Salvatore e
dell’annunciazione a Maria. Maria è compimento
irreprensibile del disegno di Dio; noi siamo già entro questo
disegno ma dobbiamo compierlo con la generosità
irreprensibile di Maria, che è figlia di Dio, vergine per
Dio, madre del Signore e nostra.
Pensiamo
quante benedizioni abbiamo ricevuto abbiamo ricevuto da Dio e
quanto amore abbiamo dai fratelli. Maria interceda per noi
perché possiamo dire bene di Dio e dei fratelli con le parole
e con la vita.
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AVVENTO
2 C
2006
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Il
profeta Baruc annuncia a Gerusalemme: Sorgi, e guarda i
tuoi figli, che erano dispersi, ora riuniti, alla parola di
Dio. Egli spiana la strada perché Israele proceda sicuro
sotto la gloria di Dio. Il vangelo propone in modo solenne
la predicazione del Battista. La sua parola infatti è quella
di Dio: la parola di Dio scese su Giovanni. Il suo
pubblico è tutto il mondo; infatti annuncia: ogni uomo
vedrà la salvezza di Dio. Il Battista è più che un
profeta, è preparato da Dio fin dalla nascita per tener desta
in tutti l’attesa della salvezza.
Egli
riprende l’immagine della strada usata dai profeti: preparate
la via del Signore.
La
strada è tracciata dal Signore e gli uomini la preparano
raddrizzando i sentieri che Dio aveva percorso con loro nel
passato, quando erano recalcitranti, abbassando i colli e
riempiendo i burroni, raddrizzando i passi tortuosi e
spianando i luoghi impervi.
Se
Dio viene per salvare gli uomini, essi non possono rimanere
come prima ma, nella loro libertà, devono rendere possibili i
cambiamenti radicali richiesti per essere salvi.
Il
salmo 125, che abbiamo pregato, è una composizione bella e
descrive il ritorno di Israele dall’esilio come un evento di
gioia. Quando arrivano, gli esuli ricostruiscono tutto dalle
rovine e riorganizzano la vita della comunità, perché viva
fedele all’alleanza con Dio. L’esperienza dolorosa
dell’esilio e il ritorno nella gioia e nella speranza dona
loro la grazia e la forza di ricominciare, di scrivere una
pagina nuova nella storia della salvezza.
o
La nostra comunità è chiamata a preparare la
venuta di Gesù con maturità di fede.
Ascoltiamo
come Paolo educa a una fede adulta i Filippesi, una comunità
che egli aveva fondato verso l’anno 49. Paolo dimostra
calore affettivo ma anche profondità teologica.
Pietro,
alla fine della seconda lettera, scrive: il nostro fratello
Paolo ha scritto secondo la sapienza che gli è stata data;
nelle sue lettere ci sono punti difficili da capire, e gli
ignoranti e i deboli li stravolgono per la loro propria
perdizione. A volte per dire cose semplici, che tutti
capiscono, si finisce con il trascurare di parlare del
mistero, delle cose che Dio vuol dire e così si stravolge la
verità, perché si dà importanza a quello che non la ha e si
perdono le cose più preziose. Il mistero non è mai facile e
chiede ricerca continua: cercate e troverete. Occorre
l’ascolto paziente di tutta la parola anche di quella
difficile.
Ascoltiamo
quello che Paolo scrive alla comunità cristiana di Filippi,
come rivolto a noi.
Ringrazio
Dio ogni volta che vi ricordo. Il ricordo suscita le
emozioni religiose che l’apostolo ha conosciuto insieme con
la comunità, vivendo con essa ciò che predicava.
Prego
per tutti voi con gioia, per la vostra comunione per il
vangelo. La preghiera di Paolo è suscitata da ciò che
egli ha sperimentato: l’accoglienza concorde del vangelo.
Una
comunità prega con gioia quando accoglie il vangelo insieme,
in profondità e verità.
Sono
persuaso che colui che ha cominciato in voi l’opera buona la
completerà fino al giorno di Cristo Gesù. Paolo non
cerca il risultato subito, prima di vivere la parola.
Ogni
esperienza nuova chiede un cambiamento, può incontrare
resistenze e fatiche, ha bisogno di tempo e di pazienza ma, se
viene da Dio, egli la completerà con pazienza.
Vi
porto nel cuore perché siete partecipi con me della grazia, e
nelle mie catene e nella difesa e nel consolidamento del
vangelo. Paolo porta i cristiani nel suo cuore, ma il suo
non è semplice amore umano. Egli li ama perché li sente
partecipi con lui della grazia, perché partecipano anche alle
sue catene sostenendolo nella persecuzione, e perché
contribuiscono al consolidamento del vangelo, lavorando con
perseveranza, convinti che il Signore lo fa crescere nel tempo
che egli dispone fino alla venuta gloriosa di Cristo.
A
quindici giorni dal Natale la nostra comunità
continua a cercarne il senso, a chiederne la grazia e a
proporlo come venuta che
porta gioia nella
misura in cui diventa
salvezza.
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AVVENTO
3 C
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L’avvento
quest’anno è breve: solo 22 giorni. Nella liturgia risuona
l’esultanza perché il Signore è vicino. Il Battista nella
regione del Giordano annuncia al popolo una bella notizia: Gesù
viene a riordinare la vita, come il contadino allora, dopo
aver battute le spighe nel suo cortile, metteva ordine,
raccoglieva il grano nel granaio e bruciava la pula.
Anche
la vita spirituale ha bisogno di essere riordinata: bisogna
staccarsi dagli idoli che hanno preso posto in noi e ritornare
al Dio della vita. Questo riordino viene chiamato penitenza:
togliere dalla propria vita il peccato che la intacca come la
ruggine intacca il ferro. Si chiama anche conversione, perché
è il ritorno alla relazione profonda con Dio, nostro padre.
La conversione e la penitenza si esprimono in un rito che
unisce umano e divino, nel quale Dio ci consacra e noi
condividiamo nella comunità del Risorto la direzione da dare
alla vita. E’il rito del battesimo. Nell’AT, dall’inizio
fino al Battista, esisteva il battesimo di acqua, un segno
religioso antico, che l’umanità ha sempre praticato nei
momenti della conversione a Dio che veniva a riordinare
l’esistenza umana.
Il
diluvio è stato un rito battesimale, in cui Noè e la sua
famiglia sono stati salvati dalle acque perché erano decisi
di servire il Signore ed egli li ha raccolti nell’arca. Gli
altri uomini, che si sono ostinati nel seguire le proprie vie
contrapposte a quelle del Signore sono stati sommersi dalle
acque. Il passaggio del Mar Rosso è stato un battesimo, perché
attraversando le acque del mare il popolo ebreo, guidato da
Mosè, arrivò all’altra riva e compì un cammino con il
proprio Dio, un cammino libero dagli Egiziani e dai loro dei.
Gli
Egiziani che si opponevano al Dio degli ebrei vengono affogati
nelle stesse acque. Anche il battesimo di Giovanni era un rito
nell’acqua. Chi accoglieva la buona novella predicata da
lui, si convertiva a Dio che veniva a riordinare la vita,
mediante l’incontro con Gesù, il nuovo Mosè che conduce a
una nuova terra promessa. Gesù infatti entra con il popolo
nel rito battesimale di Giovanni per uscire dall’acqua con
lui, e accogliere il vangelo e la remissione dei peccati e per
diventare figli di Dio. Quando Gesù è stato battezzato
nell’acqua si aprirono i cieli su di lui, discese lo Spirito
e la voce del Padre lo riconobbe come figlio amato. Il
battesimo nell’acqua diventa battesimo nello Spirito.
Quelli
che non si sono convertiti e non sono entrati nel battesimo di
Giovanni non hanno incontrato Gesù e non sono stati
battezzati nello Spirito. Si compie la parola del Battista: Io
vi battezzo con acqua, ma colui che viene vi battezzerà in
Spirito santo.
Il
Natale ci aiuta a celebrare il Signore che si fa vicino a noi,
non più come un bambino ma come il Risorto, che porta un
ordine nuovo nella vita e ci battezza nello Spirito santo.
Da
qui nasce la gioia annunciata dal profeta Sofonia. Il Signore
viene in mezzo alla comunità che celebra il suo natale nella
vita umana e toglie da essa la sventura, il male del peccato
che ha interrotto la gioia del paradiso sulla terra. Egli è
un salvatore potente.
Egli
esulta di gioia per noi, perché siamo liberati, come noi
gioiamo per le persone che amiamo quando raggiungono la meta
per cui lottano e vivono. Egli ci rinnova con il suo amore.
Dio fa cose nuove che rinnovano la vita e sono fonte di gioia.
Dio si rallegra con noi, fa festa insieme. La domenica è il
giorno del Signore in cui godiamo le sue opere, in particolare
la parola e l’eucaristia; è il giorno della comunità e
della gioia.
Paolo
scrive ai cristiani di Filippi: Non angustiatevi per i limiti
della vita; siate affabili con tutti e affidatevi a Dio che
vive in mezzo alla sua comunità.
La
pace di Dio custodisce i pensieri e i cuori. In Gesù Dio
mostra il volto misericordioso,
toglie il peccato e ci dona il suo Spirito. E noi
possiamo amare i fratelli come lui ci ha amato e ci ama. Se
tutti accogliessero Gesù così, la terrà ritornerebbe il
paradiso.
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AVVENTO
4 C
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La
notte prossima celebriamo il natale del figlio di Dio nella
carne: meditiamo il brano della lettera agli ebrei che abbiamo
ascoltato. L’autore fa un confronto tra il sacrificio
offerto da Gesù e i sacrifici che i Leviti offrivano nel
tempio. E’ un testo difficile ma importante per celebrare
bene il natale. I testi difficili sono quelli che dicono il
mistero.
Dio
mantiene la promessa fatta all’uomo dopo il peccato e ci
manda Gesù, il salvatore.
o
In che modo Gesù ci salva? Israele, per espiare
i peccati e per rinnovare l’alleanza, offre a Dio sacrifici.
L’offerta dei sacrifici era il modo con cui tutti i popoli
vivevano il culto al loro
Dio. In Israele i sacrifici erano solenni: offerti nel
tempio e regolati dalla legge.
Dio
però non gradisce questi sacrifici, perché non tolgono il
peccato e non rinnovano l’alleanza. Dio prepara un corpo
perché il suo Figlio diventi uomo. Il Figlio si offre di
venire nel mondo per fare la volontà del Padre. Questo testo
rivela cose mirabili:
1.
Dio stesso prepara il sacrificio che salva e lo fa
nella potenza dello Spirito santo.
L’incarnazione
del Figlio è il primo atto di questo sacrificio. Infatti Gesù
nasce per offrire il sacrifico gradito al Padre, perché
toglie il peccato e rinnova l’alleanza.
Gesù
è uomo e Dio e quindi realizza nella sua persona l’alleanza
che toglie il peccato.
Noi
conosciamo come ciò è avvenuto. Gesù ha annunciato il
vangelo, confermandolo con i segni che Dio aveva indicato
attraverso i profeti, e ha realizzato la volontà del Padre
bevendo il calice della passione e della morte. Due grotte
racchiudono simbolicamente la vita di Gesù: quella in cui
nasce a Betlemme e quella in cui è sepolto a Gerusalemme. Gesù
è fuori misura per i nostri metri di misura: è piccolo per
noi ma grande per Dio.
2
Il sacrificio di Gesù
è deciso/compiuto dagli uomini, che lo fanno in modi diversi.
Israele
mette Gesù in croce per essere fedele alla legge, in base
alla quale giudica Gesù bestemmiatore; sradica Gesù dalla
pianta in cui era germogliato, il tronco di Jesse.
Dio
vive il sacrificio di Gesù in modo diverso: Gesù offre se
stesso in dono al Padre e all’umanità, il dono più grande
che possa fare, perché manifesta l’amore fino alla fine, e
il Padre gradisce, perché riconosce Gesù come il figlio
amato, risuscitandolo dai morti.
Il
sacrificio di Gesù contiene la nuova alleanza, un’alleanza
eterna sigillata nel sangue.
Il
Natale di Gesù è la primizia, il primo atto, del perdono dei
peccati e dell’alleanza.
3
La Chiesa
celebra il sacrifico di Gesù partecipando all’atto di amore
di Gesù. Egli, figlio di Dio e figlio dell’uomo, viene
ora in mezzo a noi, risorto, perché anche noi possiamo
compiere la volontà del Padre, offrendo con lui la nostra
vita, perché l’umanità sia liberata da peccato e viva
nell’alleanza. Il sacrifico vero continua nella storia.
Dio
prepara un altro corpo a Gesù: è
la Chiesa
, formata dalle varie membra che crescono in Gesù. Esse
possono offrire il loro atto d’amore a Dio e all’umanità,
nel sacrifico dell’eucaristia, il sacrifico di Gesù e il
sacrificio della Chiesa, sua sposa.
Il
sacrificio che Dio gradisce è la morte che genera vita,
offerta gradita a Dio, perché salva l’umanità dai suoi
peccati e la riconduce sul monte del banchetto
dell’alleanza.
Non
c’è paragone con i sacrifici che si offrivano nel tempio
nella solennità delle feste.
Il
vero culto, come ha spiegato Gesù alla Samaritana, avviene in
spirito e verità: in spirito perché è lo Spirito
santo che rende possibili tutte queste cose e in verità,
perché la riconciliazione dell’uomo con Dio è vera quando
avviene in Cristo, che è sacrifico vero.
Viviamo
la vigilia del natale meditando questo mistero che ci rivela
che il natale di Gesù può essere anche il nostro, perché
siamo resi capaci di offrire con lui il sacrifico che Dio
gradisce e che salva l’umanità. La nascita è sempre legata
alla vita: la vita di Gesù e la vita della Chiesa. Preghiamo
perché
la Chiesa
possa vivere il natale in Spirito e verità.
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