Omelie
di Natale
a cura di
don Carlo Salvador
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NATALE
2005 nella notte
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NATALE
2005 nel
giorno
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MARIA,
MADRE DI GESU’ 2006
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EPIFANIA
B
2006
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BATTESIMO
DI GESU’
B
2006
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NATALE
2005
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La
notte di Natale si apre con questo annuncio divino: è nato nel
mondo il salvatore. Celebriamo la liturgia per contemplarlo nei
suoi misteri e partecipare alla sua gloria.
Dio
ha compiuto un evento che ha cambiato ovunque e per sempre la
creazione.
Noi
entriamo in esso qui ed ora, in questo momento della vita nostra e
del mondo.
La
parola che abbiamo proclamato ci sollecita a comprendere alcune
cose.
Il
censimento è un atto di governo: censire le persone e i beni
permette di conoscere e intervenire secondo le priorità che
emergono e gli interessi dell’impero. Mentre Cesare augusto
governa si compiono i giorni che Dio ha programmato: anche Dio
governa.
Compie
l’evento centrale della storia della salvezza. E’ un fatto
primordiale che renderà possibile il realizzarsi del disegno di Dio
nella storia e la salvezza del mondo.
Maria
dà alla luce il figlio, lo avvolge in fasce e lo depone nella
mangiatoia.
Ad
accogliere il bambino vediamo in primo piano la madre, che accudisce
Gesù da sola.
Ma
il testo ci educa a cogliere l’amore del Padre e quello che fa lui
per il figlio.
Attraverso
l’angelo annuncia la nascita ai pastori e li accompagna a
incontrare Gesù. Perché i pastori?
Perché appartengono ai poveri che Dio predilige. Gesù prega
il padre così “Ti benedico, o Padre, perché hai tenute queste
cose nascoste ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai
piccoli”. Gesù nasce e vive povero, come loro, per entrare in
relazione con tutti. Perché i pastori rappresentano i peccatori,
che sono separati da Dio.
Secondo
una antica lettura ebraica il segno che il Messia era arrivato
sarebbe stato lo sterminio dei pastori, che rappresentavano
l’impurità, per la loro familiarità con gli animali e per la
loro illegalità, perché, a causa del loro lavoro, non
partecipavano alla vita familiare, religiosa e sociale. Gesù non
porta lo sterminio ma nasce nelle loro condizioni. Non c’era posto
per lui e i suoi genitori nell’albergo. Il Padre poi, sempre
attraverso l’angelo, indica il segno; agisce nella parola ma anche
nei segni della realtà che cambia. Il bambino è posto in una
mangiatoia. Perché? Il Signore, in Is 1,3,
scrive: “Il bue conosce il proprietario e l’asino la
greppia del padrone, ma Israele conosce e il mio popolo non
comprende”. Nel Natale le cose si capovolgono: il popolo può
comprendere, perché Dio si rende presente là dove può essere
visto e conosciuto.
L’usanza
di porre l’asino e il bue nel presepio, accanto al bambino, non
trova riscontro nel racconto della nascita ma in questo testo di
Isaia, interpretato dai Padri. La greppia, l’asino e il bue ci
educano ad essere umili, a farci compagni di tutti e a riconoscere
la presenza del Signore in mezzo a noi nei segni umili. I pastori,
udito l’annuncio, corrono dal bambino, come Maria, dopo
l’annunciazione, era corsa dalla cugina Elisabetta.
Tre
elementi accompagnano coloro che odono l’annuncio vero e
contemplano il bambino nei suoi segni. Sono le credenziali del
natale, che indicano chiaramente se esso accade veramente oggi nella
nostra vita e nel mondo: la gloria, la pace e la gioia.
La
gloria di Dio può essere vista solo in cielo: dagli angeli e dai
santi. Dio ci rivela che il natale è la sua gloria. Se soffriamo
vedendo come oggi si sciupa il natale, anche dai cristiani, se noi
stessi gioiamo più attorno alla tavola e ai regali che
all’eucaristia, incoraggiamoci ricordando che oggi in cielo si
canta la gloria del Padre.
La
pace è il frutto che il Natale dona alla terra. Non nasce dagli
uomini di buona volontà altrimenti per gli altri non ci sarebbe
pace, nasce dal fatto che Dio ama. Finché ci ama
tutti,anche i peccatori,
possiamo vivere la pace. La gioia è per tutto il popolo di
Dio, che vede l’avverarsi della sua promessa. Buon natale:
avvenga anche oggi per tutta l’umanità quello che è avvenuto
nella nascita di Gesù: la gloria, la pace e la gioia.
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NATALE
2005, nel giorno
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Questa
liturgia non racconta la nascita, come la messa nella notte, ma
rivela il suo mistero da contemplare. Apre con due constatazioni: un
bambino è nato per noi.
Il
bambino va contemplato nella missione che svolgerà: è nato per,
vive per salvare.
Un
figlio ci è stato donato. Il bambino è figlio. Gesù si chiama
“figlio dell’uomo”, Dio lo chiama “figlio amato”. E’ un
figlio donato all’umanità. Il Padre si priva di lui, gli prepara
un corpo e lo invia; il Figlio veste la nostra carne e diventa
creatura in una umanità
decaduta. E’ un figlio donato dall’umanità a Dio: nasce al
mondo per nascere al cielo nella risurrezione. Per noi il natale è
l’aurora di un nuovo giorno, molto bello. Il Figlio di Dio sposa
l’umanità e la porta a diventare consorte di Dio. Celebrare il
natale è entrare dentro questo evento che cambia la vita, perché dà
il via alla vittoria della vita sulla morte. Diamo un volto al
natale, quello disegnato dalla parola di Dio.
1
Natale è stare in Dio. La parola era in principio, la
parola era verso Dio, la parola era Dio. Ci chiediamo ancora: il
mondo è stato creato o è evoluzione della materia?
Non
accontentiamoci delle risposte provvisorie. Il vangelo oggi inizia
con la parola arch. L’arch,
il principio, sta altrove. Il principio è Dio
con la sua Parola, l’uno verso l’altro, la loro comunione. Ogni
comunione è per sua natura feconda. La parola e chi la dice sono
comunione feconda. Dio fa tutte le cose nella parola vivente,
nell’unione con colui che ha generato. La comunione è la vita che
splende nelle tenebre. L’inizio del mondo non è nella creazione o
nell’evoluzione ma è nella comunione feconda. Lì è in nostro
habitat e il nostro arch.
Ha poca importanza sapere come siamo diventati
così, importante è sapere chi siamo e che siamo dalla comunione
trinitaria. Dobbiamo imparare a stare lì, pensarci espressione di
questa comunione, nati per parteciparvi, mai contenti finché non
riposiamo in Dio. Non viviamo senza Dio, in balia delle mode
culturali, dei corsi e ricorsi storici, schierati con i dominatori
di questo mondo, ma manteniamoci liberi di abitare il nostro arch,
il vivere in Dio.
2
Natale è vivere adombrati. La luce splende nelle tenebre ma le
tenebre non la accolgono. Fra luce e tenebre c’è
incompatibilità; l’uomo in questo mondo non può vivere né nella
luce sfolgorante, come fusi in Dio, né nella tenebra oscura, senza
Dio. Ma Dio dona un’altra possibilità di vita. L’angelo dice a
Maria: la potenza dell’altissimo ti adombrerà. La
corporeità adombra Gesù, per cui la sua vita divina non acceca,
non si impone con la sua forza ma traspare agli occhi di chi lo
cerca e crede. La divinità adombra la nostra umanità
divinizzandola. Abitiamo l’ombra composta di
luce e di tenebra, che si permeano finché nella risurrezione
i nostri occhi vedranno Dio. La fede convive con il dubbio, la
grazia con il peccato, la gioia con la croce. Il mondo appartiene
alla parola ma esso non la vede, gli uomini sono di Gesù ma essi
non lo accolgono. Bisogna fare il cammino di ricerca che porta a
conoscere il mistero di Gesù incarnato. Bisogna che, come
all’aurora di ogni giorno, ci lasciamo permeare gradualmente dalla
luce. Solo chi conosce Gesù lo può accogliere.
3
Natale è abitare il nostro tempo perché tutta la terra veda
la salvezza del nostro Dio.
La
luce vera illumina ogni uomo. Ogni uomo è chiamato a conoscere
l’unigenito del Padre e ad attingere alla sua pienezza di grazia e
di verità. Maria non ha tenuto Gesù per sé ma lo ha dato ai
pastori, ai magi e a dodici anni lo ha lasciato nelle cose del Padre
suo per sempre. Sono i discepoli, le folle e la bella testimonianza
di fronte a Pilato e al sinedrio. La Chiesa è il luogo in cui la
fede e la grazia date a ognuno sono condivise. Perché? Per essere
forza lievitante. La Chiesa non esiste per giudicare il mondo ma per
salvarlo, perché Gesù è salvatore. Abbiamo meditato tre tratti
del volto del natale: stare nella comunione divina, principio e
culmine della nostra vita, lasciarci penetrare progressivamente
dalla luce di Dio, abitare il nostro tempo come lievito nella pasta
perché il mondo si salvi. Diciamo grazie nell’eucaristia che
celebriamo e Gesù ci faccia vivere nella comunione feconda di Dio e
della Chiesa.
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MARIA,
MADRE DI GESU’ 2006
Una
celebrazione affollata di eventi, poco ordinati fra loro, quasi più
celebrazioni unite.
Per
la gente è il primo giorno dell’anno civile. La celebrazione non
ne tiene conto, perché l’anno liturgico, che celebra la storia
della salvezza, inizia con l’avvento. L’anno nuovo propone in
particolare il tema della pace, bene grande, dono di Dio portato da
Gesù.
La
gente, per lo più ancora assonnata per la festa dell’ultimo
dell’anno, non entra facilmente nel tema celebrativo proposto
dalle letture odierne. Il vangelo prende le mosse dalla grotta dove
Gesù giace nella mangiatoia e fissa l’attenzione sui pastori.
Essi
riferiscono a Maria e Giuseppe ciò che l’angelo aveva detto loro
del bambino.
Sono
dunque angeli, messaggeri di Dio per i genitori di Gesù. E’
interessante questo.
Dio
parla a tutti, anche agli eletti e ai santi, tramite gli ultimi e i
piccoli, qui rappresentati dai pastori. Anche Maria era stata
aiutata a capire il mistero che si compiva in lei da Elisabetta,
anziana e sterile. Questo stile di Dio ci mette in guardia dal
frequentare i grandi, credendoli depositari della verità, e ci
avverte che i messaggi di Dio, proprio perché sono per tutti,
passano per i piccoli ed umili che li hanno accolti nella loro vita.
Tutti
si stupiscono delle cose che i pastori dicono, anche Maria e
Giuseppe.
I
pastori poi ritornano al loro gregge glorificando e lodando Dio.
Dare gloria a Dio per quello che egli rivela e compie appare qui un
dovere e un bisogno. Eppure non è scontato che noi, cristiani di
oggi, che siamo testimoni di tante cose che Dio compie e rivela,
rendiamo gloria a Dio nella preghiera e nel nostro discorrere
quotidiano.
La
nostra attenzione oggi è richiamata su Maria che veneriamo come
madre di Dio.
L’espressione
è stata coniata nel Concilio di Efeso, quando molti padri
conciliari non erano presenti, compresi i rappresentanti del Papa;
diciamo sotto pressione popolare.
Si
pone quindi un problema di ermeneutica, cioè di comprensione dei
termini usati.
La
Scrittura è più sobria. Paolo scrive che Dio, quando venne la
pienezza del tempo, inviò il figlio suo, fatto da donna. Gesù
dunque è il figlio di Dio generato e partorito da donna. Il
vangelo, ancora più sobriamente, chiama Maria, la madre di Gesù, e
la coppia Maria e Giuseppe, i genitori di Gesù. Maria è madre di
Gesù, figlio dell’uomo, come Gesù stesso si è chiamato, e
figlio di Dio, come il Padre lo ha chiamato quando lo risuscitava ai
morti. Si tratta di una
relazione unica, che fa di Maria una donna che gode, dopo Gesù,
della più stretta relazione con Dio e della più grande santità,
colei che tutte le generazioni chiameranno beata. Il vangelo
contiene una breve espressione che descrive la spiritualità di
Maria: Maria serbava tutti questi eventi considerandoli nel suo
cuore.
La
frase contiene due allusioni. 1 Gli eventi divini vanno
conservati, perché compiono eventi precedenti e sono primizia di
eventi futuri. Dio è fine pedagogo che interviene in modo adeguato
nei vari tempi della crescita di una persona. La parola non basta
ascoltarla ma occorre personalizzarla, cioè metterla in condizione
di crescere nella vita personale e comunitaria. 2 Gli eventi
si conservano considerandoli nel cuore, cioè ruminandoli,
intrecciandoli insieme e assimilandoli nel tempo. Ogni spiritualità
cristiana autentica si fonda sulla assimilazione dell’evento Gesù,
con la guida dello Spirito santo.
Se
è compito dello Spirito portarci Gesù è compito nostro donarci a
lui. E’ opportuno ricordare che non basta venerare e lodare Maria
ma occorre anche assumerne la spiritualità, che esprime la sua
autentica grandezza ottenuta con l’impegno perseverante della sua
vita. La santità di Maria è data dall’amore di Dio in Gesù che
si è riversato in lei e dal suo amore a Dio in Gesù, il bene
prezioso che ci lascia in eredità.
Oggi
ricordiamo anche l’iniziazione di Gesù nella religione ebraica,
con l’imposizione del nome indicato da Dio e la circoncisione, il
rito che lo associa al popolo di Abramo.
Anche
noi siamo stati iniziati con l’imposizione del nome e il
battesimo.
Siamo
chiamati a viverla nella fedeltà come Gesù.
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EPIFANIA
B 2006
Il
racconto manifesta una serie di posizioni speculari: somiglianze, le
stesse e diverse.
o
Prima contrapposizione somiglianza: Gerusalemme e
Betlemme.
La
prima lettura dà la visione di Isaia su Gerusalemme. Egli vede due
cose: il Signore che si muove verso la città e la illumina della
sua gloria, mentre le tenebre avvolgono le nazioni; vede poi il
rientro degli esuli e il pellegrinaggio di tutte le genti, con i
doni e le ricchezze che esse portano alla città. E’ la capitale
politica del regno e contiene il tempio. Siamo nel periodo
successivo all’esilio Babilonese (587-538 a.C.). A Gerusalemme è
ambientata la prima scena del racconto: i Magi cercano il bambino
nella reggia. Betlemme è un paese di periferia abitato da famiglie
umili che vivono della pastorizia e a giornata. La sua gloria è di
essere il paese natale di Davide, il pastore che aveva unificato le
tribù di Israele in un regno, abitato dal popolo di Dio. A Davide
si riferisce la profezia di Michea citata nel vangelo. Mt però la
modifica dicendo che il dominatore che nascerà in essa sarà un
capo che pascerà Israele. Gesù sarà un re pastore, che
salverà il gregge dando la sua vita. A Betlemme si svolge la
seconda scena: i Magi incontrano il bambino, lo adorano e gli
offrono i doni che spettano al re e al sacerdote: lo riconoscono
re-pastore.
Adorare
non è solo prostrarsi ma riconoscere in Gesù colui che cercavamo,
la propria somiglianza, accoglierlo nel cuore, stare con lui,
decidere di appartenergli. Il cercare e l’essere cercati si
incontrano, Dio e l’uomo si appartengono. Gesù era nato tra i
pastori in una delle loro grotte. Non c’era posto per lui nelle
case. Gesù è il nuovo Davide, pastore che riunirà il popolo nel
regno di Dio. La profezia diceva che era discendente di Davide e si
sarebbe seduto sul suo trono. Prima di sedere sul trono farà un
lungo cammino come Davide: nascere fra i pastori, lottare con il
regno delle tenebre, vincere la morte nella morte e inaugurare il
regno eterno nella risurrezione, riunirvi le pecore disperse.
o
Seconda contrapposizione somiglianza: il re Erode e
il re dei giudei.
Erode
sedeva sul trono di Davide, in un regno occupato dai Romani e quindi
a loro servizio. Invece che re pastore del popolo era re mercenario
dei romani, un violento che gioca tutto per il trono, che arriva
alla strage insensata degli innocenti. Gesù invece è il re dei
giudei, consegnato in fretta per fare la festa di pasqua, ucciso dai
Romani che non lo conoscevano come alleato. Egli pasce il suo popolo
dandogli quello che cerca: la sua pace, diversa da quella del mondo,
perché rispetta la verità e realizza il disegno di Dio. Impariamo
che per essere re non basta esservi destinati da Dio, occorre
diventare quello che il re deve essere superando ostacoli e pericoli
mortali. Nessuno di noi arriva ad essere quello a cui il Signore lo
destina se non sa crescere dentro l’oggi verso il domani di Dio.
Terza
contrapposizione: la sapienza dei Magi e la conoscenza degli
ebrei.
I
Magi hanno una sapienza costruita in un cammino di fede entro la
loro religione ma anche sopra di essa; erano iranici ma cercavano il
vero Dio, saggi e autorevoli ma anche incompresi, soggetti a
muoversi con fedeltà e con circospezione; apripista del nuovo.
Gli
ebrei conoscono la Scrittura ma la interpretano alla lettera, mentre
lo Spirito interpreta la Scrittura aggiornandola alla crescita della
storia; non guardano il cielo, sopra le vicende quotidiane, e non si
muovono. E’ il Messia che deve venire e convincere il Sinedrio e
il popolo, che gli fanno l’esame se è colui che deve venire, se
è fedele a Mosè e ossequiente all’autorità. Uno dei titoli del
Cristo è Parola, sapienza. Egli ha fatto il cammino secondo Dio.
Impariamo che la verità non è regalata a nessuno, deve essere
raggiunta dalla mente e dal cuore, in una ricerca ostinata e
costante nel tempo,che non si accontenta delle risposte già date.
Epifania è simbolo del nostro cammino di cristiani.
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BATTESIMO
DI GESU’ B 2006
Il
racconto del battesimo di Gesù ci è noto. La liturgia ci chiede di
farne memoria, cioè di contemplarlo
nella preghiera, perché Dio lo compia in noi e nel nostro tempo.
L’anno
B ci propone il racconto di Marco che evidenzia i due tipi di
battesimo indicati dalla predicazione del Battista: il battesimo con
acqua amministrato dal Battista e quello con lo Spirito amministrato
da Gesù. Essi accadono al Giordano nel battesimo di Gesù. Egli
viene immerso dal Battista. Tutti gli Israeliti dovevano farsi
immergere da lui per continuare ad essere il popolo di Dio, come
tutte le tribù di Israele sono scese nell’acqua del Mar Rosso e
come Noè è entrato con la sua famiglia nell’arca e è emerso nel
diluvio. Sappiamo che il rito del Battista esigeva la conversione:
era per la remissione dei peccati. Al
Giordano Gesù è un israelita che discende nell’acqua
confessando l’amore di Dio e il peccato dell’umanità. Anzi è
tutta l’umanità che entra in quell’acqua, in lui e nella sua
confessione, perché solo in Gesù può confessare l’amore con
verità piena.
Ed
ecco accadere una cosa sorprendente: i cieli si squarciano e la
Trinità si manifesta.
E
lo Spirito discende su Gesù mentre la voce di Dio lo accredita come
il figlio amato.
La
colomba indica che la creazione vecchia è passata e ne è nata una
nuova.
Dio
ha creato la vita cristiana, cioè la vita umana e divina sposate
insieme per sempre.
Gesù,
riconosciuto da Dio come il figlio amato, viene santificato nello
Spirito santo e rivelato al popolo come guida del glorioso
pellegrinare da uomini a cristiani.
Il
brano della prima lettera dell’Apostolo Giovanni, che abbiamo
proclamato come seconda lettura, specifica come Gesù compie la sua
nuova missione. Egli si avvia a ricevere un nuovo battesimo, il
battesimo di sangue. Gesù stesso rivela: c’è un battesimo che
devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto!
Gesù si immerge nel sangue, mediante la morte, e emerge nella vita
eterna, mediante la risurrezione.
Il
battesimo pasquale avviene nella potenza dell’amore del Padre e
del Figlio: lo Spirito.
E’
quello in cui tutti i battesimi passati, presenti e futuri si
compiono; è la fonte e il culmine di ogni battesimo che, in
tutte le fedi, porti salvezza.
Giovanni
apostolo precisa: Gesù Cristo è colui che è venuto con acqua e
sangue, non con acqua soltanto ma con acqua e sangue. Il
battesimo al Giordano è dunque il primo che Gesù riceve e prepara
quello pieno della sua pasqua. Dio dà al suo Figlio tre testimoni:
lo Spirito, l’acqua e il sangue, e questi testimoni sono concordi,
cioè realizzano uniti la realtà nuova. Il Risorto dona alla
Chiesa, nata dall’acqua e dal sangue del suo costato, lo Spirito
santo per la remissione dei peccati. Il battesimo di acqua dona il
perdono e la pentecoste sulla Chiesa dona la pienezza dello Spirito
e il parlare in lingue. Allora possiamo vivere come Gesù da
creature nuove e continuare la sua missione nel mondo.
Da
qui derivano i tre sacramenti dell’iniziazione cristiana:
il battesimo, lo Spirito e l’eucaristia. Oggi, festa del
battesimo di Gesù, facciamo memoria del battesimo nell’acqua e
nello Spirito inaugurato da Gesù nel Giordano, lo celebriamo
nell’eucaristia, il battesimo della pasqua, perché possa rivivere
in noi per la salvezza del mondo.
E’
evidente l’importanza che questo mistero ha per tutti noi. Per
avere nella nostra chiesa un richiamo visibile a questo mistero
abbiamo chiesto ai monaci di Bose di scrivere per noi l’icona
della Pentecoste, che collocheremo nella parete centrale del nostro
battistero, sopra la vasca battesimale. I monaci hanno già fatto
l’icona e mi hanno mandato la fotografia; ha ancora bisogno di
asciugare e degli ultimi ritocchi e sarà qui per la pasqua. Oggi
chiediamo al Signore che ci aiuti a essere custodi fedeli del
battesimo nell’acqua, nel sangue e nello Spirito, vivendo
generosamente l’iniziazione cristiana.
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