Omelie del tempo ordinario 1  (2007)

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a cura di don Carlo Salvador

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14.01.07 ORDINARIO 2 C 2007

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21.01.07 ORDINARIO 3 C 2007

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28.01.07 ORDINARIO 4 C 2007

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04.02.07 ORDINARIO 5 C 2007

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11.02.07 ORDINARIO 6 C 2007

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18.02.07 ORDINARIO 7 C 2007

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ORDINARIO  2  C  2007

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La liturgia ci propone la terza epifania di Gesù, dopo quella ai Magi e quella al Giordano.

Gesù manifesta la sua gloria, cioè rivela lui stesso la sua identità, nell’occasione di uno sposalizio a Cana. L’evento richiede attenzione, perché i segni, come le parabole, sono semplici ma manifestano l’insieme del vangelo. La traduzione non aiuta: a volte basta una parola o una punteggiatura non pertinente per cambiare il senso del testo. Gesù dà l’inizio dei segni. Non si tratta solo del primo segno ma della sorgente di tutti i segni.

o       Il dialogo fra Maria e Gesù. Maria dice: Vino non hanno. Maria esprime sofferenza, perché, nella cultura di allora, la mancanza di vino nelle nozze significava che la festa era finita, che il matrimonio iniziava male. E Gesù pone due domande: Cosa a me e a te? Nella frase non c’è il verbo, bisogna trovarlo nel contesto del racconto. Traduciamo: che cosa domanda a me e a te questo fatta che manca il vino? Non è assolutamente ancora venuta la mia ora? L’ora di Gesù è decisa dal Padre: non può essere proprio questa? Viene in mente il dialogo tra Maria e Gesù dodicenne al tempio nel vangelo di Luca. Maria esprime sofferenza: tuo padre ed io angosciati ti cercavamo. Gesù risponde con due domande: perché mi cercavate? Non sapevate che io devo stare nelle cose del Padre mio? Si arriva alla stessa conclusione: questo è un evento voluto dal Padre e Maria e Gesù obbediscono a lui. Gesù indica a Maria che si tratta della volontà del Padre.

L’ordine ai servi è dato da Maria che era di famiglia mentre Gesù era solo un invitato.

Gesù decide autonomamente di compiere l’evento che manifesta la sua gloria.

Non è Maria che ottiene da Gesù ma il Padre che rivela il suo disegno.

o       Le giare in pietra per la purificazione ricordano l’usanza degli ebrei di lavarsi prima di mangiare e quella cristiana di togliere il peccato prima della comunione. Il battesimo suggella la conversione: cambiare vita e, in un adulto, cambiare mentalità. L’acqua cambiata in vino indica il cambiamento radicale che i sacramenti provocano  nella vita.

Nel battesimo la vita umana diventa divina; nell’eucaristia il pane e vino diventano presenza di Cristo che nutre il suo corpo mistico che è la Chiesa.

Alla luce di questo evento il Padre rivela l’ora finale, di cui il cambiamento dell’acqua in vino è segno, l’umiliazione di Gesù da parte degli uomini e la sua glorificazione da Dio. Nella pasqua la sofferenza indica non il finire dell’alleanza ma la trasformazione che rende l’alleanza umana-divina diventi eterna e una cosa molto bella, una festa eterna.

Dio indica a Gesù che cosa deve fare nella missione che sta iniziando e dice a noi che cosa dobbiamo attenderci da Gesù. Come la sposa attendiamo il completamento..

o       Il racconto, come rivela che Gesù è lo sposo e che la Chiesa è la sposa?

Lo sposo è colui che assicura il vino sufficiente per la festa di tutti. E Gesù, a differenza dello sposo terreno, lo garantisce e lo conserva buono fino alla fine, salva il matrimonio.

La festa per il matrimonio di Gesù con la Chiesa sarà eterna e sarà molto bella.

La sposa è costituita dal primo gruppo dei discepoli invitati a nozze con Gesù e riuniti intorno a lui. L’evangelista scrive che i discepoli credono in Gesù. Significa quello che è avvenuto: che stanno con lui, gli consacrano la loro vita, formano una sola carne con lui.

In questo racconto i due sposi terreni non sono neppure nominati: la festa del loro matrimonio è destinata a fermarsi, non viene detto neppure come e quando si fermerà.

In effetti  il loro matrimonio è  una realtà terrena. Non è di essi che il racconto parla.

o       Dio manifesta Gesù. Ci domandiamo: Chi è Gesù per noi? Come interpretare l’annuncio del vangelo e i segni che compie? In particolare cosa pensare di fronte alla sua umiliazione, passione e morte?  Vanno interpretate. Sposarsi ha un grosso costo: il costo della trasformazione. Gli sposi interpretano la vita partendo dall’amore.

Vale la pena di pagare il costo, perdere la vita per acquistarla nuova.

La Chiesa interpreta Cristo come lo sposo: con lui è possibile l’alleanza, il salvare la vita. Due sposi si conoscono partendo dall’amore e nella unità della vita. Gesù si manifesta a noi come nostro sposo; in lui è possibile l’alleanza, il salvare la vita.

Preghiamo per riuscire ad amare Gesù come la sposa ama lo sposo.

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ORDINARIO  3  C  2007

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Oggi la liturgia ci offre la pagina di apertura del vangelo di Luca. E’ un’altra  epifania di Gesù, un evento in cui Dio manifesta a Gesù, e Gesù manifesta a noi, chi è il Messia.

Siamo in un sabato, giorno del Signore e della comunità. Come viveva Gesù, prima di manifestarsi come il Messia, la giornata del sabato? Gesù è fedele ad alcune cose.

Entra nella sinagoga. La sinagoga è l’edificio dove il popolo si raduna nel giorno del Signore per ascoltare la parola di Dio, per pregare, per trattare i problemi della comunità. Gesù è praticante, assiduo alla vita della sinagoga. Il vangelo dice: come il suo solito.

Si reca nella sinagoga del paese in cui è stato allevato. Ascolta e loda Dio con la gente con cui vive, dove è conosciuto. Non sceglie di andare dove si trova meglio.

Si alzò a leggere e gli fu dato il rotolo del profeta Isaia. Gesù non si mette solitario in disparte, lasciando che facciano gli altri ma agisce da corresponsabile della parola, che vuole conoscere, condividere e praticare; si offre di fare il lettore, un ministero liturgico. Chi leggeva la parola la presentava anche al popolo. Ne abbiamo un esempio nella prima lettura che riferisce quanto era avvenuto al ritorno del popolo dall’esilio di Babilonia.

Si ricostruiscono le mura di Gerusalemme e la città. Si celebra una solenne liturgia.

Il sacerdote Esdra apre il Pentateuco, i cinque libri, e legge la parola dall’aurora fino a mezzogiorno. I leviti la spiegano al popolo, che partecipa commosso. Il convenire del popolo nella casa dell’ascolto e della preghiera è fondamentale per mantenersi fedeli.

A mezzogiorno si fa un banchetto solenne perché tutto il popolo festeggi il Signore.

E’ il percorso che anche noi facciamo nella festa dell’appartenenza. Il momento celebrativo è l’anima della festa, che poi sfocia anche nella condivisione del pranzo.

Gesù presenta il brano di Isaia che ha letto non con una catechesi ma annuncia una cosa che Dio sta per fare in quel sabato, in quelli che sono presenti nella sinagoga. La parola era stata detta da Isaia tanto tempo prima ma Dio la dice per questo popolo in questo sabato. Oggi si è adempiuta questa scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi.

C’è un insegnamento per noi: questa cadenza del sabato, il partecipare in modo attivo all’ascolto e alla preghiera e alle decisioni della comunità, il giorno consacrato al Signore perché Dio e il popolo possano parlarsi e crescere nell’alleanza sono percorsi necessari.

Oggi pomeriggio faremo un confronto tra consiglio pastorale e comunità, perché  la parola e la lode siano non solo ascoltate e celebrate ma anche condivise e perché conoscendo meglio il Signore e conoscendoci meglio tra noi impariamo a benedire e a non maledire e a partecipare alle sofferenze e gioie del cammino cristiano comunitario.

La parola annuncia la pentecoste su Gesù. Lo Spirito del Signore è sopra di Gesù e per questo Dio consacra Gesù con l’unzione e lo manda ad annunciare il vangelo. Lo Spirito santo, l’amore di Dio, fa Gesù uomo pastore divino conferendogli la consacrazione.

Per questo Gesù può compiere la sua missione con la potenza di Dio. La sua è una missione che lo porta in croce, è l’annuncio amato e tradito dagli uomini di Chiesa. 

Annunciare ai poveri il lieto annuncio. Oggi i poveri ascoltano dalla chiesa un messaggio che porta loro gioia? Annunciare ai prigionieri la liberazione. Oggi chi è prigioniero di situazioni difficili da vivere sente un messaggio che lo libera o che lo condanna?

Annunciare agli oppressi la libertà. Oggi gli oppressi sono liberati o l’oppressione economica, politica e religiosa di milioni di persone continua per salvare i privilegi?

Gesù è mandato a predicare un anno di grazia del Signore. Isaia pone l’anno di grazia all’ultimo posto. Per vivere un tempo/un giubileo in cui rigenerarsi, i cristiani devono prima credere alla bella notizia e vedere la gioia dei poveri e degli oppressi liberati.

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ORDINARIO  4  C  2007

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Siamo alla pagina di apertura del vangelo di Luca che abbiamo iniziato domenica.

Gesù si è presentato alla sua comunità come il profeta Isaia aveva presentato se stesso.

Il profeta è consacrato per annunciare la liberazione e l’anno di grazia del Signore.

Nel testo di Isaia il tempo di grazia viene detto un giorno di vendetta per il nostro Dio.

L’annuncio che il profeta deve portare è in contrasto con la situazione che l’uomo vive nel suo tempo: è la vendetta del Signore rispetto alla mentalità e alla condotta dell’uomo. Anche il profeta Geremia presenta così la sua vocazione, nel brano che abbiamo ascoltato come prima lettura. Alzati, gli dice Dio, e dici a tutti, tutto quello che io ti dirò. Ti faccio una fortezza, un muro di bronzo, contro tutti. Ti muoveranno guerre ma io sono con te.

Il profeta è mandato contro il mondo; perciò non è accetto nel suo tempo e nel suo paese.

Misurare l’opera del profeta con il gradimento che suscita nella maggioranza è sbagliato, non in via di principio ma perché, in realtà, il mondo non vive secondo la volontà di Dio.

I compaesani di Gesù riconoscono che le sue erano parole di grazia e si meravigliano.

Gesù, che conosce i loro cuori, li interpreta così:  siamo fortunati ad avere in casa uno che fa prodigi! Un fatto analogo succederà dopo la moltiplicazione dei pani: vengono a prendere Gesù per farlo re, perché è bello averlo re. E Gesù reagisce ritirandosi da loro.

Gesù ricorda che il profeta è mandato non per compiere i segni che attirano consensi ma i segni che presentano il regno di Dio, che è sempre in contrapposizione con il mondo.

Liberare i poveri, i prigionieri e gli oppressi, e annunciare l’anno di grazia del Signore suscita opposizioni infinite, perché scardina privilegi che la gente ritiene diritti acquisiti. Libertà e diritti civili sono molto importanti per la gente di oggi, ma spesso sono opposti al bene comune e alla volontà del Dio che vuole salvare l’umanità da questo mondo.

Il vangelo chiede la conversione. Il punto debole è oggi la gioventù che assorbe le idee del mondo come valori e poi si vede smentita dalla vita. Pensiamo ai fatti di bullismo e di esibizionismo sessuale e a altre negatività che i mezzi di comunicazione ci propinano.

Ma la tentazione prende tutti. Non sono gli adulti i responsabili, se il mondo è così?

Il vangelo si scontra sempre con il mondo e colui che ha potere sul mondo: il tentatore.

Gesù cita le Scritture per dire che Dio non usa preferenze ma bada solo al suo disegno di salvezza: c’erano molte vedove in Israele ma Elia fu mandato a salvarne una sola a Sidone, fuori Israele; c’erano molti lebbrosi al tempo di Eliseo ma fu risanato solo Naaman, che era siriano. Dio non bada neanche alla Chiesa, se contrasta il suo disegno. Occorre essere vigili, perché la sapienza di Dio è diversa dalla sapienza dell’uomo.

Nella religione si possono creare false sicurezze, idee sbagliate e privilegi ingiustificati. Non possiamo dire né che nella Chiesa tutto è giusto né che in essa tutto è sbagliato.

La Chiesa è composta da persone consacrate da Dio, figli o ministri di Dio, ma che restano persone umane con i loro limiti. Questo è normale ma Dio ci dà nel vangelo il criterio per misurare se le cose sono giuste. Se un vescovo sforna monsignori non vuol dire che questo è bene e che i preti devono accettare e che i cristiani devono fare festa.

Il vangelo dice chiaramente che Gesù ha insegnato che i titoli onorifici sono un falso.

Luca, mettendo l’evento di Nazaret ad apertura del vangelo, dice che è inutile proseguire nella lettura del vangelo se riduciamo la liberazione di poveri, oppressi e prigionieri al perdono dei peccati e trascuriamo la giustizia, se riduciamo l’anno di grazia alle celebrazioni e alle indulgenze e trascuriamo la liberazione umana, se affermiamo la nostra libertà calpestando la dignità degli altri, se  giustifichiamo il nostro tempo e non ci accorgiamo che siamo tutti sotto l’influenza di Dio ma anche sotto quella del  diavolo.

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ORDINARIO  5  C  2007

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Gesù inizia la predicazione del vangelo nelle sinagoghe di Cafarnao e di Nazaret, nei luoghi riconosciuti della religione ebraica. Suscita entusiasmi ma anche perplessità e perfino rifiuto. La pagina del vangelo che abbiamo ascoltato dice che Gesù, lasciate le sinagoghe, inizia a parlare sulla riva del mare di Galilea. Le folle gli fanno ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, senza pregiudizi verso di lui. Gesù non ha con sé nessun libro della Scrittura, ma parla con autorità di cose che conosce: è la parola del Padre.

Parla dalla barca scostata dalla riva e quindi parla dal mare. Il mare è simbolo di fecondità, come nella pesca abbondante, e di pericoli, come nella tempesta. Il mare mette in comunicazione paesi diversi se si è disposti ad andare incontro alla cultura e alla vita della gente. Il mare suggerisce l’idea di movimento, di attraversamento, di bagaglio essenziale, di un lavoro lungo tutta la notte e quindi di vigilanza e di operosità.

E’ un ritorno alle origini, quando non c’erano né sinagoghe ne templi e la parola di Dio risuonava nella creazione e nella vita di tutti i giorni. Gesù dunque prende l’avvio dalla sinagoga ma per navigare al largo, verso orizzonti più ampi. Questa parola è attuale.

Gesù è nella Chiesa per la salvezza di coloro che hanno creduto in lui e sono stati battezzati ma è anche missionario in tutti gli spazi e i tempi abitati dall’uomo, perché offre la sua parola e la sua vita per salvare tutti. Gesù abita la Chiesa e l’umanità intera.

Il vangelo racconta due pesche che avvengono nello stesso mare, nella notte e il mattino seguente: una immediata e abbondante nel tempo meno opportuno e un’altra infruttuosa nonostante il tempo favorevole, la perizia dei pescatori e il loro lavoro lungo la notte.

Il confronto dice con chiarezza la differenza. Pietro la nota, si getta alle ginocchia di Gesù e lo prega di stare lontano da lui, come il santo di Dio sta lontano dal peccatore.

La prima e la seconda lettura ci danno un insegnamento analogo in un contesto diverso. Isaia racconta una sua visione: vede Dio sul trono e lo chiama re e signore, sente anche il canto dei serafini: santo, santo, santo è il Signore. Di fronte a questa visione si sente un uomo perduto, parte di un popolo dalle labbra impure. Ma un serafino purifica le sue labbra con un carbone ardente dall’altare e Isaia, una volta purificato, può fare il profeta.

S. Paolo scrive ai Corinti che sente tutta la sua indegnità di fronte alla chiamata e pensa di essere come un aborto di fronte agli altri apostoli che hanno goduto di una gestazione lunga alla scuola di Gesù. Egli è divenuto apostolo per grazia ma ha faticato più degli altri nella missione, anzi è stata la grazia di Dio a faticare in lui. Questa grazia non è stata vana. Infatti Paolo è un grande apostolo; senza di lui la Chiesa non sarebbe quello che è.

Tutte tre e letture ci danno un insegnamento prezioso: i discepoli di Gesù, divenuti pescatori di uomini, possono contare non sulle condizioni favorevoli ma sulla potenza di Dio. La prima qualità di chiunque svolge un compito pastorale è l’umiltà, il riconoscersi peccatori di fronte a Dio, che è il primo e più importante operatore della missione.

Impariamo dunque che non dobbiamo insuperbire quando le cose vanno bene né scoraggiarci o rivendicare qualcosa quando abbiamo lavorato bene e le cose non vanno. Rimettiamo tutto a Dio che è più importante di noi e ci fa uscire migliori anche dalle nostre crisi. Dio vigila sul suo regno che cresce: a noi è chiesto di obbedire a lui, che guida la Chiesa per mezzo dei pastori. Oggi, valorizziamo il canto del Santo, all’apertura della liturgia eucaristica. Appartiene all’assemblea, che lo canta unendosi all’assemblea degli angeli e dei santi. Esso esprime la comunione profonda fra la Chiesa della terra e quella del cielo. I cieli e la terra sono pieni della gloria di Dio. Non cediamo allo scoraggiamento ma teniamo fisso lo sguardo a Dio, alla sua gloria che si espande.

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ORDINARIO  6  C  2007

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Le beatitudini ci sono tramandate in due versioni diverse. Sono 9 in Matteo e 4 in Luca.

Matteo le ambienta sul monte; egli si rivolge ai cristiani di provenienza ebraica e ad essi la montagna evoca il Sinai. In questo modo Matteo presenta le beatitudini  come la legge della nuova alleanza. I cristiani non camminano più alla luce dei comandamenti ma alla luce delle beatitudini. Luca le ambienta nella pianura. Egli si rivolge a destinatari non ebrei e scrive che beati possono essere tutti, anche gli abitanti di Tiro e Sidone, i pagani.

La pianura è accessibile ai quattro orizzonti e quindi a tutti. I vangeli comunicano il messaggio nel modo più adatto per i destinatari. Le parole di Gesù possono avere una collocazione diversa per parlare all’uomo nelle condizioni concrete della sua vita.

Anche noi siamo chiamati ad annunciare le beatitudini in modo che siano un messaggio per noi, nella nostra situazione storica e per gli uomini del nostro tempo.

Luca presenta la salvezza partendo non dalla parola dell’AT, che i pagani non conoscono, ma dalle situazioni esistenziali di giustizia o di ingiustizia, che tutti esperimentano.

Luca parla alla gente digiuna della parola di Dio ma sensibile ai problemi della giustizia.

Matteo in polemica con il formalismo giudaico proclama beati i poveri in spirito, precisando che la povertà è sì mancanza dei beni necessari alla vita ma è anche l’atteggiamento interiore che assumiamo rispetto ai beni. Tutti possono essere avidi.

Luca porta la parola di Gesù alla radice dell’esistenza, come aveva visto fare Paolo, che aveva accompagnato nel ministero, e come scrive Giacomo nel capitolo 5: ora voi ricchi piangete e gridate per le sciagure che vi sovrastano. Certe fortune economiche possono essere disgrazie spirituali, tentazioni a chiudere il cuore a Dio e al prossimo.

Luca non riporta beati i puri di cuore, perché Matteo si rivolgeva ai farisei che riducevano il rapporto con Dio a purità legale mentre il cuore era lontano da Dio.

Le beatitudini realizzano la profezia di Is 61: Il Signore mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai poveri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, per consolare tutti gli afflitti, per dare loro una corona invece che la cenere. Luca aveva anticipato questo messaggio nel Magnificat: Dio ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote. Oggi il calendario riporta la memoria della beata Vergine di Lourdes: vale la pena di ricordare che non possiamo ridurre Maria alle apparizioni e alle guarigioni e alla mamma disponibile a tutti ma dobbiamo vedere come lei incarna le beatitudini. Maria nella vita sociale sta da una parte precisa, quella fatta propria da Gesù: i poveri, i prigionieri e gli oppressi.

Ciò è evidente se consideriamo anche i quattro lamenti paralleli alle quattro beatitudini: guai! La parola greca uài significa guaia! ma è anche espressione dei lamenti funebri.

Non sarebbe tanto una minaccia ma un grido di dolore su quanti operano l’ingiustizia: i ricchi, i sazi, quelli che ridono, quelli di cui tutti gli uomini parlano bene. Essi sono i morti su cui fare il lamento funebre. Veramente la nostra Chiesa oggi è altra da Gesù.

Colleghiamo il brano evangelico con l’AT e capiremo che è il messaggio unico di Dio.

Il profeta Geremia annuncia che Dio dice male di coloro che confidano nella carne e allontanano il loro cuore da lui. Dice che dimoreranno in una terra arida e salata dove nessuno può vivere. Dio dice bene invece di chi pone la sua fiducia in lui. Dice che saranno sempre vigorosi e fecondi come gli alberi che stendono le radici verso l’acqua.

Il salmo responsoriale di solito trasforma l’ascolto della prima lettura in preghiera.

Oggi possiamo pregarlo anche dopo aver ascoltato le beatitudini di Luca.

Chiediamo di stare accanto al Gesù delle beatitudini come l’albero accanto all’acqua.

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ORDINARIO  7  C  2007

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Domenica scorsa abbiamo proclamato e meditato le beatitudini scritte da Luca.

La pagina odierna è come un’eco a quel testo. Annuncia che le beatitudini portano ad un stile di vita che oltrepassa la giustizia umana e quindi domandano un cambiamento  grande, che va preso sul serio. I cristiani restano tuttora ancorati ai comandamenti.

I comandamenti non hanno niente di trascendente ma sono facili, perché domandano la fede nel Dio unico, la santificazione della festa, cose comuni alle religioni, e le norme di comportamento dettate da una retta coscienza e dalla morale umana. Sono cose che tutti gli uomini retti e religiosi osservano. Gli  ebrei li mettono a base dei loro comportamenti, perché li assumono come segni dell’obbedienza a Dio e della fedeltà all’alleanza con lui. Un discorso importante nell’AT che non conosce ancora il vangelo. Le beatitudini invece impegnano a scegliere la vita dei poveri, degli affamati, di coloro che piangono e di coloro che sono odiati. Per noi occidentali si tratta di un cambiamento radicale di mentalità e di vita. Chi lo fa fare? Gesù, il quale dice che sono costoro, o quelli che sono come loro, che possiedono il regno dei cieli. Chi vuole entrare nel regno dei cieli sceglie questo stile di vita. Il regno dei cieli è quello che Dio dà, è un regno la cui grandezza non è misurata con la mentalità umana, perché non è grandezza umana ma divina.

Questo è possibile se c’è di mezzo Dio e la sua vita. Perdiamo l’umano e acquistiamo il divino. Gesù ha insegnato con chiarezza che bisogna perdere la vita per ritrovarla, quando la vita umana sarà esaurita. Domandiamoci in sincerità: Chi prende sul serio le beatitudini? Dovremo  fare l’esame di coscienza sullo stile evangelico della nostra vita e partire da qui per convertirci, chiedere perdono, e trovare perdono e guarigione.

Bisogna fare il vuoto in noi perché Dio ci possa riempire. Il catechismo della Chiesa cattolica, scritto dopo il Concilio, continua a fondare la morale sui comandamenti.

Le beatitudini sono riservate a alcuni pochi, che come Francesco d’Assisi, si riferiscono al vangelo sine glossa, alla lettera. Le beatitudini le abbiamo messe da parte o sono diventate sopramobili o opere d’arte, buone per abbellire ma non per nutrire.

Le beatitudini fondano uno stile di vita che va oltre la legge. Gesù oggi ci esorta ad amare i nemici, dicendo apertamente che è facile amare quelli che ci amano. Anche i peccatori amano così. Nessun comandamento ordina di amare i nemici. Anzi in Israele vigeva la legge del taglione: rispondere con la stessa moneta e la stessa violenza..

Ci sono però anche testimonianze di perdono ai nemici, come quella riportata nella prima lettura. Davide non uccide Saul, perché è il consacrato del Signore. Sono sempre motivazioni più alte dei comandamenti che spingono ad amare il nemico. Anche Gesù invita ad essere figli del padre celeste che è misericordioso e benevolo verso gli ingrati e i malvagi; ci  invita anche a stare attenti perché saremo misurati con la misura con  cui misuriamo gli altri. E’ la misericordia che dà la misura della nostra figliolanza divina.

Il fondamento teologico della misericordia è Gesù stesso, figlio che ama come il Padre.

Noi siamo figli di Dio in Cristo, una persona che diventa parte della nostra vita, e conduce a fare dei figli di Dio parte della nostra vita, come in ogni rapporto di amore.

Rileggiamo con attenzione la pagina del vangelo che abbiamo ascoltato.

E’ un annuncio facile, pieno di esempi pratici, che possiamo capire.

Preghiamo perché Dio ci dia la forza di vivere così.  

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Pagina a cura del gruppo internet della Parrocchia dell'Annunciazione di Campolongo in Conegliano (TV)