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ORDINARIO
12 B 2006
(
Omelia
tenuta dal diacono Elio Tardivo )
Marco
4, 35-41
«Verso
sera disse loro: “passiamo all’altra riva”». Gesù ha appena terminato di spiegare il Regno di Dio con parabole.
L’evangelista Marco chiude, per così dire “la giornata delle
parabole” e ne apre un’altra in cui racconta una serie di
miracoli. I miracoli del Vangelo, come le parabole,
sono
segni del Regno. Gesù dunque si trova sulla riva del lago di
Genezaret. Mette alla prova i discepoli per vedere se hanno capito
la Parola e vuole suscitare in loro il desiderio di conoscerlo:«chi
è dunque costui, al quale il vento e il mare gli obbediscono?»
Gesù
sale in una barca con i discepoli per un viaggio insieme. Prendono
il largo sul fare della sera e subito si leva una tempesta che mette
in serio pericolo i naviganti. Gesù dorme. Non fa nulla per uscire
dalla situazione. Per i Padri della Chiesa la barca è simbolo della
Chiesa che naviga in compagnia di Gesù tra le persecuzioni, le
divisioni interne, gli scandali e le eresie.
Gesù
è presente, ma dorme. Che cos’è questo silenzio del Signore che
non interviene? Il
sonno di Gesù manifesta confidenza e fiducia in Dio:«sono
tranquillo e sereno come un bimbo svezzato in braccio a sua madre»
Sal.131. E’ la serenità di chi sa di compiere il disegno del
Padre. E’ il sonno di colui che consegnerà la vita sulla croce
per riprenderla nella risurrezione, manifestandosi come signore
della storia.
Se
i discepoli avessero capito la parola delle parabole, avrebbero
avuto anch’essi serenità e fiducia. La tempesta e la paura
provengono dalla nostra mancanza di fede. Per mancanza di fede non
percepiamo la presenza di Gesù che governa la vita della Chiesa.
Domenica
scorsa, nel ritiro degli operatori pastorali, ci siamo interrogati
sulla qualità della nostra fede di fronte alla difficoltà di
vivere da cristiani in un mondo ostile e di costruire una comunità
cristiana unita nella preghiera, solidale e fraterna.
Nella
nostra parrocchia – è stato detto - ci sono comportamenti
contrastanti.
Alcuni
credono alla Parola di Dio. Colgono i segni del Regno che si
realizza. Cercano soluzione ai problemi. Non ingigantiscono le
divergenze e i malumori. Sono propositivi e perseveranti. Lasciano
volentieri le proprie faccende per dedicarsi alle cose di Dio e alla
comunità.
Altri
si ritirano scoraggiati di fronte alla chiamata esigente del
Vangelo, come il giovane ricco (Lc 18,24) o come quei discepoli che si
tirarono indietro e non andarono più con lui dopo il discorso
di Gesù sul pane (Gv 6,6)
Altri
continuano a lagnarsi delle situazioni. Esprimono accuse e
maldicenza. Criticano l’evolversi della vita cristiana. Insistono
sulle difficoltà e generano uno stato d’animo di sfiducia. Creano
divisione.
Altri
vivono da separati dentro la comunità.
La
mancanza di fede sta alla radice dell’iniquità e allontana dal
Dio vivente.
La
tribolazione può risvegliare la fede e rafforzare la pazienza e la
fedeltà.
I
discepoli presi dal panico svegliano Gesù: «Maestro, non ti
importa che moriamo?». Dopo aver provocato la loro fede, si
manifesta come colui che domina le potenze della natura e guida gli
eventi della storia, ma chiede il coraggio di affidarsi a lui.
Sgrida il vento e ordina al mare di calmarsi. Fa come quando Dio
ordinò alle acque di separarsi dalla terra perché potesse fiorire
la vita; mandò il diluvio per porre fine alla malvagità umana
e dare inizio ad una nuova alleanza con l’umanità; comandò
alle acque del mar Rosso di separarsi per aprire la strada della
libertà ad Israele. Gesù crea le condizioni perché ognuno di noi
possa trovare segni di speranza. Ma occorre riconoscerli e
riconoscere l’azione dello Spirito santo. Occorre credere che è
possibile essere cristiani ed è possibile essere missionari. Non
dobbiamo lasciarci sopraffare dalla preoccupazione e dalla paura
della sconfitta. La fede ci rende consapevoli che di fronte alle
difficoltà usciamo vincitori, perché Dio ci fa entrare nel suo
Regno.
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ORDINARIO
13 B
2006
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Dal libro della Sapienza
abbiamo ascoltato tre affermazioni sulla vita e sulla morte.
Dio
ha creato tutto per la vita; le creature sono sane e non hanno
veleno di morte.
Dio
ha creato l’uomo per l’immortalità, a immagine di se stesso che
è immortale.
La
morte è entrata per invidia del diavolo ed è per coloro che gli
appartengono.
La
morte non è causata dal peccato, e non è castigo di Dio per il
peccato, ma deriva dall’invidia del diavolo verso Dio. Il diavolo
può molto contro l’uomo, che mentre cresce ignora il suo futuro.
L’uomo è libero e in tentazione tra un futuro di vita e di morte.
Chi
appartiene al diavolo fa esperienza della morte, chi appartiene a
Dio non la fa.
Il
peccato che conduce alla morte non è provocato dalla debolezza
morale ma dalla debolezza della fede. Infatti apparteniamo a una
persona se ci innamoriamo di lei.
Le
opere che facciamo sono conseguenza dell’amore che nutriamo verso
una persona.
Molte
scelte morali oggi sono negative e portano negatività ma il peccato
non sta nelle opere ma nel fatto che non riconosciamo Dio come
nostro salvatore.
I
comandamenti recitano: Io sono il Signore tuo Dio, che ti ha
liberato dalla schiavitù dell’Egitto. Siamo liberi quando
seguiamo Dio nell’esodo verso la libertà.
Il
diavolo c’è. Oggi si nega il diavolo e che l’uomo sia capace di
fare un male così grande da perdere la vita eterna. Ma quale
spiegazione diamo alla morte e ai mali che affliggono l’umanità?
Quale risposta al bisogno di vita eterna? Dipende a chi diamo
fiducia.
·
Giairo, un capo sinagoga,
si getta ai piedi di Gesù e lo prega di andare a casa sua ad
imporre le sue mani sulla figlia morente, perché si salvi e viva.
Gesù dice: Non temere, solo credi! In casa prende la bambina
per mano e le dice: Fanciulla, a te dico: Alzati!
Solo
credi: avere la salvezza e la vita dipende solo dalla fede. La
potenza di Dio opera in presenza della fede come il diavolo opera
quando gli diamo fiducia o gli obbediamo.
Gesù
restituisce la bambina viva alla sua famiglia ed essa è piena di
stupore e gioia.
·
Oggi celebriamo
l’accoglienza di due bambini e l’inizio del grest.
Accogliere
i bambini nella Chiesa è iniziare con loro il cammino verso la vita
eterna.
Il
battesimo infatti è passaggio dalla morte alla vita risorta
attraverso Cristo.
Il
grest nell’esperienza parrocchiale è un cammino verso la felicità.
La corsia stesa in chiesa dagli animatori è segno della ricerca
della felicità e del luogo dove trovarla.
Sono
eventi che riempiono di stupore e gioia. Li troviamo nella vita
eterna che vive nel regno di Dio, che è giustizia, pace e gioia
nello Spirito santo. Questa frase riportata nel cartellone
l’abbiamo meditato a lungo con gli animatori in quattro giorni di
ritiro.
I
genitori danno occasione ai figli di fare un cammino ecclesiale
verso la felicità.
La
parrocchia dà occasione ai bambini, ai ragazzi e agli animatori di
crescere nella giustizia del regno dei cieli, da cui derivano la
pace e la felicità. Scrive un padre della Chiesa: La gioia non
consiste nel conoscere qualche verità su Dio, ma nell’avere Dio
in se stessi. L’eucaristia è pane e vino del Regno e
alimentano la vita eterna, la vita divina.
L’eucaristia,
la comunione con Dio, è la meta verso cui tende il cammino
ecclesiale.
Solo
credi! Il resto lo compie la potenza di Dio in Gesù, che ora
vive nella sua Chiesa.
Chi
crede aiuta la parrocchia ad assicurare a tutti un bel cammino di
iniziazione cristiana e sostiene il grest, perché sia segno della
giustizia di Dio che si compie nelle nostre vite.
Chiediamo
a Dio una fede grande, perché questi eventi divini ci coinvolgano e
siano per tutti noi occasione di crescita nella vita eterna e quindi
eventi di salvezza.
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ORDINARIO
14 B
2006
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La
liturgia accosta il profeta Ezechiele e Gesù, due persone vissute a
distanza di circa 600 anni, perché la parola che Dio ha rivelato in
loro allora, agisca anche in noi, oggi,.
La
parola detta da Dio nel passato diventa viva nell’oggi di Dio in
cui viene proclamata.
·
Ezechiele siede con il
suo popolo, cioè è una persona allo stesso livello del popolo.
Lo
Spirito entra in lui e lo alza in piedi: è in mezzo al suo popolo
ma più in alto di esso.
Dio
lo fa profeta entro un popolo con il cuore duro-ostinato, che pecca
contro Dio.
Dio,
quando le sue parole sono rifiutate o stravolte, manda un uomo a
viverle: il profeta.
Sarà
un specchio per loro. Sapranno almeno che un profeta si trova in
mezzo a loro.
·
Seicento anni dopo Gesù
insegna nella sinagoga del suo paese. E’ uno del paese, conosciuto
come il falegname. Marco non lo chiama figlio del falegname,
ma falegname. La Chiesa può celebrare la festa di Gesù
lavoratore, accanto a quella di S. Giuseppe.
La
gente conosce anche sua madre Maria e i suoi parenti stretti e si
scandalizza di lui.
skandalizw
en
autw
significa: inciampo in uno. Paolo in Rm 9,32 scrive che Gesù è
pietra d’inciampo. Marco qui riporta due motivi di inciampo: la
sapienza che Dio gli ha dato e i prodigi che Dio compie per mezzo
delle sue mani. La sua sapienza è diversa da quella della sinagoga,
le sue mani di falegname compiono i prodigi dello Spirito.
Ciò
riempie di stupore, ma lo stupore può giocare a favore o contro. Lo
stupore delle cose nuove, quando sono ritenute migliori delle
passate, stimola alla ricerca.
Lo
stupore delle cose nuove, quando si resta attaccati a quelle
passate, porta al rifiuto. Quello che i compaesani di Gesù sanno di
lui è vero ma è il passato di un ebreo come loro mentre lo Spirito
nel Giordano ha innalzato Gesù: il figlio di Maria è il figlio di
Dio, il fratello nella carne è il fratello di quelli che ascoltano
la Parola e la praticano.
Il
profeta disprezzato fino alla crocifissione partecipa della gloria
di Dio. I compaesani di Gesù non riconoscono che egli è
l’innalzato e, rifiutandolo, inciampano in lui e cadono.
·
Questa parola è attuale
e interpella anche noi: siamo diventati cristiani nel cammino
dell’iniziazione, partecipiamo alla Messa festiva e alcuni anche
ai gruppi parrocchiali; magari qualcuno potrebbe andare a un quiz
televisivo sul vangelo, ma le cose che sappiamo riguardano il
passato, non quello che Dio dice oggi. Bisogna ascoltarlo oggi.
Possiamo
fermarci alla nostra conoscenza e alle nostre tradizioni?
No,
perché Dio eleva qualcuno al di sopra di noi, oggi, e lo fa profeta
rispetto a noi.
No,
perché Dio parla sempre aggiornando la sua parola alla vita e alla
nostra età.
Noi
non parliamo ai figli fino ai diciotto anni soltanto e poi tacciamo
perché sanno tutto, non parliamo alla persona amata fino al
matrimonio e poi tacciamo perché sa tutto.
La
sapienza e il lavoro delle mani continuano e il comunicare è sempre
più prezioso. Forse noi teniamo Gesù imbalsamato nel nostro cuore
che diventa il suo sepolcro.
La
religiosità si gioca in relazioni sempre nuove con Dio e con la
vita.
Nell’amore,
sia religioso sia umano, è possibile guadagnare o perdere tutto,
ogni giorno.
Le
coppie che stanno insieme finché hanno sposato i figli e poi si
separano o vivono da separati in casa sono coppie fallite. Stiamo
attenti: la religiosità, come l’amore umano, va aggiornata
continuamente o fallisce. Chiediamo al Signore di riconoscere i
profeti in mezzo a noi e chiediamogli che il suo Spirito innalzi
ciascuno di noi e ci faccia profeti, perché la sua parola diventi
la nostra vita profetica, e tutti possano provarne stupore. Alcuni
vi inciamperanno ma altri riconosceranno lo Spirito e saranno
salvati.
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ORDINARIO
15 B
2006
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Gesù
chiama a stare con lui e manda. Anche Gesù sta con il Padre e viene
mandato.
I
discepoli sono chiamati e mandati, ognuno con il compito che riceve
dal Signore.
La
spiritualità cristiana sposa insieme lo stare con Gesù e
l’essere missionario. Il brano del vangelo oggi è riferito agli
Apostoli ma le stesse cose Gesù le ha dette ai 72 discepoli. I
missionari hanno un potere che viene da Dio: il potere della parola
che convince, della grazia che santifica, della carità che
guarisce. Questo potere divino è la loro vera forza, garantita da
Dio, e opera segni che stupiscono sia il missionario sia la comunità.
o
Si è mandati a due a due. La famiglia si fonda
sull’amore di due sposi molto diversi.
In
parrocchia i gruppi mettono insieme diversità e formano unioni. La
forza della missione dipende dalla coesione e dalla fedeltà delle
diversità che si mettono insieme.
Il
grest è possibile perché forze diverse lavorano insieme nella
fedeltà al progetto.
o
La missione ha valore e forza in se stessa e richiede
al missionario di essere libero.
Gesù
parla di povertà dicendo che al missionario basta
l’indispensabile
o
La missione richiede di essere radicati. Finché si è
in un luogo ci si dedica ad esso.
La
parrocchia è luogo di missione in cui radicarsi. Dalla parrocchia
si va verso la forania e la diocesi, come dalla propria famiglia si
va verso le altre famiglie, e non viceversa.
Ci
sono cristiani che scelgono come si sceglie un negozio in cui
rifornirsi, ma i discepoli sono scelti da Gesù e messi insieme con
coloro che lui sceglie e che manda dove vuole.
o
La missione non è facile. Il missionario incontra
anche chi non lo riceve e non lo ascolta.
Ricevere
e ascoltare sono strettamente legati; se non si ascolta la parola
del missionario non lo si riceve, perché egli fa un tutt’uno con
la missione. E anche il missionario deve sapere che il consenso che
riceve, se non è consenso alla parola e alla grazia che porta, sono
pericolosi. E’ pericoloso cercare le simpatie umane per contare su
di esse.
Simpatie,
titoli ed onori sono un ostacolo alla missione, perché distolgono
da essa.
o
Il profeta Amos viene mandato via dal sacerdote di
Betel, perché profetizzava dove c’era la reggia e il tempio: era
un luogo riservato ai profeti designati dal re e dai sacerdoti. Ritirati
nel paese di Giuda e mangia lì il tuo pane. Ma la profezia non
è un mestiere. Amos aveva già il lavoro ma Dio lo ha chiamato a
profetizzare a tutto il popolo e anche il re e i sacerdoti sono
parte del popolo. Qualcuno gioca con le cose sacre quando dice: Se
uno non dice quello che dicono tutti non merita di essere ascoltato,
perché la legge del popolo di Dio è l’unità. Dimentica che
l’unità della Chiesa si realizza attorno a Cristo, che è verità.
L’unità senza la verità non interessa né Dio né gli uomini
retti.
o
I profeti perseguitati sono nell’unità più di chi
li perseguita in nome dell’unità.
Gesù,
quando dice che ogni regno diviso in se stesso si dissolve, non
difende qualsiasi tipo di unità. Anche i demoni sono uniti, anche i
nemici della Chiesa, anche i gruppi a delinquere. L’unità in
Cristo richiede di obbedire alla parola di Dio e al Magistero.
o
Gli ebrei che ritornavano dalla terra pagana prima di
toccare la terra d’Israele si pulivano i piedi per non
contaminarla. Il missionario rifiutato si scuote di dosso la polvere
per evitare di contaminarsi con coloro che rifiutano il vangelo.
E’ necessario essere amici di tutti? Gesù lo era quando svolgeva
la sua missione?
Ci
sono cristiani che in missione restano contaminati e tradiscono la
fiducia di Dio.
In
tutte le chiamate, anche in quelle umane, succede di realizzarsi o
di perdersi.
Anche
tra gli Apostoli c’è stato il traditore. Chiediamo al Signore che
ci aiuti a stare con lui e a dedicarci
alla missione come egli ci ha insegnato con la vita e la parola.
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ORDINARIO
16 B
2006
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Domenica
scorsa Mc ci ha presentato le consegne che Gesù ha dato ai Dodici
inviandoli in missione. Oggi descrive l’andamento della missione,
sottolineando due cose positive.
o
Gli apostoli si dedicano con generosità: non si
riservano neppure il tempo per mangiare. Una domanda per noi: noi ci
dedichiamo alla missione che il Signore ci ha affidato con generosità?
Cerchiamo prima il regno di Dio o ci preoccupiamo prima del
mangiare, cioè di raggiungere il livello di vita che il mondo, il
progresso e il lavoro oggi ci propongono?
o
I dodici si radunano presso Gesù e gli annunciano
quanto avevano fatto e insegnato.
Noi,
quando verifichiamo la pastorale, ci raduniamo con Gesù o tra di
noi?
Da
chi andiamo? Non basta confrontarci con le esperienze degli altri o
sentire gli esperti; occorre verificarci con chi ci ha mandato e ci
accompagna. Egli è con noi ogni giorno se noi siamo con lui, fedeli
alle consegne che egli ci ha fatto quando ci ha mandati.
Domenica
abbiamo detto che l’unità la si costruisce attorno alla verità e
quindi a Gesù.
o
Venite voi stessi in disparte verso un eremo e
riposatevi un pò.
Il
riposo dell’apostolo non è svago riempito di cose, magari
trasgressive, come nelle nostre vacanze, ma è andare
nell’eremo, luogo solitario, nelle proprie cose, in
disparte.
La
missione e l’eremo si alimentano a vicenda. Anche nell’amore
umano se non c’è l’attività non ha senso l’intimità e se
non c’è l’intimità non ha senso l’attività.
o
Gesù vede molta folla e ne ha compassione, perché
le sue pecore erano senza pastore. Strano, Israele era pieno di
pastori. Gli uomini della parola: scribi, farisei, dottori della
legge, presidenti delle sinagoghe in ogni paese; i sacerdoti del
tempio, una tribù intera, un dodicesimo della popolazione dedicata
al culto; i re pastori consacrati con l’unzione e tutti i loro
collaboratori nella gestione della cosa pubblica. C’era gente
zelante e esperta, come, ad esempio, Saulo di Tarso, prima della
conversione. Anche oggi le vocazioni si sprecano: uffici e compiti
di tutti i tipi affidati tutti ai preti o alle persone consacrate.
o
La folla, consciamente o inconsciamente, cerca Gesù:
persone che sono senza scopi per vivere, che sono schiave di culture
vuote o di abitudini negative. Hanno bisogno di maestri che offrono
significati alti, di guide che hanno percorso le strade giuste e non
hanno paura di essere esigenti, perché sanno che la meta merita un
prezzo alto.
Ecco
il dramma del nostro tempo: ci sono attese e ansie di verità
nell’umanità, il Concilio ha dato le risposte adeguate ma non
c’è chi le annuncia con fedeltà ai cristiani di oggi.
Molti
predicano la loro interpretazione delle cose e della parola di Dio,
e non spezzano, invece, la parola di Dio e del Magistero, non sono
esigenti perché non sanno il valore.
La
gente ha bisogno della parola spezzettata così com’è;
l’interpretazione la dà lo Spirito. Geremia profetizza contro i
pastori, che fanno perire e disperdono le pecore, che le scacciano,
che non si preoccupano di loro, che fanno azioni malvagie. E noi
abbiamo detto: parola di Dio! Significa che anche oggi i
pastori sono come quelli indicati da Isaia.
o
C’è speranza da Dio: radunerò io stesso le mie
pecore da dove le ho lasciate scacciare.
Pensiamo
alle sorti della missione, alla crisi di credibilità che la gente
ha verso
la Chiesa.
Autorizziamo
Dio, con la nostra preghiera, a prendere l’iniziativa di fronte a
questa situazione, perché le pecore trovino i pascoli in cui
nutrirsi alle cose di Dio autentiche.
Chiediamo
al Signore di mandare operai alla sua messe: pochi sacerdoti e
persone consacrate, perché in passato ne ha mandati tanti e hanno
occupato il posto dei laici.
Preghiamo
il Signore che mandi tanti laici, che annuncino i
sensi e i valori vivendoli secondo il vangelo e in modo
credibile per la gente: la famiglia, l’economia, la politica.
Oggi
battezziamo 5 bambini. Perché? Perché diventino missionari del
regno dei cieli.
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ORDINARIO
17 B
2006
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Abbiamo
ascoltato una pagina del vangelo di Giovanni, l’evangelista dei
segni.
Facciamo
attenzione: Gesù moltiplica i pani ma con questo miracolo insegna.
Circa
5.000 uomini, visto il segno che aveva fatto, dicevano: Questi è
veramente il profeta che viene nel mondo. La gente riconosce che
Gesù è il profeta promesso e atteso.
Gesù
mette una speranza divina nella vita realizzando il futuro di Dio.
Il pane che sazia, come la manna, indica la terra dove scorre latte
e miele. Noi riconosciamo Gesù?
o
Gesù vede venire a lui molte persone che hanno fame. Che
cosa fare? Lo domanda a Filippo ed oggi a noi. Ci mette alla
prova provocandoci a confrontaci con Dio.
Gli
uomini cosa fanno davanti alla fame della moltitudine? Ripassiamo la
storia, la filosofia, l’economia. Alcuni pensano alla forza, perché
il più forte dispone della vita e dei beni dei vinti. Altri pensano
a dividere le risorse in parti uguali togliendo ai ricchi.
Altri
ancora propugnano la libertà economica: ognuno ha diritto a una
proprietà proporzionata al lavoro fatto, al capitale procurato,
alle gestione usata. La storia però documenta che questi sistemi
hanno causato lotte fratricide e non hanno sfamato le folle.
Gesù
sapeva cosa stava per fare: dare il segno di come agisce Dio di
fronte alla fame.
Dio
crea l’uomo e gli ordina di crescere e moltiplicarsi e gli dà le
risorse necessarie.
Egli
dà all’uomo la terra perché la lavori e ne tragga il nutrimento.
L’uomo ha bisogno di lavorare e di guadagnare il cibo per poterlo
condividere nella libertà e nell’amore.
Erano
5.000 uomini; se fossero stati 5.000 miliardi era lo stesso. Nella
creazione c’è il cibo per tutti, se l’uomo la lavora con
intelligenza e amore secondo il disegno di Dio.
Gesù
invita alla fiducia in Dio: comunque vadano le cose, anche se
amministrate dagli uomini e soggette a egoismi odiosi, tutto andrà
bene, perché Dio sazia il bisogno di vita.
La
fede cristiana educa alla giustizia ma anche all’escatologia. Dio
non è schiavo della storia né ricattabile dall’uomo ma conduce
il creato oltre la storia, in cieli e terra nuovi, dove tutti
mangeranno a sazietà, partecipando a banchetti prelibati e
abbondanti.
Ci
domandiamo: I cristiani sanno cosa fare davanti alla fame delle
folle?
Gesù
sapeva che stavano per venire a rapirlo e farlo re e si ritira
tutto solo.
Gesù
non è venuto sulla terra per ricevere il potere dagli uomini né
per essere onorato secondo i loro criteri ma per obbedire alla
volontà di Dio. Egli insegna che bisogna perdere la vita nel mondo
per poterla ritrovare in Dio. Il suo stemma è: il signore e
maestro che lava i piedi ai discepoli. Ciò significa che essere
signori e maestri, saper di più o avere di più degli altri,
obbliga a servire chi nella vita sa meno o possiede meno.
Facendo
così si diventa grandi. Il bisogno è un’occasione di crescita
per tutti: per chi dà e per chi riceve. La nostra Chiesa in questo
tempo distribuisce titoli di monsignore ai preti e di gratificazioni
ai laici. E’ giusto domandarci se così guida le comunità
ecclesiali secondo criteri umani o aiuta ad essere umili, a
confidare in Dio, a trovare unità attorno a Cristo, la verità, e a
rispondere alle emergenze di oggi? Abbiamo tutti bisogno di
conversione, soprattutto se viviamo lontani dalla parola di Dio e
dall’eucaristia.
Non
possiamo continuare a riconoscerci nelle parole del passato e nelle
vecchie devozioni ma dobbiamo aspirare a vivere in comunità
coscienti e responsabili.
Il
Concilio insegna che
la Chiesa
è il popolo di Dio profetico, sacerdotale e regale, in cui
partecipiamo alla conoscenza, alla coscienza e alla dignità di
Cristo. Non siamo gregge di pecore giustificate per natura a
sbandare e destinate ad essere comandate da altri.
La nostra guida è lo Spirito santo, che sviluppa i
doni dati nella iniziazione cristiana, che rende tutti capaci di
capire e di decidere secondo il carisma che abbiamo ricevuto e
avvalendoci del ministero dei pastori
come di un dono per un cammino comune.
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ORDINARIO
19 B
2006
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La
prima lettura ci presenta un evento profetico e il vangelo alcuni
insegnamenti di Gesù.
Le
due letture parlano del pane disceso dal cielo che fa vivere
l’uomo che si trova nel bisogno, in particolare della vita divina
e dell’alleanza con Dio.
o
Israele aveva introdotto il culto di Baal, un idolo
che era venerato a Sidone .
Elia
sul monte Carmelo aveva sfidato, svergognato e fatto uccidere i
sacerdoti di Baal.
Ma
poi Elia viene minacciato di morte, scappa nel deserto e, dopo
appena una giornata di cammino, mentre si riposa esausto e
sfiduciato, sotto un ginepro. Gli appare l’angelo del Signore,
mangia una focaccia e beve una borsa d’acqua preparati
dall’angelo e poi inizia un cammino di 40 giorni e 40
notti e raggiunge il monte Oreb o Sinai.
Il
cammino del profeta insegna a Israele che bisogna tornare al Dio
dell’alleanza stipulata nel deserto, dove il popolo aveva mangiato
il pane disceso dal cielo, la manna, e bevuto l’acqua scaturita
dalla roccia. Dio che
aveva parlato a Mosè sul monte Sinai ora sullo stesso monte parla
ad Elia e, tramite lui, continuerà a parlare al suo popolo, se verrà
ristabilita la purezza della fede. Mosè ed Elia saranno accostati
dai Sinottici alla teofania di Dio nel NT, avvenuta anch’essa su
un monte elevato dove
Gesù è stato trasfigurato.
o
Gv nel capitolo 6 del suo vangelo presenta Gesù che
sfama la folla moltiplicando i pani, cioè con un cibo che viene dal
cielo. La gente vede in lui il profeta e il re attesi, colui che
sarebbe venuto come nuovo Mosé e nuovo Elia. In seguito a questo
evento, il giorno dopo, a Cafarnao, Gesù intrattiene un lungo
dialogo con la folla. In esso presenta se stesso come il cibo che
Dio dona per la nuova ed eterna alleanza. Il pensiero di Gesù è
molto difficile per chi lo ascolta, tanto che la folla, prima
attratta dal segno, finisce per abbandonare Gesù, dopo che egli
spiega il significato del pane. Noi leggiamo le sue parole dopo la
sua pasqua, l’istituzione dell’Eucaristica e l’iniziazione
cristiana.
Nonostante
la nostra familiarità con Gesù le parole che egli dice hanno una
ricchezza ancora sconosciuta e difficile da celebrare. Anche noi a
volte sbagliamo circa l’eucaristia.
o
Fare Gesù re
oggi significa farlo l’uomo giusto, cui ispirare la vita, ma
lontano da noi.
Un
Gesù dentro le nostre liturgie e le devozioni. Rivendichiamo il
diritto di portarlo in processione, col seguito delle autorità e
degli uomini dell’ordine e il rispetto di tutti.
L’eucaristia
però si esaurisce nella Messa, che diviene cerimonia umana, e nella
processione, in cui diamo a Gesù qualcosa dell’onore delle nostre
piazze.
o
Nessuno può venire a me se non lo chiama il Padre
che mi ha mandato.
Il
Dio che ha chiamato Mosé ed Elia sul Sinai, perché parlino al
popolo in suo nome, ora chiama Gesù a donare al popolo
l’eucaristia come pane disceso dal cielo per nutrire la vita
eterna. C’è una continuità tra il cammino dell’esodo e il
cammino dell’iniziazione cristiana, tra la manna e l’eucaristia,
tra la vita che ha bisogno di essere nutrita e il Dio che nutre e
sue creature, fatte figli nel battesimo e nella cresima. Nel
battesimo siamo morti e risuscitati per sempre, e nella cresima
abbiamo ricevuto il dono dello Spirito , che ci divinizza
nell’amore divino. Come questo pane del cielo nutre la vita divina
in noi?
La
storia è chiamata a incorporarsi in Cristo, a salire il monte alto
dove avviene la trasfigurazione, a crescere continuamente in
sapienza e in grazia. Si
tratta di ripercorrere la salita di Cristo, dove le cose umane
progressivamente si ridimensionano e gli orizzonti divini si
dilatano. L’eucaristia attualizza e alimenta il battesimo e la
cresima: vince la delusione, il maledire e l’uccidere e tutto il
male che invade il mondo, e dona la bellezza del
cuore, spogliandolo dal male e rivestendolo del bene.
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ASSUNZIONE
DI MARIA 2006
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Celebriamo
l’assunzione di Maria come solennità festiva, cioè come evento
importante.
La
festa è nata nel sesto secolo dalla devozione popolare.
L’assunzione di Maria non ha riferimenti espliciti nella
Scrittura. E’ è stata proclamata verità di fede solo nel 1950.
Perché
un evento così grande si è imposto così tardi entro la fede e la
celebrazione?
Il
29 ottobre 1963 segna una data storica nel culto mariano. Ai 2.188
padri del Concilio viene chiesto se vogliono parlare di Maria in un
documento a se stante, considerandola cioè nelle sue prerogative
proprie, com’era avvenuto in occidente dal Medioevo fino ad
allora, o se vogliono parlare di lei inserendola nell’insieme
della storia della salvezza.
Con
una maggioranza ristretta di 40 voti i padri conciliari decidono di
trattare di Maria in funzione del mistero di Cristo e della Chiesa.
Era la prima volta che un Concilio ecumenico metteva Maria in questo
contesto. L’annuncio su Maria è stata inserito nel capitolo VIII
della costituzione sulla Chiesa, approvata un anno dopo da 2.151
padri conciliari su 2.156. Si è aperta una strada nuova per la
devozione a Maria.
o
Le due letture che la liturgia proclama in questa
solennità parlano della Chiesa e di Gesù.
Solo
in Gesù e nella Chiesa è possibile il riferimento a Maria e alla
sua assunzione.
o
Il capitolo 12 dell’Apocalisse presenta
la Chiesa
come una donna vestita di sole, cioè della luce del Risorto, una
donna che ha sul capo dodici stelle, cioè è illuminata
dall’insegnamento dei dodici apostoli. La donna poggia i piedi
sulla luna, cioè domina le stagioni mutevoli della storia. Cristo
vince le potenze del male, cioè il drago rosso con sette teste
coronate e dieci corna. E
la Chiesa
partorisce il bambino destinato a governare le nazioni. Il drago non
riesce a divorarlo perché viene rapito verso Dio e verso il trono.
Nella
Chiesa dunque e in Gesù si compie la salvezza, la forza e il regno
del nostro Dio.
Come
il bambino viene partorito dalla Chiesa? Inizia nel natale di Gesù
in cui la madre nella carne è Maria, cresce con lei e con la
comunità. Come governa le nazioni? Dalla croce, ai piedi della
quale c’è Maria che egli consegna alla Chiesa come Madre, e dalla
risurrezione da cui Gesù invia lo Spirito santo alla Chiesa riunita
con Maria nel Cenacolo. Maria è nella Chiesa per ricevere la forza
dall’alto per compiere la missione che il Risorto ha loro
affidato. Maria è e vivein funzione di Cristo e della comunità.
o
Il vangelo riferisce la visita di Maria ad Elisabetta.
Cosa centra con l’assunzione?
Maria
ha portato il Signore e la sua gioia fuori della casa di Nazaret,
andando a rendere un umile servizio alla cugina. Ha compiuto la
diaconia ai poveri, che è la missione di Gesù. Egli stesso a
Nazaret rivela di aver ricevuto dal Padre il dono dello Spirito e
l’unzione per annunciare il vangelo ai poveri e agli ultimi nella
graduatoria del mondo.
E’
la diaconia che
la Chiesa
continua ad esercitare perché ha parte alla sorte di Gesù.
Diaconia
è perdere la vita per guadagnarla, strada verso lo trasfigurazione
nella gloria.
Elisabetta
nella luce dello Spirito benedice Maria dicendo: Benedetta tu fra
le donne.
Applica
a Maria la benedizione di Lia, moglie di Giacobbe, quando aveva
avuto da lui il secondo figlio: “Beata me, perciò mi dicono
beata le donne”
(Gen 30,13). Elisabetta dice Maria beata,
perché ha creduto nell’adempimento della parola di Dio.
E’ la stessa fede di Abramo, nostro padre nella fede, di Cristo,
soprattutto nella passione, dei martiri e dei santi. E’ la fede
che porta alla risurrezione e all’assunzione. E il Magnificat che
cos’è?
E’
il canto di Anna, divenuta madre dalla sterilità, aggiornato agli
ultimi eventi vissuti da Maria, e l’esultanza della Chiesa celeste
di fronte al Dio che rende povero e arricchisce, che umilia ed
esalta, che sfama gli affamati e manda a mani vuote i ricchi.
o
Maria dunque si realizza dentro il mistero di Cristo e
della Chiesa. Maria non è prima o sola. Solo la devozione a Maria
che dipende da Cristo e dalla Chiesa, che viene in loro dopo di
loro, porta alla salvezza.
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ORDINARIO
20 B
2006
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Prov
9 presenta la sapienza come una donna che dispone la casa, prepara e
imbandisce la tavola e invita gli inesperti e gli stolti a mangiare
il suo pane e bere il suo vino, perché abbandonino la stoltezza,
cammino dritti per la via dell’intelligenza e vivano.
Gesù
imbandisce una mensa con il pane che è la sua carne e il vino che
è il suo sangue e invita a prendere, a mangiare e a bere. Chi
mangia e beve a questa mensa abbandonerà la sapienza umana, che è
stoltezza rispetto a Gesù sapienza, e la vita umana, che è
mortale rispetto a Gesù risorto e immortale. Il messaggio è
il cuore del vangelo ma chi mangia oggi l’eucaristia è guidato
dalla sapienza divina o umana, vive la vita eterna o mortale?
o
Io sono il pane della vita, quello vivente, quello
che è disceso dal cielo.
Il
pane è carico di simboli che richiama: terra, aratura, molti semi
nel campo, grano e zizzania, sole e pioggia, mietitura, macina che
toglie a ogni grano la buccia e trattiene il buono, impasto e
lievitazione, cottura, tavola preparata la festa di molti invitati.
Sedersi
a tavola e mangiare il pane è partecipare al dono di Dio e al
lavoro dell’uomo, è il voler condividere con i commensali il
cibo, i pensieri e gli affetti: è un pane di vita.
L’eucaristia
è simbolo del vangelo, della vita di Gesù e del mistero della
Chiesa, è la mensa in cui queste ricchezze le riceviamo, le
condividiamo perché nutrano tutti.
Noi
che partecipiamo all’eucaristia ogni domenica dobbiamo curare la
comunità.
L’eucaristia
non può essere un self-service, un pane per il singolo, né una
Chiesa senza accoglienza e comunione, un cibo condiviso in silenzio
con tutti e con nessuno, come nelle ristorazioni. Abbiamo
smaterializzato il pane trasformandolo in particola, parte così
piccola di pane da essere trasparente, da non potere essere
masticata o anche solo toccata con i denti e neppure ricevuta in
mano. Chi pensa di non essere degno di toccare la particola
spiritualizza l’eucaristia in maniera sbagliata, perché il
Signore ha detto: prendete e mangiate e la mia carne è
vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Nella
vita umana non mangiamo con la lingua ma con le mani. Prendere sulla
lingua non è più rispettoso o devoto del prendere in mano, dello
spezzare e del donare.
Le
nostre assemblee, con il
vuoto dei primi banchi, la difficoltà a mettersi vicino
all’altare o di servire l’altare o di cantare e pregare insieme
sono tanto lontane dall’ultima cena, dove i discepoli, seduti
attorno a Gesù, condividevano con lui l’ora di Dio.
o
Mangiare è riconoscersi. Paolo scrive ai Corinti: chi
mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve
la propria condanna (1Cor 11,29). Non è difficile riconoscere Gesù nel pane, è
difficile riconoscere nel pane e nel vino, offerti da Gesù, la sua
Chiesa, l’utero materno che genera e nutre il regno di Dio, la
fraternità che lega tutti.
Riconosce
la Chiesa
chi la abita, sapendo di condividerla con molti fratelli.
o
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la
vita eterna e io lo risusciterò.
Il
mangiare, quando non assimiliamo il cibo, nuoce alla vita. Quando
assimiliamo il cibo rende familiari. Quando il cibo è corpo di
Cristo, ci familiarizza con Cristo e la sua immortalità, perché
non ci lasciamo più guidare dalla sapienza umana ma dalla Parola e
dalla grazia. Partecipiamo alla sua grazia o dono e cresciamo con
lui. Accade così?
o
Come il Padre, il vivente, mandò me ed io vivo per
mezzo del Padre, colui che mangia di me vivrà per mezzo di me.
Ci sentiamo indegni di ricevere il Signore?
Dobbiamo
anche ricordare che chi non mangia muore.
Dobbiamo
mettere insieme i due percorsi aperti dal battesimo: penitenza e
comunione.
Dobbiamo
divenire noi stessi cibo di vita per tutti coloro che vivono con
noi.
Mangiare
e render grazie. Quando il cibo ci è donato o è condiviso.
Diventare
persone eucaristiche, che rende sperimentabile la sua presenza.
Come
la vittima offerta in sacrificio.
Incontrare
il Risorto e restare indifferenti o diventare missionari?
Mangiare
e dimorare. Gesù è venuto per dimorare, è l’Emmanuele.
Come
la parola di Dio,.
Mangiare
e vivere. Il corpo diventa cibo cioè sostegno del nostro corpo.
Di
me, del cibo. Chi mangia vive. Il pane disceso dal cielo: chi ha
mangiato la manna è morto Chi mangia di me vivrà in eterno.
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ORDINARIO
21 B
2006
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Abbiamo
ascoltato la conclusione del discorso di Gesù sul pane di vita di
cui abbiamo meditato alcuni brani significativi nelle domeniche
scorse. Gesù non parla più ai Giudei ma ai discepoli, non parla più
del pane ma della adesione alla sua parola.
o
E’ un momento di crisi del suo ministero e richiama
le crisi che attraversa
la Chiesa
, la diocesi, la parrocchia, il cristiano. Suscita la domanda: Come
vivere il momento di crisi?
La
crisi si manifesta nella mormorazione.
La Scrittura
indica così il rifiutare Dio.
Il
rifiuto si accompagna alla giustificazione di sé. Cambiano solo i
motivi del mormorare.
I
discepoli dicono di Gesù: Questo discorso è duro. sklhros
significa arduo.
Sclerotico
indica indurito, rigido ed esigente. Noi diciamo: la parola di Dio
è difficile.
La
difficoltà non è di ordine intellettuale o teologico ma
esistenziale. Gesù si pone come unico cibo e come unica strada per
arrivare al Padre, come il Messia venuto dal cielo.
I
discepoli non lo accettano. La vita, soprattutto la sfera affettiva,
conosce il rifiuto che nasce dal fatto che non accettiamo le persone
che Dio ci mette accanto. Mormoriamo per giustificare il nostro
atteggiamento. La fede nell’eucaristia va ben oltre il credere
nella presenza reale, come si è ritenuto nel secondo millennio
della Chiesa. Fede è accogliere Gesù come uno che ci abita e ci
modella nella sua esistenza; è vivere per con e in Cristo.
Seguiamo
la rivelazione che fa Gesù: Lo Spirito è il vivificante, la
carne non giova a nulla: Essere uomini umani non giova a nulla
perché la vita umana finisce nella morte.
Le
parole che vi ho detto sono spirito e vita. Gesù dice parole
che portano lo Spirito. Come tale Gesù alimenta in noi la vita
eterna, è il pane disceso dal cielo per dare la vita.
Nessuno
può venire a me se non gli è dato dal Padre. Gesù non può
essere conquistato dall’uomo e neppure compreso con
l’intelligenza ma va accolto come dono del Padre.
o
Questa rivelazione è confermata da questa bella
professione di fede di Pietro:
Signore,
da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna. Le parole di Gesù
non sono parole di teologia ma di vita. Gesù è dunque l’unica
persona che può dare la vita eterna. Le parole di vita rivelano e
il pane di vita nutre. Rivelare e nutrire sono la stessa realtà.
Parola
e sacramento sono complementari e necessari per il dono della vita
eterna.
E
noi abbiamo creduto e abbiamo conosciuto che tu sei il santo di Dio.
Pietro
associa il credere al conoscere. La fede che accoglie il dono è
necessaria perché il sacramento dispieghi la sua efficacia, il
sacramento è necessario
perché la fede si incarni nella vita cristiana e la coinvolga
sempre più profondamente in quella eterna.
o
Quando giunge la crisi non bisogna mormorare di Gesù
ma rivedere la propria fede.
L’incredulità,
il non giocarci tutto sulla persona di Gesù, chiude al sacramento e
alla vita.
Indica
che siamo noi a correre un grosso pericolo. Dio realizzerà i suoi
progetti passando attraverso il peccato e il rifiuto degli uomini,
perché ha sempre persone che gli credono.
Gesù,sempre
attento alle persone e misericordioso, non scende a compromessi.
Come con i venditori del tempio e con gli scribi e farisei. Gesù ci
ama proprio perché non scende a compromessi ma indica se stesso
come via al Padre. Il discepolo lascia il pensiero carnale per
vivere sul piano dello Spirito di Dio, perché solo l’amore è
credibile.
o
La fede ha sempre due percorsi: il credere agli eventi
in cui Dio si rivela e il conoscere, cioè il fare esperienza di ciò
che si crede coinvolgendo la vita.
Giosuè
convoca le tribù di Israele in Sichem con tutte le autorità e i
ministeri e pone la domanda: volete servire Dio o gli dei? Il popolo
professa la sua fede perché guarda all’amore di Dio. Il Signore
ci ha fatto uscire dalla condizione servile; ha compiuto grandi
miracoli davanti ai nostri occhi; ci ha protetto in tutto il viaggio
che abbiamo fatto.
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ORDINARIO
22 B
2006
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Il
brano del vangelo che abbiamo ascoltato è complicato da spiegare.
Perché mancano diversi
versetti e non si specifica bene il contesto in cui Gesù parla.
Altro è parlare a farisei e scribi e altro è parlare ai discepoli.
Occorre poi conoscere bene il significato che avevano le parole nel
mondo culturale e religioso di allora, per capire il pensiero di Gesù.
Poiché
questo non si può fare nel tempo di un’omelia mi limito a tre
sottolineature.
o
Voi, avendo abbandonato il comandamento di Dio,
osservate la tradizione degli uomini.
I
farisei davano valore ai cinque libri o pentateuco, chiamati qui il
comandamento di Dio, ma davano uguale valore alla legge orale,
chiamata qui tradizione degli uomini.
Era
l’insegnamento che interpretava
la Parola
, fatto dai vari maestri e trasmesso a voce.
Queste
tradizioni iniziano già ai tempi di Mosè e vengono rivestite della
sua autorità. Gesù dice che i farisei abbandonano il comandamento
e si attengono alla
spiegazione. Come noi cristiani quando, invece che leggere
la Scrittura
, leggiamo i catechismi.
Accade
anche quando, per spiegare l’impegno dell’uomo per la pace,
dimentichiamo di parlare della pace che ci dà Gesù. La pace
cristiana non è come quella che dà il mondo. Facciamo i discorsi
che fanno i filosofi, i sociologi, gli psicologi o altri educatori.
Gesù
afferma che le tradizioni smentiscono le parole di Dio. Esempi ce ne
sono tanti.
Molti
cristiani, dopo Costantino e per secoli, hanno tradito il vangelo
della non violenza; oggi in luoghi cristiani autorevoli, che quindi
si presentano come corretti e obbliganti, si affermano e si decidono
cose che in realtà non sono conformi al vangelo.
Il
comandamento di Dio nella bibbia non ha valore di legge giuridica ma
ha una valenza affettiva ed educativa. I genitori hanno una esigenza
forte di fronte ai figli piccoli, non perché si sentono padroni
della loro vita ma per educarli a interpretarla bene.
I
cristiani anelano alla fonte della parola di Dio, anche se arrivarci
richiede fatica; non bevono alle cisterne screpolate, a spiegazioni
facili, perché è in gioco Dio e la salvezza.
Se
professiamo dottrine o discipline umane non rendiamo culto a Dio e
non ci salviamo.
o
Questo popolo con le labbra onora me, però il loro
cuore sta lontano-distante da me.
Questa
parola di Gesù è attuale e urgente. Preghiera e culto non sono
staccati dalla vita, dalle relazioni e dalla comunità cristiana,
non vanno relegati alla sfera personale e vissuti come marginali
alla vita condivisa. Condividiamo tante cose belle e non la
religiosità. Ieri la religiosità impregnava la vita sociale,
magari senza convinzioni interiori. Siamo la famiglia di Dio e
viviamo le relazioni cristiane come cose private. La famiglia umana
non la viviamo così. Oggi è più difficile di ieri pregare, perché,
oltre alla difficoltà di stare nella contemplazione, c’è la
povertà interiore e l’attrazione verso altre cose.
La
maggioranza diventa determinante quando persone o gruppi sono deboli
nella fede.
Noi
viviamo le cose della vita e la preghiera in due spazi distinti, ma
esse non sono separate. La preghiera dà senso all’impegno e
l’impegno lo dà alla preghiera.
Altrimenti
cadiamo nella devozione disincarnata e nell’affermazione
personale.
Quando
si alimentano a vicenda, l’attività si fa lode e la preghiera si
fa impegno.
o
Le cose cattive vengono da dentro la persona
e rendono impuro l’uomo.
Occorre
coltivare gelosamente l’interiorità: pensieri, affetti e santità.
Queste cose sono la ricchezza e la bellezza della nostra vita. Mosè
dice che il popolo che osserva la parola del Signore evidenzia la
sua saggezza e intelligenza davanti agli occhi dei popoli.
La
parola di Dio è più intelligente e saggia di ogni altra parola,
per cui chi si lascia guidare da Dio diventa intelligente e saggio e
lo manifesta nelle sue scelte di vita.
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ORDINARIO
23 B
2006
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Gesù
si trova in territorio pagano. E’ circondato dalla folla e gli
conducono un sordo e muto. L’evento e il suo significato va capito
in questo contesto di persone che non condividono la fede di
Israele. E’ naturale riferire questa guarigione al battesimo, che
inizia un pagano alla vita cristiana. Nel rito del battesimo c’è
il riferimento esplicito a Gesù che apre le labbra e gli orecchi
alla vita divina che Dio dona al battezzato.
Essere
sordo e muto significa essere molto limitato o addirittura impedito
nella relazione religiosa, significa fare parte della schiera degli
ultimi e degli emarginati di ogni genere.
o
Le letture di oggi sono un invito alla speranza. Il
profeta Isaia esorta gli Israeliti provati dalla schiavitù
dell’esilio ad aver coraggio perché Dio viene a salvarli. Quando
viene Dio, allora coloro che ora sono malati guariranno e la terra
che ora è bruciata rifiorirà.
La
folla del vangelo, dopo la guarigione, dice di Gesù: Ha fatto
bene ogni cosa.
Gesù
è come il creatore che ammira le opere che fa e dice: Sono belle
assai.
La
redenzione è una nuova creazione e quindi tutto è chiamato a
diventare nuovo.
Non
tutto subito ma una ogni giorno, cioè ogni periodo della storia che
viene redenta.
Non
togliete la speranza e l’attesa in Dio, che redime e rinnova
sempre, anche oggi.
o
Oggi ci sono tante situazioni difficili da vivere.
Siamo minacciati da paure di tanti tipi, siamo criticati,
perseguitati a causa della giustizia o del nostro amore al regno dei
cieli o semplicemente tentati dagli idoli e minacciati da altre
seduzioni, sempre in agguato.
La
crisi della famiglia tradizionale e quindi la perdita della
sicurezza che ci dava, le inquietudini che portano le separazioni e
le convivenze sono sotto gli occhi di tutti.
Anche
la parrocchia è in crisi, per cui non è più punto di riferimento
per tutti, come dovrebbe essere una comunità che è seno materno in
cui cresce la vita cristiana.
Di
qui il rifugiarsi in gruppi e movimenti che rispondono alle
insoddisfazioni ma che tolgono il legame con le persone che Dio ci
ha posto accanto, di qui il migrare di parrocchia in parrocchia
perdendo il riferimento in cui crescere, in mezzo alla zizzania.
Aggiungiamo
le insicurezza umane, che influiscono su di noi che siamo parte
della società: la scuola, che non è più un posto in cui si può
svolgere con entusiasmo il lavoro nobile dell’educazione. Anche le
catechiste a volte sono scoraggiate a educare alla fede.
Le
condizioni in cui i bambini vengono in parrocchia oggi sono
difficili per chi forma alla fede. Pensate solo come è possibile
educare senza la collaborazione delle famiglie.
C’è
poi il lavoro, l’insicurezza della pensione e la mancanza di
soldi. Alla porta della canonica oggi bussano non solo extra
comunitari e pendolari dell’elemosina ma anche famiglie che non
hanno più soldi per le bollette e per dar da mangiare e vestire i
figli.
o
Tutte queste situazioni di crisi possono essere il
luogo in cui agisce la provvidenza.
Bisogna
puntare sulla speranza, sulla apertura alle novità che Dio compie
soprattutto nei momenti di crisi. Impariamo ad accettare la sfida di
una identità cristiana che non è più protetta da leggi, da
tradizioni e da consensi sociali ma che vive nella speranza in Dio.
Naturalmente
Dio conta su di noi. Da dove proviene l’emarginazione?
Dall’ignoranza. L’altro provoca l’atteggiamento di difesa
perché ci sentiamo minacciati nell’identità. Occorre il coraggio
di guardare in faccia il male che abbiamo dentro, di vedere i limiti
che provoca e di rimuoverlo da noi. Quanti persone sono paralizzate
perché non riconoscono i limiti che ci sono in loro e non amano se
stessi tanto da liberarsi. Riconciliarsi con se stessi è
indispensabile per vivere riconciliati, cioè da cristiani.
Il
Consiglio pastorale è
in ritiro per cercare le linee dell’anno pastorale. Preghiamo
perché Dio li rafforzi nella speranza e perché la comunità
accolga le loro indicazioni.
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ORDINARIO
24 B
2006
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La
liturgia della parola ci pone una domanda sempre attuale e utile:
Chi è Gesù?
Chi
è per la gente che lo ha incontrato nell’iniziazione cristiana,
è stata con lui nella età scolare ma da un certo punto non lo
segue più. Cosa è rimasto di lui nei pensieri e nel cuore di
questa gente? Sarebbe una ricerca interessante ma è più utile
domandarci chi è Gesù per noi, che siamo ancora con lui e che
ispiriamo la nostra vita al vangelo.
uello che Pietro ci rispecchia bene. Egli ha fatto la
professione di fede giusta: tu sei il Cristo.
Cristo
significa inviato e consacrato da Dio, cioè il messia. Luca scrive
che Gesù stesso si presenta così nella sinagoga di Nazaret,
commentando un testo di Isaia, ma che i suoi paesani non lo hanno
accettato come messia. La risposta di Pietro riflette non
l’opinione della gente ma la fede dei discepoli. Diciamo subito
che noi non abbiamo difficoltà a professare questa fede. Per secoli
la Chiesa
ha riflettuto su Gesù, costretta dalle eresie che sorgevano, ma
oggi questa identità di Gesù è condivisa dai suoi discepoli.
Diciamo
che nasce spontanea dall’ascolto della parola e dall’iniziazione
cristiana.
Marco
scrive che Gesù prende atto di questa fede ma procede oltre
nell’insegnamento.
Incominciò
a insegnare loro che doveva molto soffrire, essere riprovato dalle
autorità e poi venire ucciso e il terzo giorno resuscitare.
Questo messaggio era già annunciato nell’AT. Isaia nel terzo
canto del servo, dice che il servo non si sottrae alla sofferenza e
non oppone resistenza a chi lo perseguita, perché confida nel
Signore che lo assiste.
E
il salmo 118 parla di un giusto che Dio ha liberato dai nemici e
dice: la pietra scartata dai costruttori è divenuta
testata d’angolo. Questi testi rivelano l’identità del
Messia.
Il
NT poi, nei racconti della passione e risurrezione, e nella
predicazione della Chiesa apostolica, presenta la pasqua come il
nucleo centrale della vita e del vangelo di Gesù.
Per
noi questa fede è più facile che per Pietro, che l’ha professata
prima della pasqua. Noi però abbiamo distinto la vicenda di Gesù
dalla nostra; crediamo che Gesù ha dato la sua vita ma non siamo
disposti a dare anche noi la nostra vita a causa sua e del vangelo.
Pietro
prende in disparte Gesù e lo rimprovera. Noi non ci permettiamo di
rimproverare Gesù ma lo prendiamo in disparte dalla vita
quotidiana, lo lasciamo in disparte e inseguiamo il successo, anche
nella religione. Se non riusciamo
siamo capaci anche di vittimismo, di invidia e maldicenza. Accanto a
Gesù c’è sempre chi lo tradisce e lo consegna al nemico ma ci
sono anche innumerevoli martiri che danno la vita per lui.
Ci
sono persone che trovano tempo per dedicarsi alla pastorale,
spendendo il loro carisma con umiltà e generosità e ci sono quelli
che non hanno tempo da dedicare a Dio e che hanno paura. Altri si
danno da fare ma senza umiltà e gratuità, perché sopravalutano se
stessi e hanno sempre da dire degli altri, perché non seguono Gesù
ma se stessi.
La
fedeltà non si misura solo con la decisione presa a una certa età
di seguire il Signore, ma nelle scelte quotidiane, come la povertà,
l’essenzialità, la giustizia, l’autorevolezza e il perdono. La
politica dell’egoismo oggi è assunta a regola di vita, perché
non si ama il bene comune ma il corporativismo, i privilegi e la
religione disincarnata.
Oggi
raggiungere il successo è più importante dell’onesta dei mezzi
che usiamo. Evitiamo la franchezza e la durezza, preferiamo
addolcire tutto con i toni concilianti. Ci comportiamo, senza
volerlo, come satana, l’avversario del giusto e della sua fede in
Dio.
La
gioia cristiana non sta nel sorridere superficiale di chi soddisfa i
bisogni ma in un cammino lungo verso la pienezza, cammino che ha il
sapore del pane e del vino, che sono
frutto di molto lavoro e di lunghe fermentazioni. Anche
l’eucaristia domanda un lungo lavoro su di sé e lunghe
fermentazioni. Solo allora ha il sapore di Gesù, il Cristo.
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ORDINARIO
25 B
2006
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Gesù
e i discepoli attraversavano
la Galilea. Era
un viaggio in incognito, perché Gesù voleva dedicarlo a istruire i
discepoli. Annunciava loro la sua morte e risurrezione.
La
pagina di Marco che abbiamo ascoltato oggi le annuncia per la
seconda volta e mette in risalto la lontananza che c’era allora
fra Gesù e i suoi discepoli su questo punto.
o
Gesù si stava avvicinando alla fine del suo percorso,
aveva oltrepassato il punto da cui non poteva tornare indietro. Egli
si rendeva conto che il suo agire lo aveva portato a superare il
limite che le istituzioni religiose e l’ignavia delle persone
potevano tollerare.
Se
voleva essere coerente con la sua vita doveva morire per essere
fedele alla verità.
Era
arrivato al momento di dare la testimonianza totale e definitiva e
voleva portare i discepoli a comprenderlo. Ma tutto questo non
poteva essere frutto di una discussione.
Il
mistero non si può esibire né discutere ma solo testimoniare. Gesù
dona la sua vita e non può convincere a parole ma può solo sperare
che chi riceve il dono creda e capisca.
Il
potere del tempio lo metterà a morte in modo infamante, in modo da
annullare e distruggere la sua testimonianza di vita. Vuole uccidere
non tanto lui ma la sua opera.
Colpisce
il pastore perché le pecore siano disperse. Gesù annuncia ai suoi
questo mistero perché ricordino che tale sarà la sorte di chi
seguirà le sue orme. Ma Gesù rivela anche la seconda parte del
mistero. Una vita donata per la giustizia, una vita che compie il
disegno di salvezza del Padre, non può rimanere nella morte ma sarà
immortale a opera di Dio. Infatti una vita donata per la giustizia
esprime libertà e amore e vince ogni potere.
Gesù
e i suoi discepoli saranno sconfitti e diverranno i primi, moriranno
e diverranno immortali, come il regno di Dio di cui sono parte viva
e attiva. Nel regno dei cieli i lupi pascoleranno con le pecore, il
tempio sarà non un edificio ma il Signore stesso, l’autorità sarà
servizio umile, il fanciullo giocherà con i serpenti velenosi e gli
ultimi saranno primi. Splendida metafora che indica un mondo
divenuto rispettoso e fraterno per tutti.
o
I discepoli sono molto distanti da Gesù; le loro
scelte di vita sono all’opposto dalle sue.
Non
comprendevano queste parole, perché non avevano testimoniato
quello che diceva Gesù. Il testimone è uno che ha visto e
sperimentato e deve agire di conseguenza.
Chi
non ha visto né sperimentato una cosa non la comprende. I primi
discepoli di Gesù non sono stati capiti ma perseguitati, perché
avevano fatto con Gesù l’esperienza pasquale che i persecutori
non conoscevano. Anche noi non condividiamo alcune cose del vangelo
perché non abbiamo fatto l’esperienza che le ha provocate. Se le
nostre esperienze sono state contrarie possiamo condividere solo se
Dio converte i nostri cuori.
Sarebbe
utile domandarci: e se le persone che non accettiamo o critichiamo
avessero fatto un’esperienza di Dio forte, che noi non abbiamo
fatto e quindi non comprendiamo?
Mentre
Gesù annunciava la sua morte i discepoli litigavano per il primo
posto. Quando Gesù chiede di che cosa stavano discutendo nel
viaggio tacciono: si sentono a disagio. Questo disagio
interiore è come una breccia, che non è ancora apertura ma che
lascia loro la possibilità di aprirsi nel futuro, quando avranno
visto e fatto l’esperienza pasquale.
La
situazione invece si fa disperata quando i discepoli, che non
capiscono la rivelazione, si arroccano nel loro sentire o
abbandonano Dio, cioè non lasciano né aperture né brecce.
o
Gesù abbraccia un bambino identificandosi con lui. Il
bambino è l’ultimo nella scala del potere e quindi non partecipa
al male del mondo ed è il primo nelle possibilità di stare
abbracciato a Gesù. Essere ultimo e accogliere gli ultimi è la
legge del regno di Dio.
Quest’anno
pastorale ci dà la possibilità di fare esperienze forti e di
esserne testimoni.
Ci
saranno difficoltà ma, chi è convinto che Dio gli verrà in
soccorso, le supererà.
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ORDINARIO
26 B
2006
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Oggi
il Consiglio Pastorale ha presentato il nuovo piano pastorale 2006 -
2007 nel 9° anniversario della dedicazione della Chiesa.
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ORDINARIO
27 B
2006
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La
prima lettura e il vangelo presentano la sponsalità nel disegno di
Dio. In primo piano è la sponsalità nel matrimonio ma, in una
lettura più profonda, è una caratteristica della vita umana e
divina.
La Scrittura
annuncia la sponsalità con questa progressione: il regno di Dio
è la famiglia di Dio,
la Chiesa
è una famiglia e la famiglia è una piccola Chiesa.
o
L’idea guida di quest’anno pastorale dice: La
comunità del Risorto serve il Signore … nella comunione dei
carismi. Carisma nella lingua italiana significa una qualità
umana della persona, nel greco biblico invece to Carisma
significa: il dono di Dio.
-
Dio ci fa figli suoi nei sacramenti dell’iniziazione cristiana:
battesimo, confermazione e eucaristia. Essere figli di Dio è dono
di Dio, è il più grande ed è uguale in tutti i cristiani.
L’uomo e la donna sono uguali nella dignità, perché generati da
Dio a sua immagine.
-
La prima lettura rivela che Dio ha fatto l’uomo simile alla donna:
li ha costituiti uguali nella dignità ma anche diversi nelle
modalità di essere persone e quindi della vita.
Sono
persone intercomunicanti, che hanno un dono particolare da offrire e
da ricevere.
I
doni che ognuno possiede in modo diverso sono to Carisma,
doni di Dio che nessuno può tenere per sé ma che tutti hanno
bisogno di donare e ricevere per poter realizzarsi.
o
La comunità cristiana è fatta così: uguaglianza nel
carisma di base, diversità nelle modalità di vita. Occorre
misurare con il criterio di complementarietà e non di grandezza.
-
Papa, vescovi, presbiteri e diaconi non sono più grandi del
cristiano ma complementari. Gesù quando ha visto gli apostoli
preoccupati per chi fosse il più grande, ha preso un bambino e ha
detto: occorre essere come bambini per essere grandi. In altre
parole la dignità che deriva dall’iniziazione ci fa bambini
di Dio e quindi uguali davanti a lui.
-
Nella comunità cristiana ci sono modi diversi di vivere la stessa
dignità: il matrimonio, la virginità per il Regno e il ministero
ordinato, proprio di vescovi, presbiteri e diaconi.
Ci
fermiamo a quest’ultimo. Il Vaticano II ha introdotto una novità
teologica.
Nel
secondo millennio si riteneva che il ministero scaturisse da due
fonti: il sacramento dell’ordine abilitava a celebrare il culto (Fate
questo in memoria di me, nella cena), il diritto canonico
abilitava alla predicazione e al governo (dava il potere di
giurisdizione).
Il
sacramento era come un serbatoio: il presbitero era tale in
quanto uomo del culto.
Quanto
più era l’uomo di preghiera tanto più era santo e agiva
efficacemente.
Il
Vaticano II ha letto con maggiore attenzione le antiche fonti
cristiane e ha insegnato che il sacramento dell’ordine dona
le tre qualità proprie di Cristo pastore.
L’espressione
latina usata dal Concilio è questa: Presbiteri…vi sacramenti
Ordinis,
consecrantur
ad immaginem Christi, summi atque aeterni sacerdotis;
(consecrantur)
ad evangelium predicandum, ad fideles pascendos et ad divinum cultum
celebrandum (LG 28). Il sacramento dà tre facoltà
che sono come vasi intercomunicanti e il presbitero è tale
in tutte tre: in quanto annuncia la parola di Dio, governa la
comunità e santifica. Il tema viene sviluppato nel decreto
Presbiterorum Ordinis, che ha richiesto due anni di ricerca ed è
passato per sette versioni diverse. Il criterio per misurare la vita
della comunità non è stabilire chi tra pastore e fedeli è più
grande o comanda ma come sono complementari fra loro e come è
rispettato e valorizzato il carisma del presbitero.
o
C’è nella comunità una sponsalità ecclesiale
simile a quella dell’uomo e della donna. Dona intense possibilità
di realizzarsi e di essere felici, corre il pericolo della
delusione, della separazione, della rottura come accade oggi a tanti
matrimoni cristiani. Preghiamo e continuiamo questa riflessione per
sapere quello che Dio richiede alla comunità cristiana.
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ORDINARIO
28 B
2006
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Il
piano pastorale diocesano mette al centro dell’impegno l’ascolto
di Dio e dell’uomo.
L’idea
guida lo esprime così: la comunità del Risorto serve il Signore
con l’ascolto.
o
Sottolinea che ascoltare Dio e l’uomo sono due
percorsi complementari, che portano alla stessa rivelazione e alla
stessa obbedienza. Chi ascolta conosce e serve Dio.
Il
cristiano che ascolta Dio conosce e ascolta anche l’uomo, perché
Dio rivela l’uomo.
Il
cristiano che ascolta l’uomo conosce e ascolta anche Dio, che si
rivela nell’uomo. L’ascolto della parola scritta nella Bibbia è
in realtà ascolto di Dio che parla nella esperienza umana, nella
storia di una persona e di un popolo. Se non ci fossero state quelle
persone e le loro esperienze con Dio, non conosceremmo il volto che
conosciamo.
o
Pietro scrive: Ogni profezia della Scrittura non è
di privata spiegazione perché uomini parlarono da Dio mossi dallo
Spirito santo
(2Pt1,20s).
Ci sono sempre persone mosse dallo Spirito, cioè scelte e
consacrate da Dio stesso per parlare al suo popolo. Il Concilio
insegna: Presbiteri, vi sacramenti Ordinis, consecrantur ad
evangelium predicandum.
Dio
ha dato al presbitero il carisma di annunciare la sua parola. La
consacrazione è garanzia che Dio ha scelto di parlare attraverso
lui e obbliga ad ascoltarlo.
o
Il presbitero non è un insegnante che studia
la Bibbia
e poi la spiega al popolo.
Il
presbitero ascolta la parola, la prega, la conserva nel cuore, la
verifica in una fedeltà provata nelle tribolazioni e ne fa
un’esperienza di vita. E’ così anche nella vita umana.
I
genitori non dicono ai figli parole lette sui libri ma frutto della
loro esperienza, parole che interpretano la vita, perché vissute in
esperienze impegnative e talvolta dolorose.
Chi
annuncia la parola di Dio è forgiato da Dio entro il crogiolo della
vita quotidiana.
La
lettera agli ebrei dice che la parola è una spada a doppio taglio
che penetra la persona. Come possiamo annunciare Dio se non lo
conosciamo e se siamo attaccati a questa vita?
o
Da questa scelta di Dio derivano alcune conseguenze.
-
I catechisti e chiunque annuncia
la Parola
ricordino che nessuno può annunciarla privatamente, come fosse una
sua bravura e devono lasciarsi lavorare/trasformare da Dio.
-
Occorre valorizzare la parola che Dio annuncia attraverso il
presbitero che egli mette nella comunità in questo momento. Come
nella comunità non c’è eucaristia senza presbitero così non
c’è
la Parola
senza lui. E’ lui che dà il mandato in nome della Chiesa a coloro
che annunciano la parola in parrocchia. E lui che interpreta la
parola che illumina e risana anche nel segreto della confessione. Mi
confidava una persona: è una fortuna che c’è la confessione; è
davvero un dono, una nuova Emmaus.
La
prima lettura dice che la sapienza va preferita a tutto e amata
sopra tutto.
Se
mettiamo prima simpatie o antipatie, libertà e grandezze umane,
addio parola di Dio!
-
Maria ha ascoltato la parola di Dio e la ha riflessa in tutta la sua
vita ma soprattutto sotto la croce, dove c’erano poche persone
simpatiche e nessuno che la proclamava beata.
Il
vangelo annuncia che è difficile entrare nel regno di Dio. Sappiamo
che i profeti sono stati rifiutati. Verifichiamo se anche noi li
rifiutiamo, oggi.
-
La parola di Dio è il primo dono di Dio, il dono che Dio ci fa do sé
stesso ed è grande onore ascoltarla e annunciarla. Parlare di Dio
ai figli e agli amici, comunicare la parola in gruppo, fare i
catechisti, richiede sopportare fatiche ma è anche la opportunità
grande della vita, perché ci fa conoscere Dio e l’uomo. Diceva un
membro del nostro Consiglio pastorale: sono fortunato; non sapevo
che esistevano cose così belle.
Il
Consiglio è il luogo dove la comunità ascolta. La parrocchia è il
luogo dell’ascolto.
Chiediamo al Signore che ci aiuti a conoscerlo e a
servirlo con l’ascolto.
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ORDINARIO
29 B
2006
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L’idea
guida recita: la comunità del Risorto serve il Signore con la
lode. Lo serve nella liturgia che è preghiera della Chiesa,
luogo del culto cristiano. Israele pregava con gli inni, i cantici,
i salmi, celebrava gli eventi della salvezza nelle feste;
santificava le ore della giornata nella preghiera del tempio, che
era casa del Padre e della preghiera, celebrava il sabato nelle
sinagoghe dei paesi, dove ascoltava la parola e cantava la lode.
Il
culto si esprimeva nell’offrire il sacrificio e nel pregare come
comunità.
o
Le Chiese cristiane sono rimaste fedeli alla lode
ebraica, ne usano ancora le preghiere, la hanno rinnovata alla luce
del mistero di Cristo e con le feste cristiane e i sacramenti.
Nella
parrocchia non c’è solo la Messa e le devozioni del popolo. Prima
delle devozioni viene la liturgia di lode che è importante come il
sacrifico. Infatti viene chiamata sacrificium laudis. Anche nel
nostro passato in parrocchia c’era ogni domenica il canto dei
vespri. Ora lodi e vespri sono le preghiere che aprono e chiudono
ogni giornata, perché tutta la vita diventi lode a Dio. La liturgia
fa queste preghiere a nome del popolo. Il vescovo Ravignani, il
giorno del mio ingresso in parrocchia, ci ha conferito questo
mandato: far sì che la comunità faccia risuonare la liturgia di
lode.
La
preghiera di lode è diversa dalla devozione popolare, come il
rosario e la via crucis.
La
Chiesa ha sempre custodito gelosamente la liturgia di lode come
custodisce la Parola. Lex orandi è lex credendi: la preghiera
esprime la fede. Anche ora citiamo la preghiera della Chiesa come
citiamo la Scrittura. Riconosciamo così che si è formata sotto
l’influsso dello Spirito; continuiamo così la preghiera di lode
che troviamo nella Bibbia.
o
Dio dona vari carismi perché la Chiesa celebri bene
la lode. Il Concilio insegna: Presbiteri, vi sacramenti Ordinis,
consecrantur ad divinum cultum celebrandum.
Dio
consacra i presbiteri custodi del culto, cioè del sacrificio e
della lode della comunità.
Senza
il ministero del presbitero non c’è liturgia né eucaristica né
di lode.
Qual’è
il carisma del presbitero nella liturgia? Presiedere l’assemblea
orante, consacrare il pane e il vino, innalzare a Dio la preghiera
eucaristica a nome del popolo, rimettere i peccati nel sacramento
della confessione, rappresentare la Chiesa negli altri sacramenti.
Gli sposi, ad esempio, sono ministri del loro matrimonio non in
forma privata ma in chiesa, cioè in una celebrazione in cui la
presenza del presbitero garantisce il sacramento.
Che
valore ha la presenza del presbitero? Egli fa della preghiera della
comunità una liturgia di lode. Significa che ogni liturgia va
celebrata in comunione con il presbitero.
-
La preghiera dei fedeli nasce dai fedeli ma per diventare lode
ecclesiale ha bisogno del consenso di chi presiede; i fedeli non
possono dire nella liturgia qualsiasi preghiera.
-
Leggere la parola di Dio nelle liturgie compete ai
fedeli ma il presbitero dà il
mandato a lettori formati, che conoscano quello che leggono e lo
fanno in modo conveniente.
-
Il canto dell’assemblea richiede il ministero degli
animatori e del coro ma la scelta e le modalità dei canti vanno
concordate con chi presiede la celebrazione. Il coro fa un servizio
a Dio e alla comunitàma il canto è deciso dalla comunità nel
rispetto dei carismi. E’ importante la comunione. Se
nell’assemblea i cuori sono divisi, anche la liturgia più bella
si svuota di senso.
Le
letture ci dicono che il culto è fare della nostra vita un
sacrificio per Dio.
Lo
ha fatto Gesù, sommo sacerdote, che è stato provato in ogni cosa,
e lo fa la Chiesa.
Giacomo
e Giovani provano a chiedere a Gesù di seder accanto a lui nella
sua gloria.
Ma
Gesù li educa a essere grandi e divenire primi facendosi servi di
tutti.
Ogni
domenica la nostra comunità si riunisce per servire il Signore con
la lode.
Deve
imparare ad essere sempre comunità umile e fraterna, rispettosa dei
carismi e in particolare del carisma del parroco che è consacrato
custode del culto.
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ORDINARIO
30 B
2006
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L’immagine
della strada ci aiuta a comprendere la parola. Gesù guarisce
Bartimeo sulla strada di Gerico, un paese 150 m. sotto il livello
del mare, e poi sale a Gerusalemme, 800 m. sopra il livello del
mare, superando 950 m. di dislivello. Gesù in cammino verso
Gerusalemme annuncia più volte la passione ai discepoli ma essi non
sono capaci di capire la strada che egli indica. Bartimeo diventa
modello del discepolo che è reso capace da Gesù di vedere e
camminare sulla strada che eleva in alto, a differenza del ricco, il
non discepolo, che ritorna sui suoi passi triste perché non sa
elevarsi sopra i suoi beni.
Il
salmo 125 canta Dio che riconduce gli esuli sulla strada da
Babilonia a Gerusalemme.
La
lettera agli Ebrei dice che Gesù prova compassione per quelli che
sono nell’errore, cioè che errano, fuori dalla strada di Dio.
Anche le comunità cristiane non sono capaci di riconoscere la
strada indicata da Gesù e hanno bisogno di essere guarite dalla
cecità.
Dio
dona ad alcuni, che egli chiama, il carisma di indicare e aprire la
sua strada di Dio. Presbiteri, vi sacramenti Ordinis,
consecrantur ad fideles pascendos, sono consacrati per pascere
la comunità. Il pastore conduce i cristiani ai pascoli della vita,
dove essi si nutrono e crescono insieme
con gli uomini, e li riconduce all’ovile, a essere comunità
del Signore. C’è la strada percorsa da Gesù
e c’è quella seguita dagli uomini che non porta alla
salvezza. Trovare il giusto rapporto fra presbitero e comunità è
una cosa seria ed abbiamo il dovere di educarci a valorizzare i
carismi che Dio dà alla sua Chiesa.
Il
Concilio ha istituito gli organismi di partecipazione e noi stiamo
ancora imparando a farli funzionare perché a molti non è chiaro
che cos’è la Chiesa. Si dice ad esempio che il Consiglio
pastorale è consultivo e che la decisione spetta al pastore. Consultivo
indica che presbitero e Consiglio si consultano tra loro. Insieme
rappresentano la chiesa che è il popolo di Dio. Sappiamo dagli Atti
degli apostoli che era la comunità a scegliere i pastori e gli
apostoli a consacrarli. La comunità li inviava in missione e a li
ascoltava a missione compiuta. La comunità non era solo consultata
ma decideva riconoscendo i pastori come dono di Dio e rispettandone
il carisma. La Bibbia presenta i pastori non come capipopolo ma come
sacerdoti, guide e re. Insieme con i profeti indicavano la strada al
popolo.
Il
NT riconosce il titolo sacro di sacerdote solo a Gesù Cristo. Nella
Chiesa il ministero consacrato viene chiamato con tre nomi, che
indicano tre diverse funzioni.
Gli
episcopi sono i custodi della vita ecclesiale; i presbiteri sono gli
anziani-saggi che la guidano, e i diaconi sono i servitori della
carità. La pienezza del carisma di ministro è nel vescovo che
riceve le tre consacrazioni e assomma servizio, saggezza e
vigilanza.
Pascere
i fedeli significa condurre la comunità sulla strada che Dio ha
rivelato in Cristo, la strada pasquale, la liberazione nel passaggio
faticoso dalla morte alla risurrezione.
I
cammini ecclesiali di una parrocchia sono decisi e guidati dai
Consigli parrocchiali, organismi
dove la comunità consulta il pastore
e questi consulta la comunità ed insieme custodiscono la
comunione ecclesiale. Noi abbiamo questo impegno reciproco: non i
Consigli senza il pastore né il pastore senza il Consiglio. Tra
queste realtà non ci possono essere contraddizione e subordinazione
perché sono tutti e due suscitati da Dio.
Le
difficoltà nascono da noi, che tendiamo ad assumere gli
atteggiamenti che ci sono negli organismi democratici della società
civile e non quelli ecclesiali.
Non
tutte le decisioni passano attraverso i Consigli di partecipazione.
C’è il cammino delle persone e dei gruppi e va fatto elevandosi
sopra la dimensione umana perché Dio cammina con noi operando nei
diversi carismi che egli stesso ha dato. Va riconosciuto in
particolare ciò che Dio opera nel ministro in virtù della sua
elezione e consacrazione.
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TUTTI
I SANTI 2006
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Celebriamo
la festa di tutti santi come solennità, come un evento grande della
salvezza.
La
festa lega il primo e l’ultimo libro della Bibbia: la Genesi e
l’Apocalisse.
La
discendenza promessa da Dio ad Abramo, numerosa come le stelle del
cielo e come i granelli di sabbia del mare, si realizza nella
moltitudine di santi che nessuno può contare.
La
festa dei santi è nata nel IV secolo come festa di tutti i martiri:
dice il fascino che suscita il testimone che affronta deciso la
passione, il fascino di Cristo, di Ignazio e altri.
La
festa è celebrata nel tempo autunnale, a conclusione dei raccolti,
segno dell’autunno fecondo della Chiesa ,dopo le gestazioni
faticose di inverno, primavera ed estate.
La
santità conosce una evoluzione e una purificazione continua in cui
Dio può lavorare.
o
I santi chi sono e da dove vengono?
- Sono l’apocalisse di Dio: Dio si rivela nei santi.
Le
beatitudini propongono una trasformazione tra quello che siamo al
presente e quello che saremo per opera di Dio. Gesù propone un
concorso per la beatitudine: saper stare nelle condizioni umane di
vita che Dio può trasformare in regno compiuto e in gioia.
Essere
poveri nella dimensione umana per ricevere la ricchezza che dà
lo Spirito santo, stare nell’afflizione entro i piaceri del
mondo per gioire dei piaceri spirituali, essere non violenti
in un mare di violenza, per vivere la vita come dono, essere zelanti
della giustizia che supera quella degli scribi e dei farisei
moderni per essere partecipi del Regno, essere misericordiosi
in un vortice di maldicenza e di malaffare per far rifiorire la
vita; essere miti e puri di cuore in un mondo ipocrita e
spudorato perché venga la purezza di Dio; essere perseguitati
tra una folla di raccomandati per servire il Regno; soffrire
la causa di Cristo, in una maggioranza diventata pagana perché
rimanga la fede..
-
I santi sono i servi sui quali Dio ha impresso il suo sigillo,
la croce dell’iniziazione.
Se
i cristiani non superano la visione negativa di Dio e dell’uomo,
l’uomo moderno non accoglierà il disegno di Dio. Crediamo in Dio
padrone e nell’uomo servo, che sarà premiato o castigato in base
alle sue opere, e così giuriamo che sono le opere che salvano e non
il dono di Dio; crediamo in Dio giudice e così ci facciamo giudici
dei nostri fratelli.
Dio
invece è amante della vita che egli stesso sviluppa in Cristo, come
i rami crescono con l’albero e le membra con il corpo. Il peccato
contro lo Spirito non sarà perdonato. Non avere più una fede in
Gesù così da stare sereni nelle condizioni delle beatitudini; non
seguire lo Spirito che ci divinizza nella parola, nella liturgia e
nella fraternità; presumere di sapere, di essere santi e di non
aver bisogno dei cammini suscitati da Dio.
Chiediamo
al Signore di vedere dove si nasconde il peccato del nostro tempo,
l’ateismo nella pratica, e di farci coinvolgere in Gesù, nelle
sue beatitudini, trasformate da Dio.
o
Richiamiamo la nostra idea guida: la comunità del
Risorto serve il Signore con la lode.
Guardiamo
la liturgia del Regno, indicata nell’Apocalisse: essa è sobria ma
significativa. La folla comprende ogni popolo e lingua; la pluralità
rimane perché il Signore ama tutte le cose belle che fa: non c’è
una lingua unica o una melodia unica, ma la pluralità.
I
santi stanno in piedi davanti a Dio: non ci sono inginocchiatoi. I
santi sono opere originali di Dio ma hanno una veste comune; la
stola bianca indica la santità in Cristo.
La
vita cristiana è per tutti vita umana e quindi variopinta e vita
divina e quindi unica.
La
liturgia comprende i segni: le palme nelle mani dei santi indicano
il martirio.
La
liturgia si esprime con parole e a gran voce, il canto corale. Il
canto esprime la fede condivisa: la salvezza appartiene Dio, perché
è solo lui che trasforma i beati in santi.
I
viventi che stanno intorno a Dio lo adorano inchinandosi
profondamente; l’inchino profondo esprime lo stare in piedi, la
propria dignità, e lo stare nell’atteggiamento di chi riconosce
che la salvezza viene da Dio: ogni liturgia esprime la dignità e la
gratitudine.
I
santi e i nostri morti ci domandano un’eucaristia fatta di umiltà,
fiducia e gratitudine.
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ORDINARIO
31 B
2006
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Al
tempo di Gesù la legge ebraica comprendeva 613 precetti. Gesù
richiama il comando delle origini, riportato in Dt 6,4-5, e che il
pio israelita recitava come preghiera tre volte al giorno: ama Dio e
il prossimo con tutto te stesso, come te stesso, cioè con intensità.
Questo
insegnamento vale per tutta la vita cristiana, anche per la
preghiera liturgica.
Nella
visita alle famiglie mi sono trovato più volte davanti a scene come
questa.
La
mamma chiede al bambino: cantaci la canzone che hai imparato a
scuola. Il bambino la canta con impegno; il risultato è così e così,
ma i genitori sono felici di ascoltarlo, perché
sono legati con il bambino da un intenso affetto. Per loro è
più bella la canzone cantata dal figlio che cantata da un estraneo
che la esegue meglio. Noi siamo figli di Dio e a lui il canto che
nasce dal cuore piace più che i canti ben eseguiti dei
professionisti.
Che
senso può avere per Dio, ad es., il canto e il suono di solisti,
per denaro esentasse?
La
domenica i fedeli fanno assemblea davanti a Dio: si incontrano perché
si amano.
Dio
parla loro e ne ascolta la risposta. Dio e l’assemblea sono al
centro della liturgia.
Chi
costruisce una chiesa deve farla in modo che i fedeli stiano uniti
cioè assemblati.
La
nostra chiesa è bella ma le colonne dividono l’assemblea. Anche
tanti di voi si mettono lontano, ai lati, isolati, come pregassero
da soli. I banchi semivuoti denotano una religiosità ancora
individuale. L’altare, l’ambone, la sede del celebrante, il
battistero, l’aula delle confessioni e l’iconografia sono
visibili a un popolo che celebra unito. Nella liturgia tutti operano
a nome dell’assemblea: il celebrante, il coro e gli attori
liturgici.
Il
coro ad esempio è voce dell’assemblea come lo è il celebrante.
Se non c’è il coro ma l’assemblea
canta con amore, anche se i canti sono così e così, la liturgia è
completa. Appena possiamo, introdurremo alcune novità per aiutare
di più l’assemblea a cantare.
Noi
celebriamo tre Messe festive: quella della sera non ha né coro né
strumento musicale. Quella delle nove ha il coro giovani supportato
da alcuni adulti e chi suona e dirige.
La Messa
delle
10.30 ha
il coro degli adulti, con un organista giovane che sta maturando e
promette bene; attualmente manca il direttore di coro. Ma il coro al
completo c’è solo nelle solennità più importanti e a volte
neppure a quelle, come alla veglia pasquale.
Ci
si agita tanto per poche celebrazioni mentre dobbiamo preoccuparci
di come cantare ogni domenica, la pasqua della settimana. Dal
momento che le cose sono così, insieme con il Consiglio pastorale
vi faccio questa proposta. A ogni Messa festiva facciamo come a
quella delle nove: quelli che sono presenti ed hanno passione e
capacità normale di cantare si mettono insieme nei banchi davanti
al battistero e cantano insieme, con amore al Signore e alla comunità.
Il loro canto sosterrà quello dell’assemblea. Essa però deve
partecipare, convinta che è in chiesa per cantare e non per
ascoltare il canto degli altri.
Occorrerà
che ci sia una persona che intona i canti; che l’organo o le
chitarre li accompagnino o almeno che qualcuno dia le note iniziali
per l’intonazione. Credo che il Signore sia contento se cantiamo
così. Il mandato per questo come per gli altri servizi liturgici lo
dà il parroco, se ci sono le condizioni. Chi fa un servizio
liturgico, ad es., non può parlare male della comunità o del
parroco; uno non può leggere la parola di Dio in chiesa e dire
parole che dividono fuori. Mettiamo in pratica quello che ci ha
insegnato il Signore. Se stai prestando il tuo servizio alla
liturgia e ti ricordi che qualcuno ha qualcosa contro di te, lascia
lì la tua offerta e va prima a riconciliarti con il tuo fratello.
Lasciamo stare l’offerta del canto, piuttosto che farla con i
cuori divisi dalla comunità.
Amare Dio e il prossimo intensamente è il cuore
della parola di Dio. Deve essere anche il cuore della parola che
rivolgiamo a Dio, la liturgia. Il Signore ci aiuti a essere fedeli.
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