Omelie del tempo ordinario 2     (2006) 

 

a cura di don Carlo Salvador

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25.06.2006 ORDINARIO 12 B 2006 

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02.07.2006 ORDINARIO 13 B 2006

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09.07.2006 ORDINARIO 14 B 2006

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16.07.2006 ORDINARIO 15 B 2006

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23.07.2006 ORDINARIO 16 B 2006

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30.07.2006 ORDINARIO 17 B 2006

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TRASFIGURAZIONE DEL SIGNORE

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13.08.2006 ORDINARIO 19 B 2006

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15.08.2006 ASSUNZIONE DI MARIA

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20.08.2006 ORDINARIO 20 B 2006

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27.08.2006 ORDINARIO 21 B 2006

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03.09.2006 ORDINARIO 22 B 2006

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10.09.2006 ORDINARIO 23 B 2006

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17.09.2006 ORDINARIO 24 B 2006

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24.09.2006 ORDINARIO 25 B 2006

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01.10.2006 ORDINARIO 26 B 2006

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08.10.2006 ORDINARIO 27 B 2006

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15.10.2006 ORDINARIO 28 B 2006

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22.10.2006 ORDINARIO 29 B 2006

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29.10.2006 ORDINARIO 30 B 2006

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01.11.2006     TUTTI I SANTI 2006

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05.11.2006 ORDINARIO 31 B 2006

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12.11.2006 ORDINARIO 32 B 2006

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19.11.2006 ORDINARIO 33 B 2006 clicca per scaricare il file in formato word
26.11.2006 CRISTO RE      B 2006

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ORDINARIO  12  B  2006

( Omelia tenuta dal diacono Elio Tardivo )

 Marco 4, 35-41

 

«Verso sera disse loro: “passiamo all’altra riva”». Gesù ha appena terminato di spiegare il Regno di Dio con parabole. L’evangelista Marco chiude, per così dire “la giornata delle parabole” e ne apre un’altra in cui racconta una serie di miracoli. I miracoli del Vangelo, come le parabole,

sono segni del Regno. Gesù dunque si trova sulla riva del lago di Genezaret. Mette alla prova i discepoli per vedere se hanno capito la Parola e vuole suscitare in loro il desiderio di conoscerlo:«chi è dunque costui, al quale il vento e il mare gli obbediscono?»

Gesù sale in una barca con i discepoli per un viaggio insieme. Prendono il largo sul fare della sera e subito si leva una tempesta che mette in serio pericolo i naviganti. Gesù dorme. Non fa nulla per uscire dalla situazione. Per i Padri della Chiesa la barca è simbolo della Chiesa che naviga in compagnia di Gesù tra le persecuzioni, le divisioni interne, gli scandali e le eresie.

Gesù è presente, ma dorme. Che cos’è questo silenzio del Signore che non interviene?  Il sonno di Gesù manifesta confidenza e fiducia in Dio:«sono tranquillo e sereno come un bimbo svezzato in braccio a sua madre» Sal.131. E’ la serenità di chi sa di compiere il disegno del Padre. E’ il sonno di colui che consegnerà la vita sulla croce per riprenderla nella risurrezione, manifestandosi come signore della storia.

 Se i discepoli avessero capito la parola delle parabole, avrebbero avuto anch’essi serenità e fiducia. La tempesta e la paura provengono dalla nostra mancanza di fede. Per mancanza di fede non percepiamo la presenza di Gesù che governa la vita della Chiesa.

Domenica scorsa, nel ritiro degli operatori pastorali, ci siamo interrogati sulla qualità della nostra fede di fronte alla difficoltà di vivere da cristiani in un mondo ostile e di costruire una comunità cristiana unita nella preghiera, solidale e fraterna.

Nella nostra parrocchia – è stato detto - ci sono comportamenti contrastanti.

Alcuni credono alla Parola di Dio. Colgono i segni del Regno che si realizza. Cercano soluzione ai problemi. Non ingigantiscono le divergenze e i malumori. Sono propositivi e perseveranti. Lasciano volentieri le proprie faccende per dedicarsi alle cose di Dio e alla comunità.

Altri si ritirano scoraggiati di fronte alla chiamata esigente del Vangelo, come il giovane ricco (Lc 18,24) o come quei discepoli che si tirarono indietro e non andarono più con lui dopo il discorso di Gesù sul pane (Gv 6,6)

Altri continuano a lagnarsi delle situazioni. Esprimono accuse e maldicenza. Criticano l’evolversi della vita cristiana. Insistono sulle difficoltà e generano uno stato d’animo di sfiducia. Creano divisione.

Altri vivono da separati dentro la comunità.

La mancanza di fede sta alla radice dell’iniquità e allontana dal Dio vivente.

 

La tribolazione può risvegliare la fede e rafforzare la pazienza e la fedeltà.

I discepoli presi dal panico svegliano Gesù: «Maestro, non ti importa che moriamo?». Dopo aver provocato la loro fede, si manifesta come colui che domina le potenze della natura e guida gli eventi della storia, ma chiede il coraggio di affidarsi a lui. Sgrida il vento e ordina al mare di calmarsi. Fa come quando Dio ordinò alle acque di separarsi dalla terra perché potesse fiorire la vita; mandò il diluvio per porre fine alla malvagità umana  e dare inizio ad una nuova alleanza con l’umanità; comandò alle acque del mar Rosso di separarsi per aprire la strada della libertà ad Israele. Gesù crea le condizioni perché ognuno di noi possa trovare segni di speranza. Ma occorre riconoscerli e riconoscere l’azione dello Spirito santo. Occorre credere che è possibile essere cristiani ed è possibile essere missionari. Non dobbiamo lasciarci sopraffare dalla preoccupazione e dalla paura della sconfitta. La fede ci rende consapevoli che di fronte alle difficoltà usciamo vincitori, perché Dio ci fa entrare nel suo Regno.

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ORDINARIO  13  B  2006

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·        Dal libro della Sapienza abbiamo ascoltato tre affermazioni sulla vita e sulla morte.

Dio ha creato tutto per la vita; le creature sono sane e non hanno veleno di morte.

Dio ha creato l’uomo per l’immortalità, a immagine di se stesso che è immortale.

La morte è entrata per invidia del diavolo ed è per coloro che gli appartengono.

La morte non è causata dal peccato, e non è castigo di Dio per il peccato, ma deriva dall’invidia del diavolo verso Dio. Il diavolo può molto contro l’uomo, che mentre cresce ignora il suo futuro. L’uomo è libero e in tentazione tra un futuro di vita e di morte.

Chi appartiene al diavolo fa esperienza della morte, chi appartiene a Dio non la fa.

Il peccato che conduce alla morte non è provocato dalla debolezza morale ma dalla debolezza della fede. Infatti apparteniamo a una persona se ci innamoriamo di lei.

Le opere che facciamo sono conseguenza dell’amore che nutriamo verso una persona.

Molte scelte morali oggi sono negative e portano negatività ma il peccato non sta nelle opere ma nel fatto che non riconosciamo Dio come nostro salvatore.

I comandamenti recitano: Io sono il Signore tuo Dio, che ti ha liberato dalla schiavitù dell’Egitto. Siamo liberi quando seguiamo Dio nell’esodo verso la libertà.

Il diavolo c’è. Oggi si nega il diavolo e che l’uomo sia capace di fare un male così grande da perdere la vita eterna. Ma quale spiegazione diamo alla morte e ai mali che affliggono l’umanità? Quale risposta al bisogno di vita eterna? Dipende a chi diamo fiducia.

·        Giairo, un capo sinagoga, si getta ai piedi di Gesù e lo prega di andare a casa sua ad imporre le sue mani sulla figlia morente, perché si salvi e viva. Gesù dice: Non temere, solo credi! In casa prende la bambina per mano e le dice: Fanciulla, a te dico: Alzati!

Solo credi: avere la salvezza e la vita dipende solo dalla fede. La potenza di Dio opera in presenza della fede come il diavolo opera quando gli diamo fiducia o gli obbediamo.

Gesù restituisce la bambina viva alla sua famiglia ed essa è piena di stupore e gioia.

·        Oggi celebriamo l’accoglienza di due bambini e l’inizio del grest.

Accogliere i bambini nella Chiesa è iniziare con loro il cammino verso la vita eterna.

Il battesimo infatti è passaggio dalla morte alla vita risorta attraverso Cristo.

Il grest nell’esperienza parrocchiale è un cammino verso la felicità. La corsia stesa in chiesa dagli animatori è segno della ricerca della felicità e del luogo dove trovarla.

Sono eventi che riempiono di stupore e gioia. Li troviamo nella vita eterna che vive nel regno di Dio, che è giustizia, pace e gioia nello Spirito santo. Questa frase riportata nel cartellone l’abbiamo meditato a lungo con gli animatori in quattro giorni di ritiro.

I genitori danno occasione ai figli di fare un cammino ecclesiale verso la felicità.

La parrocchia dà occasione ai bambini, ai ragazzi e agli animatori di crescere nella giustizia del regno dei cieli, da cui derivano la pace e la felicità. Scrive un padre della Chiesa: La gioia non consiste nel conoscere qualche verità su Dio, ma nell’avere Dio in se stessi. L’eucaristia è pane e vino del Regno e alimentano la vita eterna, la vita divina.

L’eucaristia, la comunione con Dio, è la meta verso cui tende il cammino ecclesiale.

Solo credi! Il resto lo compie la potenza di Dio in Gesù, che ora vive nella sua Chiesa.

Chi crede aiuta la parrocchia ad assicurare a tutti un bel cammino di iniziazione cristiana e sostiene il grest, perché sia segno della giustizia di Dio che si compie nelle nostre vite.

Chiediamo a Dio una fede grande, perché questi eventi divini ci coinvolgano e siano per tutti noi occasione di crescita nella vita eterna e quindi eventi di salvezza.

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ORDINARIO  14  B  2006

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La liturgia accosta il profeta Ezechiele e Gesù, due persone vissute a distanza di circa 600 anni, perché la parola che Dio ha rivelato in loro allora, agisca anche in noi, oggi,.

La parola detta da Dio nel passato diventa viva nell’oggi di Dio in cui viene proclamata.

·        Ezechiele siede con il suo popolo, cioè è una persona allo stesso livello del popolo.

Lo Spirito entra in lui e lo alza in piedi: è in mezzo al suo popolo ma più in alto di esso.

Dio lo fa profeta entro un popolo con il cuore duro-ostinato, che pecca contro Dio.

Dio, quando le sue parole sono rifiutate o stravolte, manda un uomo a  viverle: il profeta.

Sarà un specchio per loro. Sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro.

·        Seicento anni dopo Gesù insegna nella sinagoga del suo paese. E’ uno del paese, conosciuto come il falegname. Marco non lo chiama figlio del falegname, ma falegname. La Chiesa può celebrare la festa di Gesù lavoratore, accanto a quella di S. Giuseppe.

La gente conosce anche sua madre Maria e i suoi parenti stretti e si scandalizza di lui.

skandalizw en autw significa: inciampo in uno. Paolo in Rm 9,32 scrive che Gesù è pietra d’inciampo. Marco qui riporta due motivi di inciampo: la sapienza che Dio gli ha dato e i prodigi che Dio compie per mezzo delle sue mani. La sua sapienza è diversa da quella della sinagoga, le sue mani di falegname compiono i prodigi dello Spirito.

Ciò riempie di stupore, ma lo stupore può giocare a favore o contro. Lo stupore delle cose nuove, quando sono ritenute migliori delle passate, stimola alla ricerca.

Lo stupore delle cose nuove, quando si resta attaccati a quelle passate, porta al rifiuto. Quello che i compaesani di Gesù sanno di lui è vero ma è il passato di un ebreo come loro mentre lo Spirito nel Giordano ha innalzato Gesù: il figlio di Maria è il figlio di Dio, il fratello nella carne è il fratello di quelli che ascoltano la Parola e la praticano.

Il profeta disprezzato fino alla crocifissione partecipa della gloria di Dio. I compaesani di Gesù non riconoscono che egli è l’innalzato e, rifiutandolo, inciampano in lui e cadono.

·        Questa parola è attuale e interpella anche noi: siamo diventati cristiani nel cammino dell’iniziazione, partecipiamo alla Messa festiva e alcuni anche ai gruppi parrocchiali; magari qualcuno potrebbe andare a un quiz televisivo sul vangelo, ma le cose che sappiamo riguardano il passato, non quello che Dio dice oggi. Bisogna ascoltarlo oggi.

Possiamo fermarci alla nostra conoscenza e alle nostre tradizioni?

No, perché Dio eleva qualcuno al di sopra di noi, oggi, e lo fa profeta rispetto a noi.

No, perché Dio parla sempre aggiornando la sua parola alla vita e alla nostra età.

Noi non parliamo ai figli fino ai diciotto anni soltanto e poi tacciamo perché sanno tutto, non parliamo alla persona amata fino al matrimonio e poi tacciamo perché sa tutto.

La sapienza e il lavoro delle mani continuano e il comunicare è sempre più prezioso. Forse noi teniamo Gesù imbalsamato nel nostro cuore che diventa il suo sepolcro.

La religiosità si gioca in relazioni sempre nuove con Dio e con la vita.

Nell’amore, sia religioso sia umano, è possibile guadagnare o perdere tutto, ogni giorno.

Le coppie che stanno insieme finché hanno sposato i figli e poi si separano o vivono da separati in casa sono coppie fallite. Stiamo attenti: la religiosità, come l’amore umano, va aggiornata continuamente o fallisce. Chiediamo al Signore di riconoscere i profeti in mezzo a noi e chiediamogli che il suo Spirito innalzi ciascuno di noi e ci faccia profeti, perché la sua parola diventi la nostra vita profetica, e tutti possano provarne stupore. Alcuni vi inciamperanno ma altri riconosceranno lo Spirito e saranno salvati.

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ORDINARIO  15  B  2006

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Gesù chiama a stare con lui e manda. Anche Gesù sta con il Padre e viene mandato.

I discepoli sono chiamati e mandati, ognuno con il compito che riceve dal Signore.

La spiritualità cristiana sposa insieme lo stare con Gesù e l’essere missionario. Il brano del vangelo oggi è riferito agli Apostoli ma le stesse cose Gesù le ha dette ai 72 discepoli. I missionari hanno un potere che viene da Dio: il potere della parola che convince, della grazia che santifica, della carità che guarisce. Questo potere divino è la loro vera forza, garantita da Dio, e opera segni che stupiscono sia il missionario sia la comunità.

o       Si è mandati a due a due. La famiglia si fonda sull’amore di due sposi molto diversi.

In parrocchia i gruppi mettono insieme diversità e formano unioni. La forza della missione dipende dalla coesione e dalla fedeltà delle diversità che si mettono insieme.

Il grest è possibile perché forze diverse lavorano insieme nella fedeltà al progetto.

o       La missione ha valore e forza in se stessa e richiede al missionario di essere libero.

Gesù parla di povertà dicendo che al missionario basta l’indispensabile

o       La missione richiede di essere radicati. Finché si è in un luogo ci si dedica ad esso.

La parrocchia è luogo di missione in cui radicarsi. Dalla parrocchia si va verso la forania e la diocesi, come dalla propria famiglia si va verso le altre famiglie, e non viceversa.

Ci sono cristiani che scelgono come si sceglie un negozio in cui rifornirsi, ma i discepoli sono scelti da Gesù e messi insieme con coloro che lui sceglie e che manda dove vuole.

o       La missione non è facile. Il missionario incontra anche chi non lo riceve e non lo ascolta.

Ricevere e ascoltare sono strettamente legati; se non si ascolta la parola del missionario non lo si riceve, perché egli fa un tutt’uno con la missione. E anche il missionario deve sapere che il consenso che riceve, se non è consenso alla parola e alla grazia che porta, sono pericolosi. E’ pericoloso cercare le simpatie umane per contare su di esse.

Simpatie, titoli ed onori sono un ostacolo alla missione, perché distolgono da essa.

o       Il profeta Amos viene mandato via dal sacerdote di Betel, perché profetizzava dove c’era la reggia e il tempio: era un luogo riservato ai profeti designati dal re e dai sacerdoti. Ritirati nel paese di Giuda e mangia lì il tuo pane. Ma la profezia non è un mestiere. Amos aveva già il lavoro ma Dio lo ha chiamato a profetizzare a tutto il popolo e anche il re e i sacerdoti sono parte del popolo. Qualcuno gioca con le cose sacre quando dice: Se uno non dice quello che dicono tutti non merita di essere ascoltato, perché la legge del popolo di Dio è l’unità. Dimentica che l’unità della Chiesa si realizza attorno a Cristo, che è verità. L’unità senza la verità non interessa né Dio né gli uomini retti.

o       I profeti perseguitati sono nell’unità più di chi li perseguita in nome dell’unità.

Gesù, quando dice che ogni regno diviso in se stesso si dissolve, non difende qualsiasi tipo di unità. Anche i demoni sono uniti, anche i nemici della Chiesa, anche i gruppi a delinquere. L’unità in Cristo richiede di obbedire alla parola di Dio e al Magistero.

o       Gli ebrei che ritornavano dalla terra pagana prima di toccare la terra d’Israele si pulivano i piedi per non contaminarla. Il missionario rifiutato si scuote di dosso la polvere per evitare di contaminarsi con coloro che rifiutano il vangelo. E’ necessario essere amici di tutti? Gesù lo era quando svolgeva la sua missione?

Ci sono cristiani che in missione restano contaminati e tradiscono la fiducia di Dio.

In tutte le chiamate, anche in quelle umane, succede di realizzarsi o di perdersi.

Anche tra gli Apostoli c’è stato il traditore. Chiediamo al Signore che ci aiuti a stare con lui e a  dedicarci alla missione come egli ci ha insegnato con la vita e la parola.

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ORDINARIO  16  B  2006

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Domenica scorsa Mc ci ha presentato le consegne che Gesù ha dato ai Dodici inviandoli in missione. Oggi descrive l’andamento della missione, sottolineando due cose positive.

o       Gli apostoli si dedicano con generosità: non si riservano neppure il tempo per mangiare. Una domanda per noi: noi ci dedichiamo alla missione che il Signore ci ha affidato con generosità? Cerchiamo prima il regno di Dio o ci preoccupiamo prima del mangiare, cioè di raggiungere il livello di vita che il mondo, il progresso e il lavoro oggi ci propongono?

o       I dodici si radunano presso Gesù e gli annunciano quanto avevano fatto e insegnato.

Noi, quando verifichiamo la pastorale, ci raduniamo con Gesù o tra di noi?

Da chi andiamo? Non basta confrontarci con le esperienze degli altri o sentire gli esperti; occorre verificarci con chi ci ha mandato e ci accompagna. Egli è con noi ogni giorno se noi siamo con lui, fedeli alle consegne che egli ci ha fatto quando ci ha mandati.

Domenica abbiamo detto che l’unità la si costruisce attorno alla verità e quindi a Gesù.

o       Venite voi stessi in disparte verso un eremo e riposatevi un pò.

Il riposo dell’apostolo non è svago riempito di cose, magari trasgressive, come nelle nostre vacanze, ma è andare nell’eremo, luogo solitario, nelle proprie cose, in disparte.

La missione e l’eremo si alimentano a vicenda. Anche nell’amore umano se non c’è l’attività non ha senso l’intimità e se non c’è l’intimità non ha senso l’attività.

o       Gesù vede molta folla e ne ha compassione, perché le sue pecore erano senza pastore. Strano, Israele era pieno di pastori. Gli uomini della parola: scribi, farisei, dottori della legge, presidenti delle sinagoghe in ogni paese; i sacerdoti del tempio, una tribù intera, un dodicesimo della popolazione dedicata al culto; i re pastori consacrati con l’unzione e tutti i loro collaboratori nella gestione della cosa pubblica. C’era gente zelante e esperta, come, ad esempio, Saulo di Tarso, prima della conversione. Anche oggi le vocazioni si sprecano: uffici e compiti di tutti i tipi affidati tutti ai preti o alle persone consacrate.

o       La folla, consciamente o inconsciamente, cerca Gesù: persone che sono senza scopi per vivere, che sono schiave di culture vuote o di abitudini negative. Hanno bisogno di maestri che offrono significati alti, di guide che hanno percorso le strade giuste e non hanno paura di essere esigenti, perché sanno che la meta merita un prezzo alto.

Ecco il dramma del nostro tempo: ci sono attese e ansie di verità nell’umanità, il Concilio ha dato le risposte adeguate ma non c’è chi le annuncia con fedeltà ai cristiani di oggi.

Molti predicano la loro interpretazione delle cose e della parola di Dio, e non spezzano, invece, la parola di Dio e del Magistero, non sono esigenti perché non sanno il valore.

La gente ha bisogno della parola spezzettata così com’è; l’interpretazione la dà lo Spirito. Geremia profetizza contro i pastori, che fanno perire e disperdono le pecore, che le scacciano, che non si preoccupano di loro, che fanno azioni malvagie. E noi abbiamo detto: parola di Dio! Significa che anche oggi i pastori sono come quelli indicati da Isaia.

o       C’è speranza da Dio: radunerò io stesso le mie pecore da dove le ho lasciate scacciare.

Pensiamo alle sorti della missione, alla crisi di credibilità che la gente ha verso la Chiesa.

Autorizziamo Dio, con la nostra preghiera, a prendere l’iniziativa di fronte a questa situazione, perché le pecore trovino i pascoli in cui nutrirsi alle cose di Dio autentiche.

Chiediamo al Signore di mandare operai alla sua messe: pochi sacerdoti e persone consacrate, perché in passato ne ha mandati tanti e hanno occupato il posto dei laici.

Preghiamo il Signore che mandi tanti laici, che annuncino i  sensi e i valori vivendoli secondo il vangelo e in modo credibile per la gente: la famiglia, l’economia, la politica.

Oggi battezziamo 5 bambini. Perché? Perché diventino missionari del regno dei cieli.

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ORDINARIO  17  B  2006

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Abbiamo ascoltato una pagina del vangelo di Giovanni, l’evangelista dei segni.

Facciamo attenzione: Gesù moltiplica i pani ma con questo miracolo insegna.

Circa 5.000 uomini, visto il segno che aveva fatto, dicevano: Questi è veramente il profeta che viene nel mondo. La gente riconosce che Gesù è il profeta promesso e atteso.

Gesù mette una speranza divina nella vita realizzando il futuro di Dio. Il pane che sazia, come la manna, indica la terra dove scorre latte e miele. Noi riconosciamo Gesù?

o       Gesù vede venire a lui molte persone che hanno fame. Che cosa fare? Lo domanda a Filippo ed oggi a noi. Ci mette alla prova provocandoci a confrontaci con Dio.

Gli uomini cosa fanno davanti alla fame della moltitudine? Ripassiamo la storia, la filosofia, l’economia. Alcuni pensano alla forza, perché il più forte dispone della vita e dei beni dei vinti. Altri pensano a dividere le risorse in parti uguali togliendo ai ricchi.

Altri ancora propugnano la libertà economica: ognuno ha diritto a una proprietà proporzionata al lavoro fatto, al capitale procurato, alle gestione usata. La storia però documenta che questi sistemi hanno causato lotte fratricide e non hanno sfamato le folle.

Gesù sapeva cosa stava per fare: dare il segno di come agisce Dio di fronte alla fame.

Dio crea l’uomo e gli ordina di crescere e moltiplicarsi e gli dà le risorse necessarie.

Egli dà all’uomo la terra perché la lavori e ne tragga il nutrimento. L’uomo ha bisogno di lavorare e di guadagnare il cibo per poterlo condividere nella libertà e nell’amore.

Erano 5.000 uomini; se fossero stati 5.000 miliardi era lo stesso. Nella creazione c’è il cibo per tutti, se l’uomo la lavora con intelligenza e amore secondo il disegno di Dio.

Gesù invita alla fiducia in Dio: comunque vadano le cose, anche se amministrate dagli uomini e soggette a egoismi odiosi, tutto andrà bene, perché Dio sazia il bisogno di vita.

La fede cristiana educa alla giustizia ma anche all’escatologia. Dio non è schiavo della storia né ricattabile dall’uomo ma conduce il creato oltre la storia, in cieli e terra nuovi, dove tutti mangeranno a sazietà, partecipando a banchetti prelibati e abbondanti.

Ci domandiamo: I cristiani sanno cosa fare davanti alla fame delle folle?

Gesù sapeva che stavano per venire a rapirlo e farlo re e si ritira tutto solo.

Gesù non è venuto sulla terra per ricevere il potere dagli uomini né per essere onorato secondo i loro criteri ma per obbedire alla volontà di Dio. Egli insegna che bisogna perdere la vita nel mondo per poterla ritrovare in Dio. Il suo stemma è: il signore e maestro che lava i piedi ai discepoli. Ciò significa che essere signori e maestri, saper di più o avere di più degli altri, obbliga a servire chi nella vita sa meno o possiede meno. 

Facendo così si diventa grandi. Il bisogno è un’occasione di crescita per tutti: per chi dà e per chi riceve. La nostra Chiesa in questo tempo distribuisce titoli di monsignore ai preti e di gratificazioni ai laici. E’ giusto domandarci se così guida le comunità ecclesiali secondo criteri umani o aiuta ad essere umili, a confidare in Dio, a trovare unità attorno a Cristo, la verità, e a rispondere alle emergenze di oggi? Abbiamo tutti bisogno di conversione, soprattutto se viviamo lontani dalla parola di Dio e dall’eucaristia.

Non possiamo continuare a riconoscerci nelle parole del passato e nelle vecchie devozioni ma dobbiamo aspirare a vivere in comunità coscienti e responsabili.

Il Concilio insegna che la Chiesa è il popolo di Dio profetico, sacerdotale e regale, in cui partecipiamo alla conoscenza, alla coscienza e alla dignità di Cristo. Non siamo gregge di pecore giustificate per natura a sbandare e destinate ad essere comandate da altri.

La nostra guida è lo Spirito santo, che sviluppa i doni dati nella iniziazione cristiana, che rende tutti capaci di capire e di decidere secondo il carisma che abbiamo ricevuto e avvalendoci del ministero dei pastori  come di un dono per un cammino comune.

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TRASFIGURAZIONE DEL SIGNORE  2006

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In oriente la trasfigurazione è chiamata pasqua di mezza estate. E’ una festa, legata al 6 agosto; meriterebbe di essere celebrata come solennità, di domenica, giorno del Signore,

L’evento è raccontato dai sinottici Mt, Mc e Lc; noi meditiamo il loro racconto insieme.

o       Alcune premesse per capire la trasfigurazione nel contesto spirituale della nostra vita.

Gesù prende con sé tre apostoli per insegnare che l’evento è per la Chiesa , per noi.

Avviene tra salita e discesa, in un contesto di cammino, com’è la vita sulla terra.

Non è la pasqua, che è discesa nella morte e salita, e neppure una meta da raggiungere.

      E’ una rivelazione perché Gesù si apparta con i tre discepoli, per stare solo con loro.

Si sta appartati quando ci si rivela. E’ rivelazione divina come fanno capire il monte alto, in cui la trasfigurazione avviene, e la nube, che è segno della presenza di Dio.

La trasfigurazione avviene nella pienezza del tempo: sei giorni dopo la nostra confessione su Gesù, cioè il sabato, o l’ottavo giorno, il primo della nuova creazione.

o       Rivela la qualità e le carenze della fede di Pietro e nostra. Pietro si pronuncia su Gesù. Gesù aveva chiesto cosa pensassero di lui e Pietro aveva risposto: tu sei il Cristo di Dio.

Gesù annuncia la necessità della sua passione e Pietro lo rimprovera: non ti accadrà mai!

E’ facile professare la fede nelle cose già accadute, soprattutto quando sono belle per noi, come l’opera del Padre che crea, del Figlio che redime e dello Spirito che santifica.

Difficile è professare la fede negli eventi che stanno per accadere, che coinvolgono la nostra esistenza: credere che Gesù deve morire oggi nella vita nostra e della Chiesa.

La professione di fede battesimale è più coerente del credo della Messa, perché include anche la rinuncia alle tentazioni e al male, e questa scelta coinvolge la nostra vita.

E’ sempre utile interrogarci sulla qualità e le carenze della fede che noi professiamo.

o       La trasfigurazione evidenzia che siamo impreparati di fronte al mistero di Gesù.

I discepoli hanno paura, come l’avranno le donne davanti al sepolcro vuoto.

Pietro non sa cosa dire e propone di costruire le tende per rimanere sul monte.

Ma le persone trasfigurate hanno la loro dimora in cielo. Noi vorremmo legare la realtà divina alla terra, perché sia a portata nostra, mentre dobbiamo noi elevarci fino al essa.

La rivelazione insegna che Gesù è incarnato, incorporato, inserito nelle relazioni vitali. Non è possibile costruire tende sul monte, anzi, la trasfigurazione è una iniziazione a seguire Gesù nella storia, perché la vita divina cresce entro gli interrogativi, le sfide e le speranze di questa vita, che è l’unica che ci è data. Occorre essere umili di fronte a mistero di Gesù, perché ci riserva eventi esistenziali che non conosciamo.

o       Dalla nube la voce del Padre dice: Ascoltatelo! I discepoli non possono interpretare il mistero di Gesù né guidarlo ma devono lasciarsi guidare da Dio attraverso  il suo inviato.

Egli discende dal monte della gloria per vivere tra gli uomini, che lo spingeranno a salire il monte dell’umiliazione e della morte, il  calvario, che è il vertice della rivelazione.

Rivela che la vita di Dio e dell’uomo ha senso quando si fa dono totale. Dio dona tutto sia nella vita trinitaria che in quella ecclesiale. Dio educa ad amare con intera la mente, con intero il cuore e con intere le capacità della persona, ad amare come Gesù ha amato.

o       Gesù si trasfigura insieme a Mosè ed Elia, che rappresentano la storia e l’escatologia.

La missione di Mosè e di Elia si realizza in Gesù, in cui si compie ogni azione di Dio.

Anche la nostra missione è legata a Gesù. La viviamo in modo che lui la compia?

o       Pietro conforta i cristiani in tempo di tentazione facendo riferimento alla sua esperienza sul monte e alla parola: Questi è il mio figlio, il mio amato in cui mi sono compiaciuto. La sequela di Gesù nella prova porta ad essere figli di Dio, amati e riconosciuti.

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ORDINARIO 19  B  2006

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La prima lettura ci presenta un evento profetico e il vangelo alcuni insegnamenti di Gesù.

Le due letture parlano del pane disceso dal cielo che fa vivere l’uomo che si trova nel bisogno, in particolare della vita divina e dell’alleanza con Dio.

o       Israele aveva introdotto il culto di Baal, un idolo che era venerato a Sidone .

Elia sul monte Carmelo aveva sfidato, svergognato e fatto uccidere i sacerdoti di Baal.

Ma poi Elia viene minacciato di morte, scappa nel deserto e, dopo appena una giornata di cammino, mentre si riposa esausto e sfiduciato, sotto un ginepro. Gli appare l’angelo del Signore, mangia una focaccia e beve una borsa d’acqua preparati dall’angelo e poi inizia un cammino di 40 giorni e 40  notti e raggiunge il monte Oreb o Sinai.

Il cammino del profeta insegna a Israele che bisogna tornare al Dio dell’alleanza stipulata nel deserto, dove il popolo aveva mangiato il pane disceso dal cielo, la manna, e bevuto l’acqua scaturita dalla  roccia. Dio che aveva parlato a Mosè sul monte Sinai ora sullo stesso monte parla ad Elia e, tramite lui, continuerà a parlare al suo popolo, se verrà ristabilita la purezza della fede. Mosè ed Elia saranno accostati dai Sinottici alla teofania di Dio nel NT, avvenuta anch’essa su un  monte elevato dove Gesù è stato trasfigurato.

o       Gv nel capitolo 6 del suo vangelo presenta Gesù che sfama la folla moltiplicando i pani, cioè con un cibo che viene dal cielo. La gente vede in lui il profeta e il re attesi, colui che sarebbe venuto come nuovo Mosé e nuovo Elia. In seguito a questo evento, il giorno dopo, a Cafarnao, Gesù intrattiene un lungo dialogo con la folla. In esso presenta se stesso come il cibo che Dio dona per la nuova ed eterna alleanza. Il pensiero di Gesù è molto difficile per chi lo ascolta, tanto che la folla, prima attratta dal segno, finisce per abbandonare Gesù, dopo che egli spiega il significato del pane. Noi leggiamo le sue parole dopo la sua pasqua, l’istituzione dell’Eucaristica e l’iniziazione cristiana.

Nonostante la nostra familiarità con Gesù le parole che egli dice hanno una ricchezza ancora sconosciuta e difficile da celebrare. Anche noi a volte sbagliamo circa l’eucaristia.

o       Fare Gesù  re oggi significa farlo l’uomo giusto, cui ispirare la vita, ma lontano da noi.

Un Gesù dentro le nostre liturgie e le devozioni. Rivendichiamo il diritto di portarlo in processione, col seguito delle autorità e degli uomini dell’ordine e il rispetto di tutti.

L’eucaristia però si esaurisce nella Messa, che diviene cerimonia umana, e nella processione, in cui diamo a Gesù qualcosa dell’onore delle nostre piazze.

o       Nessuno può venire a me se non lo chiama il Padre che mi ha mandato.  

Il Dio che ha chiamato Mosé ed Elia sul Sinai, perché parlino al popolo in suo nome, ora chiama Gesù a donare al popolo l’eucaristia come pane disceso dal cielo per nutrire la vita eterna. C’è una continuità tra il cammino dell’esodo e il cammino dell’iniziazione cristiana, tra la manna e l’eucaristia, tra la vita che ha bisogno di essere nutrita e il Dio che nutre e sue creature, fatte figli nel battesimo e nella cresima. Nel battesimo siamo morti e risuscitati per sempre, e nella cresima abbiamo ricevuto il dono dello Spirito , che ci divinizza nell’amore divino. Come questo pane del cielo nutre la vita divina in noi?

La storia è chiamata a incorporarsi in Cristo, a salire il monte alto dove avviene la trasfigurazione, a crescere continuamente in sapienza e in grazia.  Si tratta di ripercorrere la salita di Cristo, dove le cose umane progressivamente si ridimensionano e gli orizzonti divini si dilatano. L’eucaristia attualizza e alimenta il battesimo e la cresima: vince la delusione, il maledire e l’uccidere e tutto il male che invade il mondo, e dona la bellezza del  cuore, spogliandolo dal male e rivestendolo del bene.

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ASSUNZIONE DI MARIA  2006

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Celebriamo l’assunzione di Maria come solennità festiva, cioè come evento importante.

La festa è nata nel sesto secolo dalla devozione popolare. L’assunzione di Maria non ha riferimenti espliciti nella Scrittura. E’ è stata proclamata verità di fede solo nel 1950.

Perché un evento così grande si è imposto così tardi entro la fede e la celebrazione?

Il 29 ottobre 1963 segna una data storica nel culto mariano. Ai 2.188 padri del Concilio viene chiesto se vogliono parlare di Maria in un documento a se stante, considerandola cioè nelle sue prerogative proprie, com’era avvenuto in occidente dal Medioevo fino ad allora, o se vogliono parlare di lei inserendola nell’insieme della storia della salvezza.

Con una maggioranza ristretta di 40 voti i padri conciliari decidono di trattare di Maria in funzione del mistero di Cristo e della Chiesa. Era la prima volta che un Concilio ecumenico metteva Maria in questo contesto. L’annuncio su Maria è stata inserito nel capitolo VIII della costituzione sulla Chiesa, approvata un anno dopo da 2.151 padri conciliari su 2.156. Si è aperta una strada nuova per la devozione a Maria.

o       Le due letture che la liturgia proclama in questa solennità parlano della Chiesa e di Gesù.

Solo in Gesù e nella Chiesa è possibile il riferimento a Maria e alla sua assunzione.

o       Il capitolo 12 dell’Apocalisse presenta la Chiesa come una donna vestita di sole, cioè della luce del Risorto, una donna che ha sul capo dodici stelle, cioè è illuminata dall’insegnamento dei dodici apostoli. La donna poggia i piedi sulla luna, cioè domina le stagioni mutevoli della storia. Cristo vince le potenze del male, cioè il drago rosso con sette teste coronate e dieci corna. E la Chiesa partorisce il bambino destinato a governare le nazioni. Il drago non riesce a divorarlo perché viene rapito verso Dio e verso il trono.

Nella Chiesa dunque e in Gesù si compie la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio.

Come il bambino viene partorito dalla Chiesa? Inizia nel natale di Gesù in cui la madre nella carne è Maria, cresce con lei e con la comunità. Come governa le nazioni? Dalla croce, ai piedi della quale c’è Maria che egli consegna alla Chiesa come Madre, e dalla risurrezione da cui Gesù invia lo Spirito santo alla Chiesa riunita con Maria nel Cenacolo. Maria è nella Chiesa per ricevere la forza dall’alto per compiere la missione che il Risorto ha loro affidato. Maria è e vivein funzione di Cristo e della comunità.

o       Il vangelo riferisce la visita di Maria ad Elisabetta. Cosa centra con l’assunzione?

Maria ha portato il Signore e la sua gioia fuori della casa di Nazaret, andando a rendere un umile servizio alla cugina. Ha compiuto la diaconia ai poveri, che è la missione di Gesù. Egli stesso a Nazaret rivela di aver ricevuto dal Padre il dono dello Spirito e l’unzione per annunciare il vangelo ai poveri e agli ultimi nella graduatoria del mondo.

E’ la diaconia che la Chiesa continua ad esercitare perché ha parte alla sorte di Gesù.

Diaconia è perdere la vita per guadagnarla, strada verso lo trasfigurazione nella gloria.

Elisabetta nella luce dello Spirito benedice Maria dicendo: Benedetta tu fra le donne.

Applica a Maria la benedizione di Lia, moglie di Giacobbe, quando aveva avuto da lui il secondo figlio: “Beata me, perciò mi dicono beata le donne (Gen 30,13). Elisabetta dice Maria beata,  perché ha creduto nell’adempimento della parola di Dio. E’ la stessa fede di Abramo, nostro padre nella fede, di Cristo, soprattutto nella passione, dei martiri e dei santi. E’ la fede che porta alla risurrezione e all’assunzione. E il Magnificat che cos’è?

E’ il canto di Anna, divenuta madre dalla sterilità, aggiornato agli ultimi eventi vissuti da Maria, e l’esultanza della Chiesa celeste di fronte al Dio che rende povero e arricchisce, che umilia ed esalta, che sfama gli affamati e manda a mani vuote i ricchi.

o       Maria dunque si realizza dentro il mistero di Cristo e della Chiesa. Maria non è prima o sola. Solo la devozione a Maria che dipende da Cristo e dalla Chiesa, che viene in loro dopo di loro, porta alla salvezza.

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ORDINARIO  20  B  2006

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Prov 9 presenta la sapienza come una donna che dispone la casa, prepara e imbandisce la tavola e invita gli inesperti e gli stolti a mangiare il suo pane e bere il suo vino, perché abbandonino la stoltezza, cammino dritti per la via dell’intelligenza e vivano.

Gesù imbandisce una mensa con il pane che è la sua carne e il vino che è il suo sangue e invita a prendere, a mangiare e a bere. Chi mangia e beve a questa mensa abbandonerà la sapienza umana, che è stoltezza rispetto a Gesù sapienza, e la vita umana, che è mortale rispetto a Gesù risorto e immortale. Il messaggio è il cuore del vangelo ma chi mangia oggi l’eucaristia è guidato dalla sapienza divina o umana, vive la vita eterna o mortale?

o       Io sono il pane della vita, quello vivente, quello che è disceso dal cielo.

Il pane è carico di simboli che richiama: terra, aratura, molti semi nel campo, grano e zizzania, sole e pioggia, mietitura, macina che toglie a ogni grano la buccia e trattiene il buono, impasto e lievitazione, cottura, tavola preparata la festa di molti invitati.

Sedersi a tavola e mangiare il pane è partecipare al dono di Dio e al lavoro dell’uomo, è il voler condividere con i commensali il cibo, i pensieri e gli affetti: è un pane di vita.

L’eucaristia è simbolo del vangelo, della vita di Gesù e del mistero della Chiesa, è la mensa in cui queste ricchezze le riceviamo, le condividiamo perché nutrano tutti.

Noi che partecipiamo all’eucaristia ogni domenica dobbiamo curare la comunità.

L’eucaristia non può essere un self-service, un pane per il singolo, né una Chiesa senza accoglienza e comunione, un cibo condiviso in silenzio con tutti e con nessuno, come nelle ristorazioni. Abbiamo smaterializzato il pane trasformandolo in particola, parte così piccola di pane da essere trasparente, da non potere essere masticata o anche solo toccata con i denti e neppure ricevuta in mano. Chi pensa di non essere degno di toccare la particola spiritualizza l’eucaristia in maniera sbagliata, perché il Signore ha detto: prendete e mangiate e la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.

Nella vita umana non mangiamo con la lingua ma con le mani. Prendere sulla lingua non è più rispettoso o devoto del prendere in mano, dello spezzare e del donare.

Le nostre assemblee, con  il vuoto dei primi banchi, la difficoltà a mettersi vicino all’altare o di servire l’altare o di cantare e pregare insieme sono tanto lontane dall’ultima cena, dove i discepoli, seduti attorno a Gesù, condividevano con lui l’ora di Dio.

o       Mangiare è riconoscersi. Paolo scrive ai Corinti: chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna (1Cor 11,29). Non è difficile riconoscere Gesù nel pane, è difficile riconoscere nel pane e nel vino, offerti da Gesù, la sua Chiesa, l’utero materno che genera e nutre il regno di Dio, la fraternità che lega tutti.

Riconosce la Chiesa chi la abita, sapendo di condividerla con molti fratelli.

o       Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò.

Il mangiare, quando non assimiliamo il cibo, nuoce alla vita. Quando assimiliamo il cibo rende familiari. Quando il cibo è corpo di Cristo, ci familiarizza con Cristo e la sua immortalità, perché non ci lasciamo più guidare dalla sapienza umana ma dalla Parola e dalla grazia. Partecipiamo alla sua grazia o dono e cresciamo con lui. Accade così?

o       Come il Padre, il vivente, mandò me ed io vivo per mezzo del Padre, colui che mangia di me vivrà per mezzo di me. Ci sentiamo indegni di ricevere il Signore?

Dobbiamo anche ricordare che chi non mangia muore.

Dobbiamo mettere insieme i due percorsi aperti dal battesimo: penitenza e comunione.

Dobbiamo divenire noi stessi cibo di vita per tutti coloro che vivono con noi.

 

   

 

Mangiare e render grazie. Quando il cibo ci è donato o è condiviso.

Diventare persone eucaristiche, che rende sperimentabile la sua presenza.

Come la vittima offerta in sacrificio.

Incontrare il Risorto e restare indifferenti o diventare missionari?

Mangiare e dimorare. Gesù è venuto per dimorare, è l’Emmanuele.

Come la parola di Dio,.

Mangiare e vivere. Il corpo diventa cibo cioè sostegno del nostro corpo.

Di me, del cibo. Chi mangia vive. Il pane disceso dal cielo: chi ha mangiato la manna è morto Chi mangia di me vivrà in eterno.

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ORDINARIO  21  B  2006

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Abbiamo ascoltato la conclusione del discorso di Gesù sul pane di vita di cui abbiamo meditato alcuni brani significativi nelle domeniche scorse. Gesù non parla più ai Giudei ma ai discepoli, non parla più del pane ma della adesione alla sua parola.

o       E’ un momento di crisi del suo ministero e richiama le crisi che attraversa la Chiesa , la diocesi, la parrocchia, il cristiano. Suscita la domanda: Come vivere il momento di crisi?

La crisi si manifesta nella mormorazione. La Scrittura indica così il rifiutare Dio.

Il rifiuto si accompagna alla giustificazione di sé. Cambiano solo i motivi del mormorare.

I discepoli dicono di Gesù: Questo discorso è duro. sklhros significa arduo.

Sclerotico indica indurito, rigido ed esigente. Noi diciamo: la parola di Dio è difficile.

La difficoltà non è di ordine intellettuale o teologico ma esistenziale. Gesù si pone come unico cibo e come unica strada per arrivare al Padre, come il Messia venuto dal cielo.

I discepoli non lo accettano. La vita, soprattutto la sfera affettiva, conosce il rifiuto che nasce dal fatto che non accettiamo le persone che Dio ci mette accanto. Mormoriamo per giustificare il nostro atteggiamento. La fede nell’eucaristia va ben oltre il credere nella presenza reale, come si è ritenuto nel secondo millennio della Chiesa. Fede è accogliere Gesù come uno che ci abita e ci modella nella sua esistenza; è vivere per con e in Cristo.

Seguiamo la rivelazione che fa Gesù: Lo Spirito è il vivificante, la carne non giova a nulla: Essere uomini umani non giova a nulla perché la vita umana finisce nella morte.

Le parole che vi ho detto sono spirito e vita. Gesù dice parole che portano lo Spirito. Come tale Gesù alimenta in noi la vita eterna, è il pane disceso dal cielo per dare la vita.

Nessuno può venire a me se non gli è dato dal Padre. Gesù non può essere conquistato dall’uomo e neppure compreso con l’intelligenza ma va accolto come dono del Padre.

o       Questa rivelazione è confermata da questa bella professione di fede di Pietro:

Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna. Le parole di Gesù non sono parole di teologia ma di vita. Gesù è dunque l’unica persona che può dare la vita eterna. Le parole di vita rivelano e il pane di vita nutre. Rivelare e nutrire sono la stessa realtà.

Parola e sacramento sono complementari e necessari per il dono della vita eterna.

E noi abbiamo creduto e abbiamo conosciuto che tu sei il santo di Dio.

Pietro associa il credere al conoscere. La fede che accoglie il dono è necessaria perché il sacramento dispieghi la sua efficacia, il sacramento  è necessario perché la fede si incarni nella vita cristiana e la coinvolga sempre più profondamente in quella eterna.

o       Quando giunge la crisi non bisogna mormorare di Gesù ma rivedere la propria fede.

L’incredulità, il non giocarci tutto sulla persona di Gesù, chiude al sacramento e alla vita.

Indica che siamo noi a correre un grosso pericolo. Dio realizzerà i suoi progetti passando attraverso il peccato e il rifiuto degli uomini, perché ha sempre persone che gli credono.

Gesù,sempre attento alle persone e misericordioso, non scende a compromessi. Come con i venditori del tempio e con gli scribi e farisei. Gesù ci ama proprio perché non scende a compromessi ma indica se stesso come via al Padre. Il discepolo lascia il pensiero carnale per vivere sul piano dello Spirito di Dio, perché solo l’amore è credibile.

o       La fede ha sempre due percorsi: il credere agli eventi in cui Dio si rivela e il conoscere, cioè il fare esperienza di ciò che si crede coinvolgendo la vita.

Giosuè convoca le tribù di Israele in Sichem con tutte le autorità e i ministeri e pone la domanda: volete servire Dio o gli dei? Il popolo professa la sua fede perché guarda all’amore di Dio. Il Signore ci ha fatto uscire dalla condizione servile; ha compiuto grandi miracoli davanti ai nostri occhi; ci ha protetto in tutto il viaggio che abbiamo fatto.

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ORDINARIO  22  B  2006

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Il brano del vangelo che abbiamo ascoltato è complicato da spiegare. Perché mancano  diversi versetti e non si specifica bene il contesto in cui Gesù parla. Altro è parlare a farisei e scribi e altro è parlare ai discepoli. Occorre poi conoscere bene il significato che avevano le parole nel mondo culturale e religioso di allora, per capire il pensiero di Gesù.

Poiché questo non si può fare nel tempo di un’omelia mi limito a tre sottolineature.

o       Voi, avendo abbandonato il comandamento di Dio, osservate la tradizione degli uomini.

I farisei davano valore ai cinque libri o pentateuco, chiamati qui il comandamento di Dio, ma davano uguale valore alla legge orale, chiamata qui tradizione degli uomini.

Era l’insegnamento che interpretava la Parola , fatto dai vari maestri e trasmesso a voce.

Queste tradizioni iniziano già ai tempi di Mosè e vengono rivestite della sua autorità. Gesù dice che i farisei abbandonano il comandamento e si attengono  alla spiegazione. Come noi cristiani quando, invece che leggere la Scrittura , leggiamo i catechismi.

Accade anche quando, per spiegare l’impegno dell’uomo per la pace, dimentichiamo di parlare della pace che ci dà Gesù. La pace cristiana non è come quella che dà il mondo. Facciamo i discorsi che fanno i filosofi, i sociologi, gli psicologi o altri educatori.

Gesù afferma che le tradizioni smentiscono le parole di Dio. Esempi ce ne sono tanti.

Molti cristiani, dopo Costantino e per secoli, hanno tradito il vangelo della non violenza; oggi in luoghi cristiani autorevoli, che quindi si presentano come corretti e obbliganti, si affermano e si decidono cose che in realtà non sono conformi al vangelo.

Il comandamento di Dio nella bibbia non ha valore di legge giuridica ma ha una valenza affettiva ed educativa. I genitori hanno una esigenza forte di fronte ai figli piccoli, non perché si sentono padroni della loro vita ma per educarli a interpretarla bene.

I cristiani anelano alla fonte della parola di Dio, anche se arrivarci richiede fatica; non bevono alle cisterne screpolate, a spiegazioni facili, perché è in gioco Dio e la salvezza.

Se professiamo dottrine o discipline umane non rendiamo culto a Dio e non ci salviamo.

o       Questo popolo con le labbra onora me, però il loro cuore sta lontano-distante da me.

Questa parola di Gesù è attuale e urgente. Preghiera e culto non sono staccati dalla vita, dalle relazioni e dalla comunità cristiana, non vanno relegati alla sfera personale e vissuti come marginali alla vita condivisa. Condividiamo tante cose belle e non la religiosità. Ieri la religiosità impregnava la vita sociale, magari senza convinzioni interiori. Siamo la famiglia di Dio e viviamo le relazioni cristiane come cose private. La famiglia umana non la viviamo così. Oggi è più difficile di ieri pregare, perché, oltre alla difficoltà di stare nella contemplazione, c’è la povertà interiore e l’attrazione verso altre cose.

La maggioranza diventa determinante quando persone o gruppi sono deboli nella fede.

Noi viviamo le cose della vita e la preghiera in due spazi distinti, ma esse non sono separate. La preghiera dà senso all’impegno e l’impegno lo dà alla preghiera.

Altrimenti cadiamo nella devozione disincarnata e nell’affermazione personale.

Quando si alimentano a vicenda, l’attività si fa lode e la preghiera si fa impegno.

o       Le cose cattive vengono da dentro la persona  e rendono impuro l’uomo.

Occorre coltivare gelosamente l’interiorità: pensieri, affetti e santità. Queste cose sono la ricchezza e la bellezza della nostra vita. Mosè dice che il popolo che osserva la parola del Signore evidenzia la sua saggezza e intelligenza davanti agli occhi dei popoli.

La parola di Dio è più intelligente e saggia di ogni altra parola, per cui chi si lascia guidare da Dio diventa intelligente e saggio e lo manifesta nelle sue scelte di vita.

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ORDINARIO 23  B  2006

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Gesù si trova in territorio pagano. E’ circondato dalla folla e gli conducono un sordo e muto. L’evento e il suo significato va capito in questo contesto di persone che non condividono la fede di Israele. E’ naturale riferire questa guarigione al battesimo, che inizia un pagano alla vita cristiana. Nel rito del battesimo c’è il riferimento esplicito a Gesù che apre le labbra e gli orecchi alla vita divina che Dio dona al battezzato.

Essere sordo e muto significa essere molto limitato o addirittura impedito nella relazione religiosa, significa fare parte della schiera degli ultimi e degli emarginati di ogni genere.

o       Le letture di oggi sono un invito alla speranza. Il profeta Isaia esorta gli Israeliti provati dalla schiavitù dell’esilio ad aver coraggio perché Dio viene a salvarli. Quando viene Dio, allora coloro che ora sono malati guariranno e la terra che ora è bruciata rifiorirà.

La folla del vangelo, dopo la guarigione, dice di Gesù: Ha fatto bene ogni cosa.

Gesù è come il creatore che ammira le opere che fa e dice: Sono belle assai.

La redenzione è una nuova creazione e quindi tutto è chiamato a diventare nuovo.

Non tutto subito ma una ogni giorno, cioè ogni periodo della storia che viene redenta.

Non togliete la speranza e l’attesa in Dio, che redime e rinnova sempre, anche oggi.

o       Oggi ci sono tante situazioni difficili da vivere. Siamo minacciati da paure di tanti tipi, siamo criticati, perseguitati a causa della giustizia o del nostro amore al regno dei cieli o semplicemente tentati dagli idoli e minacciati da altre seduzioni, sempre in agguato.

La crisi della famiglia tradizionale e quindi la perdita della sicurezza che ci dava, le inquietudini che portano le separazioni e le convivenze sono sotto gli occhi di tutti.

Anche la parrocchia è in crisi, per cui non è più punto di riferimento per tutti, come dovrebbe essere una comunità che è seno materno in cui cresce la vita cristiana.

Di qui il rifugiarsi in gruppi e movimenti che rispondono alle insoddisfazioni ma che tolgono il legame con le persone che Dio ci ha posto accanto, di qui il migrare di parrocchia in parrocchia perdendo il riferimento in cui crescere, in mezzo alla zizzania.

Aggiungiamo le insicurezza umane, che influiscono su di noi che siamo parte della società: la scuola, che non è più un posto in cui si può svolgere con entusiasmo il lavoro nobile dell’educazione. Anche le catechiste a volte sono scoraggiate a educare alla fede.

Le condizioni in cui i bambini vengono in parrocchia oggi sono difficili per chi forma alla fede. Pensate solo come è possibile educare senza la collaborazione delle famiglie.

C’è poi il lavoro, l’insicurezza della pensione e la mancanza di soldi. Alla porta della canonica oggi bussano non solo extra comunitari e pendolari dell’elemosina ma anche famiglie che non hanno più soldi per le bollette e per dar da mangiare e vestire i figli.

o       Tutte queste situazioni di crisi possono essere il luogo in cui agisce la provvidenza.

Bisogna puntare sulla speranza, sulla apertura alle novità che Dio compie soprattutto nei momenti di crisi. Impariamo ad accettare la sfida di una identità cristiana che non è più protetta da leggi, da tradizioni e da consensi sociali ma che vive nella speranza in Dio.

Naturalmente Dio conta su di noi. Da dove proviene l’emarginazione? Dall’ignoranza. L’altro provoca l’atteggiamento di difesa perché ci sentiamo minacciati nell’identità. Occorre il coraggio di guardare in faccia il male che abbiamo dentro, di vedere i limiti che provoca e di rimuoverlo da noi. Quanti persone sono paralizzate perché non riconoscono i limiti che ci sono in loro e non amano se stessi tanto da liberarsi. Riconciliarsi con se stessi è indispensabile per vivere riconciliati, cioè da cristiani.

Il Consiglio  pastorale è in ritiro per cercare le linee dell’anno pastorale. Preghiamo perché Dio li rafforzi nella speranza e perché la comunità accolga le loro indicazioni.

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ORDINARIO  24  B  2006

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La liturgia della parola ci pone una domanda sempre attuale e utile: Chi è Gesù?

Chi è per la gente che lo ha incontrato nell’iniziazione cristiana, è stata con lui nella età scolare ma da un certo punto non lo segue più. Cosa è rimasto di lui nei pensieri e nel cuore di questa gente? Sarebbe una ricerca interessante ma è più utile domandarci chi è Gesù per noi, che siamo ancora con lui e che ispiriamo la nostra vita al vangelo.

uello che Pietro ci rispecchia bene. Egli ha fatto la professione di fede giusta: tu sei il Cristo.

Cristo significa inviato e consacrato da Dio, cioè il messia. Luca scrive che Gesù stesso si presenta così nella sinagoga di Nazaret, commentando un testo di Isaia, ma che i suoi paesani non lo hanno accettato come messia. La risposta di Pietro riflette non l’opinione della gente ma la fede dei discepoli. Diciamo subito che noi non abbiamo difficoltà a professare questa fede. Per secoli la Chiesa ha riflettuto su Gesù, costretta dalle eresie che sorgevano, ma oggi questa identità di Gesù è condivisa dai suoi discepoli.

Diciamo che nasce spontanea dall’ascolto della parola e dall’iniziazione cristiana.

Marco scrive che Gesù prende atto di questa fede ma procede oltre nell’insegnamento.

Incominciò a insegnare loro che doveva molto soffrire, essere riprovato dalle autorità e poi venire ucciso e il terzo giorno resuscitare. Questo messaggio era già annunciato nell’AT. Isaia nel terzo canto del servo, dice che il servo non si sottrae alla sofferenza e non oppone resistenza a chi lo perseguita, perché confida nel Signore che lo assiste.

E il salmo 118 parla di un giusto che Dio ha liberato dai nemici e  dice: la pietra scartata dai costruttori è divenuta testata d’angolo. Questi testi rivelano l’identità del Messia.

Il NT poi, nei racconti della passione e risurrezione, e nella predicazione della Chiesa apostolica, presenta la pasqua come il nucleo centrale della vita e del vangelo di Gesù.

Per noi questa fede è più facile che per Pietro, che l’ha professata prima della pasqua. Noi però abbiamo distinto la vicenda di Gesù dalla nostra; crediamo che Gesù ha dato la sua vita ma non siamo disposti a dare anche noi la nostra vita a causa sua e del vangelo.

Pietro prende in disparte Gesù e lo rimprovera. Noi non ci permettiamo di rimproverare Gesù ma lo prendiamo in disparte dalla vita quotidiana, lo lasciamo in disparte e inseguiamo il successo, anche nella religione. Se non  riusciamo siamo capaci anche di vittimismo, di invidia e maldicenza. Accanto a Gesù c’è sempre chi lo tradisce e lo consegna al nemico ma ci sono anche innumerevoli martiri che danno la vita per lui.

Ci sono persone che trovano tempo per dedicarsi alla pastorale, spendendo il loro carisma con umiltà e generosità e ci sono quelli che non hanno tempo da dedicare a Dio e che hanno paura. Altri si danno da fare ma senza umiltà e gratuità, perché sopravalutano se stessi e hanno sempre da dire degli altri, perché non seguono Gesù ma se stessi.

La fedeltà non si misura solo con la decisione presa a una certa età di seguire il Signore, ma nelle scelte quotidiane, come la povertà, l’essenzialità, la giustizia, l’autorevolezza e il perdono. La politica dell’egoismo oggi è assunta a regola di vita, perché non si ama il bene comune ma il corporativismo, i privilegi e la religione disincarnata.

Oggi raggiungere il successo è più importante dell’onesta dei mezzi che usiamo. Evitiamo la franchezza e la durezza, preferiamo addolcire tutto con i toni concilianti. Ci comportiamo, senza volerlo, come satana, l’avversario del giusto e della sua fede in Dio.

La gioia cristiana non sta nel sorridere superficiale di chi soddisfa i bisogni ma in un cammino lungo verso la pienezza, cammino che ha il sapore del pane e del vino, che sono  frutto di molto lavoro e di lunghe fermentazioni. Anche l’eucaristia domanda un lungo lavoro su di sé e lunghe fermentazioni. Solo allora ha il sapore di Gesù, il Cristo.

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ORDINARIO  25  B  2006

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Gesù e i discepoli attraversavano la Galilea. Era un viaggio in incognito, perché Gesù voleva dedicarlo a istruire i discepoli. Annunciava loro la sua morte e risurrezione.

La pagina di Marco che abbiamo ascoltato oggi le annuncia per la seconda volta e mette in risalto la lontananza che c’era allora fra Gesù e i suoi discepoli su questo punto.

o       Gesù si stava avvicinando alla fine del suo percorso, aveva oltrepassato il punto da cui non poteva tornare indietro. Egli si rendeva conto che il suo agire lo aveva portato a superare il limite che le istituzioni religiose e l’ignavia delle persone potevano tollerare.

Se voleva essere coerente con la sua vita doveva morire per essere fedele alla verità.

Era arrivato al momento di dare la testimonianza totale e definitiva e voleva portare i discepoli a comprenderlo. Ma tutto questo non poteva essere frutto di una discussione.

Il mistero non si può esibire né discutere ma solo testimoniare. Gesù dona la sua vita e non può convincere a parole ma può solo sperare che chi riceve il dono creda e capisca.

Il potere del tempio lo metterà a morte in modo infamante, in modo da annullare e distruggere la sua testimonianza di vita. Vuole uccidere non tanto lui ma la sua opera.

Colpisce il pastore perché le pecore siano disperse. Gesù annuncia ai suoi questo mistero perché ricordino che tale sarà la sorte di chi seguirà le sue orme. Ma Gesù rivela anche la seconda parte del mistero. Una vita donata per la giustizia, una vita che compie il disegno di salvezza del Padre, non può rimanere nella morte ma sarà immortale a opera di Dio. Infatti una vita donata per la giustizia esprime libertà e amore e vince ogni potere.

Gesù e i suoi discepoli saranno sconfitti e diverranno i primi, moriranno e diverranno immortali, come il regno di Dio di cui sono parte viva e attiva. Nel regno dei cieli i lupi pascoleranno con le pecore, il tempio sarà non un edificio ma il Signore stesso, l’autorità sarà servizio umile, il fanciullo giocherà con i serpenti velenosi e gli ultimi saranno primi. Splendida metafora che indica un mondo divenuto rispettoso e fraterno per tutti.  

o       I discepoli sono molto distanti da Gesù; le loro scelte di vita sono all’opposto dalle sue.

Non comprendevano queste parole, perché non avevano testimoniato quello che diceva Gesù. Il testimone è uno che ha visto e sperimentato e deve agire di conseguenza.

Chi non ha visto né sperimentato una cosa non la comprende. I primi discepoli di Gesù non sono stati capiti ma perseguitati, perché avevano fatto con Gesù l’esperienza pasquale che i persecutori non conoscevano. Anche noi non condividiamo alcune cose del vangelo perché non abbiamo fatto l’esperienza che le ha provocate. Se le nostre esperienze sono state contrarie possiamo condividere solo se Dio converte i nostri cuori.

Sarebbe utile domandarci: e se le persone che non accettiamo o critichiamo avessero fatto un’esperienza di Dio forte, che noi non abbiamo fatto e quindi non comprendiamo?

Mentre Gesù annunciava la sua morte i discepoli litigavano per il primo posto. Quando Gesù chiede di che cosa stavano discutendo nel viaggio tacciono: si sentono a disagio. Questo disagio interiore è come una breccia, che non è ancora apertura ma che lascia loro la possibilità di aprirsi nel futuro, quando avranno visto e fatto l’esperienza pasquale.

La situazione invece si fa disperata quando i discepoli, che non capiscono la rivelazione, si arroccano nel loro sentire o abbandonano Dio, cioè non lasciano né aperture né brecce.

o       Gesù abbraccia un bambino identificandosi con lui. Il bambino è l’ultimo nella scala del potere e quindi non partecipa al male del mondo ed è il primo nelle possibilità di stare abbracciato a Gesù. Essere ultimo e accogliere gli ultimi è la legge del regno di Dio.

Quest’anno pastorale ci dà la possibilità di fare esperienze forti e di esserne testimoni.

Ci saranno difficoltà ma, chi è convinto che Dio gli verrà in soccorso, le supererà.

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ORDINARIO  26  B  2006

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Oggi il Consiglio Pastorale ha presentato il nuovo piano pastorale 2006 - 2007 nel 9° anniversario della dedicazione della Chiesa. clicca per scaricare il file in formato word

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ORDINARIO  27  B  2006

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La prima lettura e il vangelo presentano la sponsalità nel disegno di Dio. In primo piano è la sponsalità nel matrimonio ma, in una lettura più profonda, è una caratteristica della vita umana e divina. La Scrittura annuncia la sponsalità con questa progressione: il regno di Dio è  la famiglia di Dio, la Chiesa è una famiglia e la famiglia è una piccola Chiesa.

o       L’idea guida di quest’anno pastorale dice: La comunità del Risorto serve il Signore … nella comunione dei carismi. Carisma nella lingua italiana significa una qualità umana della persona, nel greco biblico invece to Carisma significa: il dono di Dio.

- Dio ci fa figli suoi nei sacramenti dell’iniziazione cristiana: battesimo, confermazione e eucaristia. Essere figli di Dio è dono di Dio, è il più grande ed è uguale in tutti i cristiani. L’uomo e la donna sono uguali nella dignità, perché generati da Dio a sua immagine.

- La prima lettura rivela che Dio ha fatto l’uomo simile alla donna: li ha costituiti uguali nella dignità ma anche diversi nelle modalità di essere persone e quindi della vita.

Sono persone intercomunicanti, che hanno un dono particolare da offrire e da ricevere.

I doni che ognuno possiede in modo diverso sono to Carisma, doni di Dio che nessuno può tenere per sé ma che tutti hanno bisogno di donare e ricevere per poter realizzarsi.

o       La comunità cristiana è fatta così: uguaglianza nel carisma di base, diversità nelle modalità di vita. Occorre misurare con il criterio di complementarietà e non di grandezza.

- Papa, vescovi, presbiteri e diaconi non sono più grandi del cristiano ma complementari. Gesù quando ha visto gli apostoli preoccupati per chi fosse il più grande, ha preso un bambino e ha detto: occorre essere come bambini per essere grandi. In altre parole la dignità che deriva dall’iniziazione ci fa bambini  di Dio e quindi uguali davanti a lui.

- Nella comunità cristiana ci sono modi diversi di vivere la stessa dignità: il matrimonio, la virginità per il Regno e il ministero ordinato, proprio di vescovi, presbiteri e diaconi.

Ci fermiamo a quest’ultimo. Il Vaticano II ha introdotto una novità teologica.

Nel secondo millennio si riteneva che il ministero scaturisse da due fonti: il sacramento dell’ordine abilitava a celebrare il culto (Fate questo in memoria di me, nella cena), il diritto canonico abilitava alla predicazione e al governo (dava il potere di giurisdizione).

Il sacramento era come un serbatoio: il presbitero era tale in quanto uomo del culto.

Quanto più era l’uomo di preghiera tanto più era santo e agiva efficacemente.

Il Vaticano II ha letto con maggiore attenzione le antiche fonti cristiane e ha insegnato che il sacramento dell’ordine dona  le tre qualità proprie di Cristo pastore.

L’espressione latina usata dal Concilio è questa: Presbiteri…vi sacramenti Ordinis,

 consecrantur ad immaginem Christi, summi atque aeterni sacerdotis;

(consecrantur) ad evangelium predicandum, ad fideles pascendos et ad divinum cultum celebrandum (LG 28). Il sacramento dà tre facoltà che sono come vasi intercomunicanti e il presbitero è tale in tutte tre: in quanto annuncia la parola di Dio, governa la comunità e santifica. Il tema viene sviluppato nel decreto Presbiterorum Ordinis, che ha richiesto due anni di ricerca ed è passato per sette versioni diverse. Il criterio per misurare la vita della comunità non è stabilire chi tra pastore e fedeli è più grande o comanda ma come sono complementari fra loro e come è rispettato e valorizzato il carisma del presbitero.

o       C’è nella comunità una sponsalità ecclesiale simile a quella dell’uomo e della donna. Dona intense possibilità di realizzarsi e di essere felici, corre il pericolo della delusione, della separazione, della rottura come accade oggi a tanti matrimoni cristiani. Preghiamo e continuiamo questa riflessione per sapere quello che Dio richiede alla comunità cristiana.

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ORDINARIO  28  B  2006

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Il piano pastorale diocesano mette al centro dell’impegno l’ascolto di Dio e dell’uomo.

L’idea guida lo esprime così: la comunità del Risorto serve il Signore con l’ascolto.

o       Sottolinea che ascoltare Dio e l’uomo sono due percorsi complementari, che portano alla stessa rivelazione e alla stessa obbedienza. Chi ascolta conosce e serve Dio.

Il cristiano che ascolta Dio conosce e ascolta anche l’uomo, perché Dio rivela l’uomo.

Il cristiano che ascolta l’uomo conosce e ascolta anche Dio, che si rivela nell’uomo. L’ascolto della parola scritta nella Bibbia è in realtà ascolto di Dio che parla nella esperienza umana, nella storia di una persona e di un popolo. Se non ci fossero state quelle persone e le loro esperienze con Dio, non conosceremmo il volto che conosciamo.

o       Pietro scrive: Ogni profezia della Scrittura non è di privata spiegazione perché uomini parlarono da Dio mossi dallo Spirito santo (2Pt1,20s). Ci sono sempre persone mosse dallo Spirito, cioè scelte e consacrate da Dio stesso per parlare al suo popolo. Il Concilio insegna: Presbiteri, vi sacramenti Ordinis, consecrantur ad evangelium predicandum.

Dio ha dato al presbitero il carisma di annunciare la sua parola. La consacrazione è garanzia che Dio ha scelto di parlare attraverso lui e obbliga ad ascoltarlo.

o       Il presbitero non è un insegnante che studia la Bibbia e poi la spiega al popolo.

Il presbitero ascolta la parola, la prega, la conserva nel cuore, la verifica in una fedeltà provata nelle tribolazioni e ne fa un’esperienza di vita. E’ così anche nella vita umana.

I genitori non dicono ai figli parole lette sui libri ma frutto della loro esperienza, parole che interpretano la vita, perché vissute in esperienze impegnative e talvolta dolorose.

Chi annuncia la parola di Dio è forgiato da Dio entro il crogiolo della vita quotidiana.

La lettera agli ebrei dice che la parola è una spada a doppio taglio che penetra la persona. Come possiamo annunciare Dio se non lo conosciamo e se siamo attaccati a questa vita?

o       Da questa scelta di Dio derivano alcune conseguenze.

- I catechisti e chiunque annuncia la Parola ricordino che nessuno può annunciarla privatamente, come fosse una sua bravura e devono lasciarsi lavorare/trasformare da Dio.

- Occorre valorizzare la parola che Dio annuncia attraverso il presbitero che egli mette nella comunità in questo momento. Come nella comunità non c’è eucaristia senza presbitero così non c’è la Parola senza lui. E’ lui che dà il mandato in nome della Chiesa a coloro che annunciano la parola in parrocchia. E lui che interpreta la parola che illumina e risana anche nel segreto della confessione. Mi confidava una persona: è una fortuna che c’è la confessione; è davvero un dono, una nuova Emmaus.

La prima lettura dice che la sapienza va preferita a tutto e amata sopra tutto.

Se mettiamo prima simpatie o antipatie, libertà e grandezze umane, addio parola di Dio!

- Maria ha ascoltato la parola di Dio e la ha riflessa in tutta la sua vita ma soprattutto sotto la croce, dove c’erano poche persone simpatiche e nessuno che la proclamava beata.

Il vangelo annuncia che è difficile entrare nel regno di Dio. Sappiamo che i profeti sono stati rifiutati. Verifichiamo se anche noi li rifiutiamo, oggi.

- La parola di Dio è il primo dono di Dio, il dono che Dio ci fa do sé stesso ed è grande onore ascoltarla e annunciarla. Parlare di Dio ai figli e agli amici, comunicare la parola in gruppo, fare i catechisti, richiede sopportare fatiche ma è anche la opportunità grande della vita, perché ci fa conoscere Dio e l’uomo. Diceva un membro del nostro Consiglio pastorale: sono fortunato; non sapevo che esistevano cose così belle.

Il Consiglio è il luogo dove la comunità ascolta. La parrocchia è il luogo dell’ascolto.

Chiediamo al Signore che ci aiuti a conoscerlo e a servirlo con l’ascolto.

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ORDINARIO  29  B  2006

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L’idea guida recita: la comunità del Risorto serve il Signore con la lode. Lo serve nella liturgia che è preghiera della Chiesa, luogo del culto cristiano. Israele pregava con gli inni, i cantici, i salmi, celebrava gli eventi della salvezza nelle feste; santificava le ore della giornata nella preghiera del tempio, che era casa del Padre e della preghiera, celebrava il sabato nelle sinagoghe dei paesi, dove ascoltava la parola e cantava la lode.

Il culto si esprimeva nell’offrire il sacrificio e nel pregare come comunità.

o       Le Chiese cristiane sono rimaste fedeli alla lode ebraica, ne usano ancora le preghiere, la hanno rinnovata alla luce del mistero di Cristo e con le feste cristiane e i sacramenti.  

Nella parrocchia non c’è solo la Messa e le devozioni del popolo. Prima delle devozioni viene la liturgia di lode che è importante come il sacrifico. Infatti viene chiamata sacrificium laudis. Anche nel nostro passato in parrocchia c’era ogni domenica il canto dei vespri. Ora lodi e vespri sono le preghiere che aprono e chiudono ogni giornata, perché tutta la vita diventi lode a Dio. La liturgia fa queste preghiere a nome del popolo. Il vescovo Ravignani, il giorno del mio ingresso in parrocchia, ci ha conferito questo mandato: far sì che la comunità faccia risuonare la liturgia di lode.

La preghiera di lode è diversa dalla devozione popolare, come il rosario e la via crucis.

La Chiesa ha sempre custodito gelosamente la liturgia di lode come custodisce la Parola. Lex orandi è lex credendi: la preghiera esprime la fede. Anche ora citiamo la preghiera della Chiesa come citiamo la Scrittura. Riconosciamo così che si è formata sotto l’influsso dello Spirito; continuiamo così la preghiera di lode che troviamo nella Bibbia.

o       Dio dona vari carismi perché la Chiesa celebri bene la lode. Il Concilio insegna: Presbiteri, vi sacramenti Ordinis, consecrantur ad divinum cultum celebrandum.

Dio consacra i presbiteri custodi del culto, cioè del sacrificio e della lode della comunità.

Senza il ministero del presbitero non c’è liturgia né eucaristica né di lode.

Qual’è il carisma del presbitero nella liturgia? Presiedere l’assemblea orante, consacrare il pane e il vino, innalzare a Dio la preghiera eucaristica a nome del popolo, rimettere i peccati nel sacramento della confessione, rappresentare la Chiesa negli altri sacramenti. Gli sposi, ad esempio, sono ministri del loro matrimonio non in forma privata ma in chiesa, cioè in una celebrazione in cui la presenza del presbitero garantisce il sacramento.

Che valore ha la presenza del presbitero? Egli fa della preghiera della comunità una liturgia di lode. Significa che ogni liturgia va celebrata in comunione con il presbitero.

- La preghiera dei fedeli nasce dai fedeli ma per diventare lode ecclesiale ha bisogno del consenso di chi presiede; i fedeli non possono dire nella liturgia qualsiasi preghiera.

-   Leggere la parola di Dio nelle liturgie compete ai fedeli ma il presbitero dà  il mandato a lettori formati, che conoscano quello che leggono e lo fanno in modo conveniente.

-   Il canto dell’assemblea richiede il ministero degli animatori e del coro ma la scelta e le modalità dei canti vanno concordate con chi presiede la celebrazione. Il coro fa un servizio a Dio e alla comunitàma il canto è deciso dalla comunità nel rispetto dei carismi. E’ importante la comunione. Se nell’assemblea i cuori sono divisi, anche la liturgia più bella si svuota di senso.

Le letture ci dicono che il culto è fare della nostra vita un sacrificio per Dio.

Lo ha fatto Gesù, sommo sacerdote, che è stato provato in ogni cosa, e lo fa la Chiesa.

Giacomo e Giovani provano a chiedere a Gesù di seder accanto a lui nella sua gloria.

Ma Gesù li educa a essere grandi e divenire primi facendosi servi di tutti.

Ogni domenica la nostra comunità si riunisce per servire il Signore con la lode.

Deve imparare ad essere sempre comunità umile e fraterna, rispettosa dei carismi e in particolare del carisma del parroco che è consacrato custode del culto.

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ORDINARIO  30  B  2006

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L’immagine della strada ci aiuta a comprendere la parola. Gesù guarisce Bartimeo sulla strada di Gerico, un paese 150 m. sotto il livello del mare, e poi sale a Gerusalemme, 800 m. sopra il livello del mare, superando 950 m. di dislivello. Gesù in cammino verso Gerusalemme annuncia più volte la passione ai discepoli ma essi non sono capaci di capire la strada che egli indica. Bartimeo diventa modello del discepolo che è reso capace da Gesù di vedere e camminare sulla strada che eleva in alto, a differenza del ricco, il non discepolo, che ritorna sui suoi passi triste perché non sa elevarsi sopra i suoi beni.

Il salmo 125 canta Dio che riconduce gli esuli sulla strada da Babilonia a Gerusalemme.

La lettera agli Ebrei dice che Gesù prova compassione per quelli che sono nell’errore, cioè che errano, fuori dalla strada di Dio. Anche le comunità cristiane non sono capaci di riconoscere la strada indicata da Gesù e hanno bisogno di essere guarite dalla cecità.

Dio dona ad alcuni, che egli chiama, il carisma di indicare e aprire la sua strada di Dio. Presbiteri, vi sacramenti Ordinis, consecrantur ad fideles pascendos, sono consacrati per pascere la comunità. Il pastore conduce i cristiani ai pascoli della vita, dove essi si nutrono e crescono insieme  con gli uomini, e li riconduce all’ovile, a essere comunità del Signore. C’è la strada percorsa da Gesù  e c’è quella seguita dagli uomini che non porta alla salvezza. Trovare il giusto rapporto fra presbitero e comunità è una cosa seria ed abbiamo il dovere di educarci a valorizzare i carismi che Dio dà alla sua Chiesa.

Il Concilio ha istituito gli organismi di partecipazione e noi stiamo ancora imparando a farli funzionare perché a molti non è chiaro che cos’è la Chiesa. Si dice ad esempio che il Consiglio pastorale è consultivo e che la decisione spetta al pastore. Consultivo indica che presbitero e Consiglio si consultano tra loro. Insieme rappresentano la chiesa che è il popolo di Dio. Sappiamo dagli Atti degli apostoli che era la comunità a scegliere i pastori e gli apostoli a consacrarli. La comunità li inviava in missione e a li ascoltava a missione compiuta. La comunità non era solo consultata ma decideva riconoscendo i pastori come dono di Dio e rispettandone il carisma. La Bibbia presenta i pastori non come capipopolo ma come sacerdoti, guide e re. Insieme con i profeti indicavano la strada al popolo.

Il NT riconosce il titolo sacro di sacerdote solo a Gesù Cristo. Nella Chiesa il ministero consacrato viene chiamato con tre nomi, che indicano tre diverse funzioni.

Gli episcopi sono i custodi della vita ecclesiale; i presbiteri sono gli anziani-saggi che la guidano, e i diaconi sono i servitori della carità. La pienezza del carisma di ministro è nel vescovo che riceve le tre consacrazioni e assomma servizio, saggezza e vigilanza.

Pascere i fedeli significa condurre la comunità sulla strada che Dio ha rivelato in Cristo, la strada pasquale, la liberazione nel passaggio faticoso dalla morte alla risurrezione.

I cammini ecclesiali di una parrocchia sono decisi e guidati dai Consigli parrocchiali,  organismi dove la comunità consulta il pastore  e questi consulta la comunità ed insieme custodiscono la comunione ecclesiale. Noi abbiamo questo impegno reciproco: non i Consigli senza il pastore né il pastore senza il Consiglio. Tra queste realtà non ci possono essere contraddizione e subordinazione perché sono tutti e due suscitati da Dio.

Le difficoltà nascono da noi, che tendiamo ad assumere gli atteggiamenti che ci sono negli organismi democratici della società civile e non quelli ecclesiali.

Non tutte le decisioni passano attraverso i Consigli di partecipazione. C’è il cammino delle persone e dei gruppi e va fatto elevandosi sopra la dimensione umana perché Dio cammina con noi operando nei diversi carismi che egli stesso ha dato. Va riconosciuto in particolare ciò che Dio opera nel ministro in virtù della sua elezione e consacrazione.

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TUTTI I SANTI 2006

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Celebriamo la festa di tutti santi come solennità, come un evento grande della salvezza.

La festa lega il primo e l’ultimo libro della Bibbia: la Genesi e l’Apocalisse.

La discendenza promessa da Dio ad Abramo, numerosa come le stelle del cielo e come i granelli di sabbia del mare, si realizza nella moltitudine di santi che nessuno può contare.

La festa dei santi è nata nel IV secolo come festa di tutti i martiri: dice il fascino che suscita il testimone che affronta deciso la passione, il fascino di Cristo, di Ignazio e altri.

La festa è celebrata nel tempo autunnale, a conclusione dei raccolti, segno dell’autunno fecondo della Chiesa ,dopo le gestazioni faticose di inverno, primavera ed estate.

La santità conosce una evoluzione e una purificazione continua in cui Dio può lavorare.

o       I santi chi sono e da dove vengono?  - Sono l’apocalisse di Dio: Dio si rivela nei santi. 

Le beatitudini propongono una trasformazione tra quello che siamo al presente e quello che saremo per opera di Dio. Gesù propone un concorso per la beatitudine: saper stare nelle condizioni umane di vita che Dio può trasformare in regno compiuto e in gioia.

Essere poveri nella dimensione umana per ricevere la ricchezza che dà lo Spirito santo, stare nell’afflizione entro i piaceri del mondo per gioire dei piaceri spirituali, essere non violenti in un mare di violenza, per vivere la vita come dono, essere zelanti della giustizia che supera quella degli scribi e dei farisei moderni per essere partecipi del Regno, essere misericordiosi in un vortice di maldicenza e di malaffare per far rifiorire la vita; essere miti e puri di cuore in un mondo ipocrita e spudorato perché venga la purezza di Dio; essere perseguitati tra una folla di raccomandati per servire il Regno; soffrire la causa di Cristo, in una maggioranza diventata pagana perché rimanga la fede..

- I santi sono i servi sui quali Dio ha impresso il suo sigillo, la croce dell’iniziazione.

Se i cristiani non superano la visione negativa di Dio e dell’uomo, l’uomo moderno non accoglierà il disegno di Dio. Crediamo in Dio padrone e nell’uomo servo, che sarà premiato o castigato in base alle sue opere, e così giuriamo che sono le opere che salvano e non il dono di Dio; crediamo in Dio giudice e così ci facciamo giudici dei nostri fratelli.

Dio invece è amante della vita che egli stesso sviluppa in Cristo, come i rami crescono con l’albero e le membra con il corpo. Il peccato contro lo Spirito non sarà perdonato. Non avere più una fede in Gesù così da stare sereni nelle condizioni delle beatitudini; non seguire lo Spirito che ci divinizza nella parola, nella liturgia e nella fraternità; presumere di sapere, di essere santi e di non aver bisogno dei cammini suscitati da Dio.

Chiediamo al Signore di vedere dove si nasconde il peccato del nostro tempo, l’ateismo nella pratica, e di farci coinvolgere in Gesù, nelle sue beatitudini, trasformate da Dio.

o       Richiamiamo la nostra idea guida: la comunità del Risorto serve il Signore con la lode.

Guardiamo la liturgia del Regno, indicata nell’Apocalisse: essa è sobria ma significativa. La folla comprende ogni popolo e lingua; la pluralità rimane perché il Signore ama tutte le cose belle che fa: non c’è una lingua unica o una melodia unica, ma la pluralità.

I santi stanno in piedi davanti a Dio: non ci sono inginocchiatoi. I santi sono opere originali di Dio ma hanno una veste comune; la stola bianca indica la santità in Cristo.

La vita cristiana è per tutti vita umana e quindi variopinta e vita divina e quindi unica.

La liturgia comprende i segni: le palme nelle mani dei santi indicano il martirio.

La liturgia si esprime con parole e a gran voce, il canto corale. Il canto esprime la fede condivisa: la salvezza appartiene Dio, perché è solo lui che trasforma i beati in santi.

I viventi che stanno intorno a Dio lo adorano inchinandosi profondamente; l’inchino profondo esprime lo stare in piedi, la propria dignità, e lo stare nell’atteggiamento di chi riconosce che la salvezza viene da Dio: ogni liturgia esprime la dignità e la gratitudine.

I santi e i nostri morti ci domandano un’eucaristia fatta di umiltà, fiducia  e gratitudine.

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ORDINARIO  31  B  2006

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Al tempo di Gesù la legge ebraica comprendeva 613 precetti. Gesù richiama il comando delle origini, riportato in Dt 6,4-5, e che il pio israelita recitava come preghiera tre volte al giorno: ama Dio e il prossimo con tutto te stesso, come te stesso, cioè con intensità.

Questo insegnamento vale per tutta la vita cristiana, anche per la preghiera liturgica.

Nella visita alle famiglie mi sono trovato più volte davanti a scene come questa.

La mamma chiede al bambino: cantaci la canzone che hai imparato a scuola. Il bambino la canta con impegno; il risultato è così e così, ma i genitori sono felici di ascoltarlo, perché  sono legati con il bambino da un intenso affetto. Per loro è più bella la canzone cantata dal figlio che cantata da un estraneo che la esegue meglio. Noi siamo figli di Dio e a lui il canto che nasce dal cuore piace più che i canti ben eseguiti dei professionisti.

Che senso può avere per Dio, ad es., il canto e il suono di solisti, per denaro esentasse?

La domenica i fedeli fanno assemblea davanti a Dio: si incontrano perché si amano.

Dio parla loro e ne ascolta la risposta. Dio e l’assemblea sono al centro della liturgia.

Chi costruisce una chiesa deve farla in modo che i fedeli stiano uniti cioè assemblati.

La nostra chiesa è bella ma le colonne dividono l’assemblea. Anche tanti di voi si mettono lontano, ai lati, isolati, come pregassero da soli. I banchi semivuoti denotano una religiosità ancora individuale. L’altare, l’ambone, la sede del celebrante, il battistero, l’aula delle confessioni e l’iconografia sono visibili a un popolo che celebra unito. Nella liturgia tutti operano a nome dell’assemblea: il celebrante, il coro e gli attori liturgici.

Il coro ad esempio è voce dell’assemblea come lo è il celebrante. Se non c’è il coro ma  l’assemblea canta con amore, anche se i canti sono così e così, la liturgia è completa. Appena possiamo, introdurremo alcune novità per aiutare di più l’assemblea a cantare.

Noi celebriamo tre Messe festive: quella della sera non ha né coro né strumento musicale. Quella delle nove ha il coro giovani supportato da alcuni adulti e chi suona e dirige.

La Messa delle 10.30 ha il coro degli adulti, con un organista giovane che sta maturando e promette bene; attualmente manca il direttore di coro. Ma il coro al completo c’è solo nelle solennità più importanti e a volte neppure a quelle, come alla veglia pasquale.

Ci si agita tanto per poche celebrazioni mentre dobbiamo preoccuparci di come cantare ogni domenica, la pasqua della settimana. Dal momento che le cose sono così, insieme con il Consiglio pastorale vi faccio questa proposta. A ogni Messa festiva facciamo come a quella delle nove: quelli che sono presenti ed hanno passione e capacità normale di cantare si mettono insieme nei banchi davanti al battistero e cantano insieme, con amore al Signore e alla comunità. Il loro canto sosterrà quello dell’assemblea. Essa però deve partecipare, convinta che è in chiesa per cantare e non per ascoltare il canto degli altri.

Occorrerà che ci sia una persona che intona i canti; che l’organo o le chitarre li accompagnino o almeno che qualcuno dia le note iniziali per l’intonazione. Credo che il Signore sia contento se cantiamo così. Il mandato per questo come per gli altri servizi liturgici lo dà il parroco, se ci sono le condizioni. Chi fa un servizio liturgico, ad es., non può parlare male della comunità o del parroco; uno non può leggere la parola di Dio in chiesa e dire parole che dividono fuori. Mettiamo in pratica quello che ci ha insegnato il Signore. Se stai prestando il tuo servizio alla liturgia e ti ricordi che qualcuno ha qualcosa contro di te, lascia lì la tua offerta e va prima a riconciliarti con il tuo fratello. Lasciamo stare l’offerta del canto, piuttosto che farla con i cuori divisi dalla comunità.

Amare Dio e il prossimo intensamente è il cuore della parola di Dio. Deve essere anche il cuore della parola che rivolgiamo a Dio, la liturgia. Il Signore ci aiuti a essere fedeli.

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ORDINARIO  32  B  2006

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La prima lettura e il vangelo presentano due persone che hanno vissuto il comando proclamato domenica scorsa: ama Dio con tutto te stesso e il prossimo come te stesso.

Sono due vedove, persone che allora erano senza protezione, senza lavoro e senza beni.

La vedova del vangelo è a Gerusalemme, nel tempio e quindi ebrea praticante: testimonia con la sua offerta un amore generoso verso Dio; la vedova della prima lettura vive a Zarepta, una città abitata da pagani: è una pagana che ascolta e pratica la parola di Dio.

L’ascolto e la lode raggiungono nelle due donne la massima intensità: donare l’ultima farina e l’ultimo olio prima di morire; donare tutta la sua vita (olon ton bion auths). Oggi facciamo festa davanti al Signore per il dono del catechismo.

o       Cerchiamo di capire seguendo la prima lettura. In essa si dice che il miracolo accade secondo la parola che Dio aveva pronunciato per mezzo di Elia. Elia e la vedova sono modellati dalla Parola, obbediscono a Dio e sono nutriti da lui in modo straordinario.

Il profeta va a Zarepta e incontra la vedova nella porta della città. Ciò che accade è davanti la città e nella città. Dio parla in modi, luoghi e tempi diversi ma sempre davanti a tutto il suo popolo e per il bene di tutti. Non ci sono rivelazioni private e doni destinati solo a singole persone, neanche i doni che Dio dà al suo figlio e alla Madonna.

o       Ad esempio: Dio parla ai bambini e ai ragazzi: come e per mezzo di chi?

I bambini ricevono l’annuncio del vangelo a casa dai genitori, che lo dicono in virtù della loro fede e della grazia del sacramento del matrimonio, e in parrocchia dai catechisti, che trasmettono la fede della Chiesa, su mandato della comunità e in comunione con essa e dal gruppo stesso di bambini che si aiutano a cercare e a capire. Il lavoro dei genitori, dei catechisti e dei bambini dipende dalla spiritualità che respirano dentro la comunità cristiana, insieme con il parroco, che garantisce l’autenticità del cammino. Un lavoro simile avviene nelle catechesi e nei gruppi parrocchiali. In 2Pt 1,20 S. Pietro scrive: nessuna profezia della Scrittura è di privata spiegazione. La Scrittura diventa parola di Dio nell’ascolto comunitario, dove è annunciata e accolta nella potenza dello Spirito.

La situazione in realtà è diversa: chi annuncia e chi ascolta lo fa in proprio; non c’è un interrogarsi insieme e un obbedire insieme alla parola ascoltata. Così confondiamo l’ascolto con lo studio, la parola di Dio con la cultura del tempo, la fede reale con la catechesi dell’infanzia e la religione con la fedeltà alle tradizioni religiose e morali. Notiamo posizioni tanto diverse fra chi, singolo o gruppo, cammina solo e chi cammina con la comunità. Invece la parola di Dio provoca un salto di qualità. Infatti la prima reazione della vedova è di mangiare per l’ultima volta insieme con il figlio e poi di morire. La parola di Elia suscita in lei la fede in Dio che promette una cosa nuova e porta a cambiare la decisione.

Dio le dice una parola in quella circostanza difficile e cambia la sua vita. Non basta conoscere le Scritture; occorre calarle nell’oggi attraverso il ministero della Chiesa.

o       L’ascolto è legato al culto. Il catechismo da solo non fa cristiani. La vedova del vangelo mette nel tesoro tutta la sua vita. L’elemosina che raccogliamo in chiesa è un atto d’amore e una liturgia. I cristiani sostengono le spese che comporta la vita ecclesiale.

La prossima settimana vi portano Annuncio nelle case. Una volta l’anno la parrocchia chiede alle famiglie di esprimere il loro grazie al Signore con un’offerta che sostenga le opere e le attività della comunità. Non sono preoccupato per i soldi. Il Signore non ci ha mai fatto mancare il denaro di cui avevamo bisogno. Devo educarvi a fare la vostra offerta e con la generosità che merita Dio. Dio poteva provvedere a Elia, alla vedova e al tempio in altro modo. Egli rende le persone partecipi della missione della comunità.

Nella Messa ci sono segni ancora più grandi: il pane e il vino, la comunione ecc.

Siamo chiamati a essere una comunità che ascolta Dio e ama Dio.

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ORDINARIO  33  B  2006

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Marco usa il linguaggio apocalittico: rivela attraverso immagini. I profeti predicevano la caduta dei regni della terra annunciando rovine nell’universo. Gesù richiama queste immagini ma non insiste sulle rovine; rivela invece che esse aprono a una cosa nuova.

o       Il fico, quando mette le foglie, fa capire che l’estate è vicina. Così gli eventi di distruzione e morte contengono una indicazione bella: il Figlio dell’uomo arriverà nella sua potenza e gloria, per riunire i suoi eletti nel suo regno glorioso. Gesù ci presenta la verità nascosta  nel disegno del Padre e anticipata nella sua pasqua. A pasqua il sepolcro è il luogo della risurrezione. Così, la fine dei regni terreni farà spazio al regno di Dio

Dio risponde ai suoi figli, che nell’angoscia confidano in lui, creando una vita nuova.

Il momento della prova e della morte è il momento della liberazione e della risurrezione.

I segni evocati da Gesù indicano che la situazione sarà rovesciata in bene. La Genesi dice che Dio creò la luce e poi, giorno dopo giorno, creò l’universo. Il vangelo dice che il sole e la luna si oscureranno e le opere della creazione inizieranno a cadere, perché senza luce non vivono. Ma il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, come luce nuova, e Dio potrà creare cieli e terra nuovi. L’oscurità non è segno di un disastro ma di una novità che seguirà alle tenebre. Questa profezia dà fiducia a chi sopporta la tentazione e la prova e dà la forza agli eletti del Signore di testimoniarlo. Nel nostro tempo sono evidenti la corsa ai beni materiali per avere, consumare e apparire, e il particolarismo, cioè il difendere i privilegi acquisiti. In paradiso invece condivideremo i beni e il passato sarà sostituito  dal nuovo. Noi cristiani testimoniano questo vangelo? Vediamo alcuni riflessi.

o       Gesù ci educa a guardare ai problemi e alle vicende della comunità con disincanto, nello spirito delle beatitudini: Beati voi nelle situazioni vere, autentiche, sofferte e perseguitate della vita, beati voi quando diranno male di voi a causa di Gesù, perché il Figlio dell’uomo venendo cambierà la vostra pena nella gioia di vivere quello che testimoniate.

Tutti i nostri problemi vanno visti, non in se stessi e nelle loro ragioni attuali, ma alla luce del Risorto, primizia della nostra risurrezione. E’ importante, diceva il Battista, che egli cresca e io diminuisca. Bisogna fare il cammino ecclesiale in modo che il Regno cresca, disposti a diminuire perché questo avvenga. E i modi in cui farlo non ci sono rivelati e non possiamo rivendicarli ma dobbiamo cercarli insieme alla luce dello Spirito, l’unico che può disporre delle cose di Gesù, rivelarle e compierle in chi crede in lui.

o       Noi invitiamo spesso i cristiani a partecipare al cammino ecclesiale; occorre anche che li invitiamo a dar spazio a chi può partecipare con il loro carisma, perché il cambio dei ministeri favorisce l’emergere dei doni nascosti. I cristiani bravi sono quelli che esercitano il loro ministero in modo da suscitare in altri la loro passione. Il ricambio non è sempre facile: un ministro della comunione o un animatore del canto si sostituisce facilmente. Un  catechista deve conoscere il catechismo, essere capace di trasmetterlo ai piccoli e di coinvolgere i loro genitori e deve saper lavorare insieme con gli altri catechisti. Ci sono parrocchie che non fanno catechismi a tutti i bambini, perché non hanno catechiste sufficienti e anch’io a volte chiedo a qualcuna, che ha motivi per lasciare, di continuare perché non c’è il ricambio. Questo è segno che la comunità è povera e non sa sviluppare i carismi che il Signore dà. Oggi, giornata del ringraziamento abbiamo tanti motivi personali ed ecclesiale per dire grazie. Diciamo grazie anche perché egli vuole bene alla nostra comunità più di noi. Diciamolo nella liturgia ma anche nella vita, mettendoci a servizio nella comunità in cui viviamo secondo i suoi bisogni pastorali.

Ed anche facendoci da parte quando c’è bisogno di dare spazio a persone nuove.

Martedì celebriamo la festa della Madonna della salute. Impariamo da lei che non si è mai messa davanti impedendo ad altri  di partecipare né si è mai tirata indietro, facendo mancare il suo sì al Signore.

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CRISTO RE  B  2006

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Gesù è riconosciuto re nella profezia, nella sua vita terrena e nella sua passione.

I brani biblici indicano la sua regalità con due nomi diversi. Il primo è Figlio dell’uomo.

L’Apocalisse scrive che Gesù viene sulle nubi del cielo e ognuno lo vedrà.

Il profeta Daniele aveva detto che colui che viene sulle nubi è il figlio dell’uomo e che Dio gli ha dato  potere, gloria e regno eterni. Gesù ama chiamarsi Figlio dell’uomo.

In questo modo la parola di Dio riconosce che Gesù è re. Il secondo nome lo troviamo nella passione. Quando la gente, dopo la moltiplicazione dei pani, vuole farlo re Gesù si ritira tutto solo; quando viene consegnato a Pilato ed è tutto solo davanti a lui che decide la sua vita, rivendica di essere re. E’ giusto che meditiamo il senso della sua regalità.

Gesù dice e ripete: il mio regno non è da questo mondo. Il termine greco ek indica da.

Il regno di Gesù comprende il mondo ma non viene dal mondo. Gesù non è fatto re dagli uomini, con i criteri umani, ma è fatto re da Dio, con i criteri divini. Quali sono?

Per questo io sono nato e per questo sono venuto al mondo per testimoniare la verità.

Gesù, per nascita da Dio e per nascita da Maria, è il testimone/martire della verità.

Egli ha anche detto esplicitamente: Io sono la verità. La verità dunque non è un’idea ma la manifestazione di Dio nella persona di Gesù. La sua regalità è la sua stessa vita.

Un insegnamento per noi: non raggiungiamo la verità attraverso le idee ma vivendo la nostra regalità come Gesù. Siamo infatti un regno di sacerdoti per il nostro Dio e Padre.

Gesù come vive la regalità? Gesù dopo il confronto con Pilato, sceglie il silenzio e la preghiera e vive l’amore fino alla fine, perché solo quell’amore può guadagnare i fratelli.

La croce e il trono coincidono: regnare significa donare la vita. Gesù testimonia la verità nella vita donata fino al martirio. In greco testimonianza e martirio hanno la stessa radice.

Il regno di Dio non si costruisce rivendicando qualcosa ma offrendo qualcosa: il martirio quotidiano. Basta considerare gli atteggiamenti dei discepoli prima e  dopo la pasqua di Gesù  per capire: sono passati da discepoli del Maestro a seguaci del  crocifisso risorto.

La famiglia oggi è un altro specchio di questa verità. La famiglia nella verità è quella che si mantiene famiglia anche nelle contraddizioni e nella sofferenza, perché è il luogo in cui non si rivendica qualcosa ma si dona la vita. L’alternativa a questa famiglia è quella che ci si separa, è la violenza degli uni verso gli altri, il dramma del nostro tempo.

Quest’anno la nostra attenzione è alla parrocchia intesa come la comunità del Risorto/re.

Com’è il nostro ascolto: come chi giudica il fratello o come chi ama il fratello?

Com’è la lode che eleviamo insieme, la domenica, come comunità amata da Dio: belle parole, recitate o cantate, bei riti o la vita verità, cioè regalità offerta in sacrificio?

Il battesimo e la cresima ci hanno consacrato con il crisma della salvezza, perché, inseriti in Cristo sacerdote, re e profeta siamo sempre membra del suo corpo, un corpo donato alla passione e alla morte perché gli uomini abbiano la vita eterna.

L’eucaristia è il sacramento in cui, uniti a Gesù, eleviamo a Dio il culto della vita.

I ministeri che esercitiamo nella liturgia, anche i più umili, come le pulizie, gli addobbi, il canto, le processioni di offertorio, il costruire i segni che esprimono la celebrazione, sono gesti di vita, i modi con cui serviamo/onoriamo Cristo re, e con lui il Padre.

Vinciamo il rispetto umano: è un onore partecipare ai ministeri liturgici.

Essi però richiedono la verità, cioè l’umiltà e l’amore a Dio e agli uomini con cui Gesù ha celebrato la sua liturgia. Solo dove c’è la verità dell’amore, c’è Cristo e liturgia vera.  Il giorno del giudizio saremo accanto a Cristo e tutti potranno vedere e confrontare la sua vita/regalità e la nostra. Preghiamo per essere un popolo regale nella liturgia e nella vita

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Pagina a cura del gruppo internet della Parrocchia dell'Annunciazione di Campolongo in Conegliano (TV)