Omelie del tempo ordinario 1  

 

a cura di don Carlo Salvador

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16.01.05 SAN TIZIANO, PATRONO DELLA DIOCESI

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23.01.05   ORDINARIO  3  A  2005 scarica il file in formato Word
30.01.05   ORDINARIO  4  A  2005 scarica il file in formato Word
06.02.05   ORDINARIO  5  A  2005 scarica il file in formato Word

 

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SAN TIZIANO, PATRONO DELLA DIOCESI  2005

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Tiziano fu vescovo nell’antica Opitergium romana, ora Oderzo. La diocesi era da oltre un secolo suffraganea di Aquileia, la Chiesa madre delle comunità cristiane venete.

Era il tempo dei Longobardi, che avevano spezzato l’unità geografica del territorio e incrinato la comunione della Chiese venete con la Chiesa di Roma. Secondo la tradizione Tiziano morì nel 632 e la sua urna fu trascinata da Oderzo a Ceneda, che era sede del ducato longobardo e divenne anche sede della diocesi. S. Tiziano fu fatto patrono della diocesi di Ceneda, che ora si chiama Vittorio Veneto, la nostra diocesi.

La liturgia della parola è tratta dal comune dei pastori. Sono brani che conosciamo bene.

Isaia proclama belli i piedi del messaggero che cammina sui monti e che porta questi lieti annunci: la pace, il bene, la salvezza, il regno di Dio. Il pastore porta messaggi belli.

La pastorale manifesta le cose divine, distribuisce i beni più grandi, quelli che sono desiderati, magari inconsciamente, da tutti gli uomini.  Come pastore provo per primo la gioia di conoscere e gustare le cose di Dio che annuncio e celebro e vedo la gioia dei catechisti, degli animatori dei gruppi, di chi ascolta la parola e celebra le feste e i sacramenti. Allora penso alla gioia grande dei discepoli che ritornavano dalla missione, a cui Gesù li aveva mandati. Partecipare alla pastorale è un dono grande del Signore, più grande di tante attività che attirano la gente e riempiono il suo tempo libero.

I cristiani che si tirano indietro per rispetto umano svalutano le cose di Dio e si privano della grande gioia che solo le cose autentiche di Dio possono dare.

Paolo ci invita a riscoprire la varietà dei carismi che Dio distribuisce. La Chiesa vive della comunione dei beni spirituali. Pensiamo al matrimonio e alla famiglia, piccolo nucleo ma dono per tutti. Pensiamo all’ascolto della Parola. La lettera agli ebrei dice che i credenti possono rimanere uniti, grazie alla fede, con coloro che hanno ascoltato.

La parola infatti genera sia la fede dei singoli sia il cammino ecclesiale. Pensiamo alle piccole passioni che sostengono l’impegno pastorale: la passione per il canto e la liturgia, per i fiori e per l’arte, per la pulizia, per l’animazione dei piccoli, per l’insegnamento del catechismo, per i malati, per i problemi pastorali ed anche economici e per la missione. Luca ci presenta l’arte della pastorale. Che cosa hanno in comune il mestiere del pescatore e la missione di pescare gli uomini? Che nessuno può contare nel risultato. Pietro un pescatore esperto, nel tempo propizio alla pesca, fatica tutta la notte e non prende nulla. Se i pesci non ci sono neanche i bravi pescatori li prendono. Tanti pescatori di uomini non vedono il frutto del loro impegno e delle loro fatiche, anzi constatano che i valori su cui si fondava la cultura, la morale e la religione vengono spazzati via, come ha fatto l’onda dal maremoto che nessuno aveva previsto e potuto fermare.

E allora è facile lo scoraggiamento, la ricerca delle responsabilità e l’abbandono dell’impegno. Luca ci ricorda che nella pastorale in realtà opera la potenza della Parola. Gesù dice a Simone: Prendi il largo e calate le reti per la pesca. Tutti obbediscono alla parola di Gesù e prendono una quantità enorme di pesci. Gesù prefigura per Pietro il compito di prendere il largo, cioè di decidere di pescare e dove, e a tutti l’impegno di lavorare con luiì. Il cammino pastorale suppone  il vescovo, che guida la Diocesi, e il parroco la parrocchia, e il lavoro concorde di tutti secondo la direzione che è stata presa.

La festa di S. Tiziano ci rafforzi nella gioia di essere Chiesa attorno al vescovo ed al parroco e di camminare  insieme in questa missione divina di salvare gli uomini d’oggi.

Insieme al vescovo, secondo le indicazioni della parola di Gesù, con la forza dello Spirito santo che egli ci ha dato, arriviamo dove da soli non possiamo neppure desiderare..

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ORDINARIO  3  A  2005

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Matteo nella pagina che abbiamo letto cita Is 8 che abbiamo ascoltato come prima lettura.

Il termine ebraico galil significa territorio ed è all’origine del nome Galilea, la regione settentrionale della Palestina, territorio di frontiera frequentato dai popoli di confine.

Il cammino apostolico di Gesù inizia da questo territorio in cui ebrei e stranieri convivevano ed erano, come aveva detto Isaia, popolo che camminava nelle tenebre, segno di tutta l’umanità. L’apostolato di Gesù è il tempo in cui la luce splende fra le tenebre. Questo inizio della pastorale ripropone il duello luce e tenebre, tema del Natale. Al natale nella carne si aggiunge il natale nella pastorale; l’incarnazione si snoda nell’annuncio del vangelo. Il cristiano non può celebrare il natale nella carne come solennità e non partecipare al natale nella pastorale.

Anche questo è un evento di gioia, perché il vangelo di Gesù è luce ai passi del credente.

Mt descrive l’annuncio di Gesù con le parole usate dal Battista: Il regno dei cieli è vicino. L’espressione regno dei cieli significa non un luogo ma una situazione esistenziale che è secondo la volontà del Signore. Manifesta l’azione di Dio che regna nella giustizia e nella pace. Il predicato è vicino indica che l’evento si è fatto epifania e continua a farsi vicino; ήγγικεν è un perfetto e si riferisce a una cosa avvenuta nel passato che ha effetto ancora nel presente. Il regno di Dio è nato in Dio ed ora Dio lo pone a portata nostra, perché avvenga per noi. Il regno di Dio ci è dato come inizio e nuova nascita. Questa idea è contenuta nel battesimo, che è nascita dall’altro, nascita da Dio.

Al natale di Gesù nella carne corrisponde il nostro natale nell’azione di Gesù pastore, nella nostra pastorale.

Nella seconda parte del brano viene narrata la chiamata dei primi discepoli. La vocazione avviene non alla fine ma all’inizio della pastorale di Gesù. Occorre che il chiamato stia con Gesù nel tempo della pastorale per farne esperienza ed essere mandato in missione.

La chiamata suscita la risposta, che non è un’iniziativa o una scelta del chiamato ma un atto di obbedienza a chi chiama. Anche l’innamorarsi umano non è una scelta, altrimenti, funzionerebbe sempre a nostro piacimento, ma è obbedienza alla chiamata di un altro quando essa suscita l’adesione del cuore. Effetto dell’innamoramento è la disponibilità a lasciare tutto subito e in particolare a lasciare il padre, cioè la famiglia in cui si è nati e la condizione in cui si vive, e a formarsi un’altra vita. Di fronte a questa novità la prima famiglia diventa vecchia, un cosa da lasciare, perché la nuova è migliore.

E’ interessante notare che nella chiamata di Gesù ritroviamo la stessa dinamica dell’innamoramento. Davvero non è possibile dire quale sia più forte o “naturale”; notiamo invece che producono lo stesso seguito: una luce illumina, attrae e crea il nuovo. Si tratta allora di un colpo di fulmine o di un cambiamento di pensare e vivere a 360 gradi? Leggendo il vangelo scopriamo che sarà un cammino lento. La risposta sarà ultimata e avrà il suo senso pieno solo nella vita donata per il regno; gli apostoli seguiranno Gesù nella missione, nella sua gioia e nel martirio. Solo dopo che la loro risposta sarà compiuta avverrà il compimento ad opera di colui che li ha chiamati.

Anche questo trova il suo parallelo nella vocazione al matrimonio; alla chiamata e alla celebrazione seguirà il cammino lento nell’esperienza, la maturazione nelle esperienze gioiose e dolorose, nella profondità della comunione e dei conflitti familiari e il suo compimento vero avverrà quando l’esperienza si sarà compiuta e la vita sarà consumata.

Anche nella dinamica umana il compimento può essere donato solo dal Signore, quando il nostro sì sarà compiuto perché la famiglia umana può solo sperare di vivere per sempre nella famiglia del Signore. Celebriamo questa eucaristia, come l’inizio e l’oggi della missione: a noi è chiesto, come agli apostoli, di mettere al centro delle nostre aspirazioni non i pesci o le cose o il padre terreno ma il Signore che chiama e donerà il compimento.

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ORDINARIO  4  A  2005

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Le beatitudini sono riportate, in contesti diversi, da Mt 5 e da Lc 6. Sono molto note, uno degli insegnamenti fondamentali di Gesù. Hanno ispirato la vita di tante persone, cristiane e non. Gandhi, ad esempio, le teneva esposte all’ingresso della sua casa.

Oggi sembrano ai margini, anche nella vita della Chiesa. Credo che la nostra cultura sia un ostacolo a capirne il senso e la portata. Quindi occorre un impegno di comprensione. 

Le persone dette beate da Gesù sono tali non per la condizione in cui vivono, ad es. perché sono poveri o perseguitati, ma perché Dio è a loro favore. Essendo persone amate da Dio, sono già beate, anche se ora sono in condizioni di disagio. Alcuni esempi.

Beati i poveri, perché di essi è il regno dei cieli. Poveri sono gli uomini liberi dalle cose, dalle persone ed anche dalle schiavitù spirituali, cioè da religiosità magiche o appiattite sull’umano o invadenti; sono le persone che scelgono la parte buona della vita, come Maria seduta ai piedi di Gesù ad ascoltarlo; sono gli uomini impegnati nelle situazioni problematiche della vita ma che non si lasciano possedere da esse e sono capaci di contemplazione, di purezza, di misericordia, di mitezza e di pace. Di che cosa sono beati? Del fatto che il regno di Dio è in loro. Essi attendono tutto da Dio e sono in cammino, in cerca di una pienezza più grande di tutte le cose umane. S. Francesco e Gandhi sono testimoni di una povertà che non è tanto mancanza di cose ma crescita di vita verso la pienezza. Affascinano non per quello che non hanno ma per quello che vivono. D’altra parte i ricchi, che confidano nei beni e in ciò che li garantisce, non hanno spazi per Dio. Gesù dice chiaramente che Dio e il denaro sono alternativi e invita a scegliere.

Le persone oggi sono troppo occupate dal desiderio dei beni per apprezzare la libertà interiore. La nostra cultura e il modo di progettare la vita non è attento ai valori spirituali. Beati gli affamati e gli assetati di giustizia, perché essi saranno saziati e i miti perché erediteranno la terra. Sono gli uomini forti e nello stesso tempo non violenti.

Chi perdona è più forte di chi si vendica. Gesù infatti perdona i suoi crocefissori e non si vendica, anche se poteva disporre di dodici legioni di angeli, cioè del popolo degli angeli.

La violenza nel contesto del regno di Dio che è amore e dono non ha legittimazione.

I forti sono persone miti, che sanno attendere con fermezza e con pazienza; si impegnano a fondo per la giustizia ma non si piegano alla violenza, resistono alle ingiustizie e cercano sempre la verità. Una persona che ha paura di morire e non ha forza di resistenza non può essere non violenta nelle situazioni violente. In esse la non violenza è il culmine del coraggio. Giovedì scorso l’occidente ha celebrato la memoria della shoah ad Auschwitz, nel 60° dalla liberazione del campo di sterminio. La condanna per il nazismo si è accompagnata alla condanna per il tradimento di chi sapeva ed ha taciuto. L’Italia ha ricordato con vergogna le leggi razziali emanate dal fascismo. Chi non le ha impedite è stato corresponsabile. Impariamo che la terra e la storia non sono dei violenti; essi le occupano per un po’ di tempo ma poi restano bollati per sempre con la vergogna.

Questo senso delle beatitudini si inserisce bene nel contesto della rivelazione.

Sofonia profetizza: Israele non avrà più vergogna sopra il monte santo di Dio, perché Dio eliminerà tutti i superbi. Il resto d’Israele diverrà un popolo umile e povero che confida nel Signore, un popolo di beati che si trovano dalla parte di Dio. L’alternativa tra superbi ed umili, tra poveri e ricchi, tra chi sceglie come ha scelto Dio in Cristo e coloro che mirano al successo umano è evidente. Pensiamo al magnificat o al pensiero di Paolo nella 2 lettura. Dio non chiama i sapienti, i potenti e i nobili che vogliono restare tali.

Dio sceglie ciò che è stolto e debole e disprezzato; ci ha dato in Gesù un modello di sapienza, giustizia e santità. Gesù in tutte le situazioni è stato povero, umile, forte e non violento. Era beato perché il Signore era con lui.

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ORDINARIO  5  A  2005

 

I versetti di Matteo che abbiamo proclamati vengono subito dopo le beatitudini.

Dicono, come le beatitudini, chi è il discepolo di Gesù. Matteo usa l’indicativo: Voi siete.

Non scrive: voi dovete essere o potete essere. Il discepolo è tale non per virtù propria ma perché Dio lo ha chiamato e lo ha santificato; pensiamo ai sacramenti dell’iniziazione cristiana e dell’ordine sacro. Ciò che Gesù dice in questi versetti riguarda l’essere, quello che siamo per opera di Dio, prima che la morale, quello che siamo chiamati a fare. Quando non ci è chiaro chi siamo, quello che facciamo, anche se è generoso, può remare contro il volere di Dio. La nostra diocesi ha tanti preti e laici che si sono dati da fare ma ora si trova nella situazione pre-conciliare e, dopo il Concilio, è trovarsi fuori posto. Matteo usa due immagini, che, come le parabole, sono facili al primo ascolto ma, proprio perché facili, possono distogliere dal cercare il senso profondo. Sono: il sale e la luce.

Voi siete il sale della terra. I discepoli hanno, rispetto alla terra, una funzione analoga al sale rispetto al cibo. Il sale nella cultura biblica ha avuto vari significati. Matteo qui si ferma al sapore. Essere sale della terra significa rendere la terra gradevole, saporita, piena di senso, bella da vivere. La terra non è così da se stessa ma è il discepolo a renderla così.

Ne deriva che i discepoli sono necessari, come è necessario Gesù stesso, perché il creato divenga buono/bello. Gesù però tratta l’immagine del sale con libertà. Parla di sale della terra. Ora sappiamo tutti che il sale non dà sapore alla terra. Vuol dire che i discepoli sono fatti da Dio come sale di una realtà che non si amalgama facilmente con esso; occorre la potenza dello Spirito santo perché il cristiano dia sapore al mondo. Gesù dice anche che il sale può diventare insipido, mentre in natura un sale insipido non è sale.

I discepoli invece possono diventare insipidi pur rimanendo sale, perché tali sono stati fatti da Dio. Essere sale ed essere gettati via, perché non si dà sapore alla vita, è un’eventualità tremenda eppure è affermata nelle Scritture.

Voi siete la luce del mondo. Anche qui Gesù fa un rilievo. Una lucerna si accende e si mette in alto perché la luce si espanda, non per coprirla. Possiamo nascondere la luce noi quando manchiamo di limpidezza o diveniamo opachi, così che la luce non traspare; Possono farlo gli altri quando ci mettono nel posto sbagliato. Sono scelte insensate ma nella Chiesa si fanno tante cose insensate soprattutto nella valorizzazione delle persone. L’invidia, la voglia di carriera e di onori, l’assicurarsi le pedine giuste per le proprie mire alte possono prendere il posto dello zelo per Dio e per la pastorale.

Dio distribuisce come vuole tanti carismi e chi li riceve deve metterli a servizio di tutti, accettando anche posti di responsabilità, perché i carismi devono risplendere nella casa.

Isaia parla della luce che sorge come l’aurora e che rimargina le ferite aprendo i cuori alla speranza. Se camminiamo nella giustizia la gloria del Signore ci segue; se gli chiediamo aiuto egli ci risponderà: Eccomi. Sono espressioni molto belle. La giustizia è la meta che abbiamo davanti; il Signore ci segue nella sua gloria. Eccomi! è il verbo della risposta alla chiamata ed è il Signore a dirlo a noi.

Isaia nella prima lettura enumera le opere di carità che fanno brillare la luce fra le tenebre. Una le indica tutte: Non distogliere gli occhi dalla tua gente. La carità non è un insieme di opere, ma tenere gli occhi e il cuore sulla gente per rispondere non ai loro capricci ma ai loro bisogni. E’una sensibilità che nasce dalla grazia dello Spirito santo, data da un sacramento: il diaconato. Essere servi significa amare prima ancora che fare.

Che il Signore abbia voluto consacrare con un sacramento la carità è indicativo.

La Scritture ha insegnato da sempre che la misericordia viene prima del sacrificio.

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Pagina a cura del gruppo internet della Parrocchia dell'Annunciazione di Campolongo in Conegliano (TV)