Omelie
di Avvento 2005
a cura di
don Carlo Salvador
AVVENTO 1 B
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AVVENTO
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IMMACOLATA
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AVVENTO
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AVVENTO
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AVVENTO
1 B
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Marco
propone una parabola di Gesù, breve e significativa. Un uomo
è partito per un viaggio, dopo aver lasciato la propria casa
e aver dato a ciascuno dei suoi servi la sua opera e la potestà.
Gesù si è costruito nel mondo la sua casa: è
il regno di Dio. La ha lasciata con la risurrezione e
ascensione al cielo ma la ha abbandonata perché ha dato ai
discepoli suoi una potestà, legata al compito che ha affidato
a ciascuno. Non è un potere ma una capacità di essere e di
fare, la autorevolezza che permette di svolgere il compito
ricevuto. E’ qui delineata bene la natura che ha la Chiesa
nel nostro tempo: è la casa di Gesù e non di altri, perché
è costruita sul vangelo annunciato da lui, sui segni
santificanti da lui compiuti e sulla carità sua, che ha dato
la sua vita per lei, per renderla santa, capace di esser
lievito nella pasta e luce
nelle tenebre.
Nella
Chiesa nessuno ha la proprietà della casa, tutti hanno il
loro compito legato al carisma ricevuto; nessuno ha tutti
compiti, neanche il papa, i vescovi, i presbiteri, né da soli
né insieme. I laici hanno la loro dignità: sono popolo
sacerdotale, profetico, regale.
I
compiti che Gesù ha affidato ai discepoli sono diversi ma
hanno uguale importanza, sono tutti necessari alla crescita
del Regno. Occorre che i laici riconoscano il loro carisma e
onorino l’incarico che hanno ricevuto da Dio stesso; occorre
che si formino in maniera seria, come fanno i ministri
ordinati, per essere consapevoli della loro potestà.
In
questi giorni rinnoviamo il consiglio pastorale. Lo ha voluto
il Concilio e quindi lo vuole lo Spirito per svolgere la sua
missione di condurre la Chiesa nella verità intera.
Lo
Spirito ha bisogno anche dei laici, che sono più numerosi e
meglio diffusi nel territorio, perché siano lievito e luce
dove vivono e operano, anche nella parrocchia.
Tirarsi
indietro, aver paura di non essere alla competenza o di non
essere eletti, significa pensare a se stessi invece che a Gesù,
che vuole che la Chiesa continui ad essere casa di salvezza
per tutti. Gesù sapeva che siamo gente piena di impegni e la
nostra fragilità ed ha scelto lo stesso di offrirci la
possibilità di essere protagonisti e di impegnarci tutti.
Isaia
propone una preghiera in
cui si dicono cose simili. Solo che invece di dirle Dio
a noi le chiediamo noi a Dio. Sono dunque desideri di Dio ma
anche bisogni nostri.
O
Dio, sei nostro padre, perché ci hai dato forma; sei nostro
redentore perché ci hai liberato da satana che ci teneva
schiavi, impossibilitati a vivere nella libertà dell’amore.
Hai
fatto tanto per chi confida in te, hai aperto vie di salvezza
e vai incontro a quanti si ricordano di esse. Poi hai nascosto
a noi il tuo volto, sei andato lontano e attendi che noi
camminiamo le vie che ci ha lasciato. Noi invece vaghiamo
lontano da esse, abbiamo indurito il cuore, siamo avvizziti
come foglie e i ns peccati ci portano via come il vento.
La
preghiera confessa l’amore di Dio e il nostro peccato,
riconoscendo l’importanza di ciò che abbiamo trascurato;
chiede al Signore di ritornare e rendere possibile la
salvezza.
Dio
non ripete quello che ha già compiuto ed ha affidato a noi:
siamo noi a doverlo valorizzare. Gesù ritornerà
senza avvisare quando, non per sorprenderci ma perché,
vista la preziosità di quello che ha fatto e ci ha lasciato,
si attende che noi lo valorizziamo.
E’
naturale per il discepolo di Gesù di essere missionario.
Le
letture ci danno due consigli, che sono anche due
responsabilità: vigilate; pregate.
Gesù
ci chiede di vigilare. Significa che nella vita spirituale ed
ecclesiale niente è garantito. Egli ci ha lasciato talenti da
sfruttare. Vigilare che qualcuno non ce li rubi. Vi accorgete
che ci rubano il Concilio e tutto quello che lo Spirito ci ha
donato in esso? E stiamo avvizzendo, senza entusiasmo, portati
via dalla mentalità e dal materialismo del mondo, come foglie
secche dal vento.
Vigilate,
perché il materialismo pratico è più pericoloso di quello
teorico, e il benessere è più pericoloso per la salvezza
della povertà, perché questa indifferenza, spacciata per
analisi critica e libertà, inaridisce noi e il futuro.
Isaia
fa capire che quando ci accorgiamo di quanto abbiamo sprecato
torniamo a pregare.
Non
chiediamo miracoli perché la meraviglia è già tra noi, ed
è la Chiesa con le ricchezze di Gesù. Chiediamo un cuore
mite e umile che ama e valorizza le cose che Dio ama.
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AVVENTO
2 B
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La
prima lettura e il vangelo annunciano che Dio viene nei tempi
diversi della salvezza. Viene nella profezia, nella
incarnazione del Figlio Gesù e nel tempo della Chiesa.
1
I testi biblici presentano colui che porta
l’annuncio, il messaggero.
Il
profeta Isaia dice che è l’angelo che il Signore manda
dinanzi al nostro volto.
Marco
lo identifica in Giovanni Battista. Egli impersona le
caratteristiche di chi crede per primo alla bella notizia che
annuncia. Abita nel deserto, condivide cioè la situazione
precaria dell’umanità, che vive lontana dalle relazioni
vitali.Ha uno stile di vita spartano nel vestire e nel
mangiare, segno che non investe nel presente ma spera in Dio
che verrà.
E’
umile: non si sente degno di servire il vangelo ma sente di
dover gridarlo forte a tutti.
2
I testi biblici presentano l’annuncio che il
messaggero porta.
Isaia
lo esprime così: si rivelerà la gloria del Signore e ogni
uomo la vedrà. Infatti:
Il
Signore verrà con potenza, preceduto dai trofei della
vittoria; è il Dio che vince.
Egli
però non verrà per fare la guerra ma come il re pastore che
raduna il gregge, lo fa pascolare e lo conduce con amore:
porta gli agnellini sul petto e conduce pian piano le pecore
madri. E’ bello attendere un Dio potente e misericordioso,
che viene per salvare tutti ed è attento in particolare a chi
è debole e non cammina con il passo degli altri.
La
voce dell’AT grida di preparare la via al
Signore, che è venuto solo nella profezia.
Marco
descrive l’arch,
l’origine e il fondamento della bella notizia che sta
per scrivere nel suo vangelo, quella annunciata dagli apostoli
e che la Chiesa di ogni tempo proclama con fedeltà: Gesù
Cristo, figlio di Dio incarnato. Gesù è già venuto e ha
già aperto le vie della salvezza. La voce del NT invita a
preparare la via del Signore, cioè a rendere
operative le strade di salvezza che Gesù ha già aperte: la
parola, i sacramenti e la carità.
3 I testi biblici dicono che cosa fare per preparare la strada.
Isaia
dice che bisogna trasformare tutto: colmare le valli,
abbassare i monti e le colline, pianificare i terreni
accidentati e scoscesi, cioè di rendere positive le
situazioni negative.
Marco
propone di fare quello che è avvenuto intorno al Battista e a
Gesù: la conversione vera, confessando i peccati nel
battesimo di acqua e ricevendo il battesimo dello Spirito. Il
regno di Dio non è una morale, non dipende solo dalla nostra
fedeltà, ma è adesione a Gesù che santifica la nostra vita
e la unisce a Dio e all’umanità, facendo di noi un solo
corpo, la famiglia di Dio. Lo Spirito salva anche quando non
ci è possibile la fedeltà morale. C’è speranza per coloro
che vivono situazioni irregolari rispetto alla morale,
esperienze complicate che non si possono sbrogliare con la
buona volontà, perché implicano dei legami e dei doveri.
Pensiamo alla famiglia oggi, minacciata nelle relazioni
affettive. Non possiamo legittimarle, ritenerle normali e
trascurare la conversione ma dobbiamo anche pensare che la
salvezza è sempre possibile per quelli che aderiscono a Gesù,
perché la potenza dello Spirito di Dio va oltre i nostri
legittimi schemi morali e le nostre forze. La Chiesa invita
gli irregolari ad aderire a Gesù partecipando alla vita
ecclesiale e accettando di compiere percorsi diversi; ad
esempio di non partecipare alla comunione eucaristica. Essi
infatti non sono in comunione piena con la Chiesa ma confidano
nello Spirito santo, che può guidare alla salvezza tutti
quelli che vivono la vita ecclesiale. Ci sono situazioni che
non si possono eliminare del tutto o subito: bambini da
portare, pecore madri da condurre pian piano. E’ sempre
possibile che, alla fine, i primi risultino ultimi e gli
ultimi primi. Ci è chiesto di condividere questo annuncio di
Dio.
Avvento,
attesa di Dio che viene per salvare nella concretezza della
vita, dentro la Chiesa, anche nelle situazioni dolorose o non
pienamente conformi delle nostre vite.
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IMMACOLATA
2005
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Nel
1854 la Chiesa ha definito che Maria è immacolata. Come è
stata recepita questa definizione nella devozione del popolo e
che senso ha per noi, 150 anni dopo, nell’evoluzione della
cultura e della teologia? Non possiamo rispondere nei limiti
di questa omelia ma fissiamo qualche dato: la ricezione di una
definizione di fede è progressiva, soggetta a errori e aperta
a nuovi interventi della Chiesa che vigila sulla fede.
Quaranta anni fa, proprio il
giorno dell’immacolata, si è chiuso l’ultimo
Concilio. Il Concilio ha detto su Maria una cosa notevole. Il
28 ottobre 1963 è avvenuta una votazione che ha fatto storia
nella mariologia: 1.114 padri sinodali contro 1.074, con 40
voti di scarto, hanno deciso che Maria non avesse nella fede
un percorso a sé, parallelo a quello di Gesù, ma fosse
inserita in Cristo, e quindi nella Trinità e nella Chiesa.
Questo ha portato, il 21 novembre 1964, ad approvare quasi
all’unanimità, l’ottavo capitolo della costituzione sulla
Chiesa, che è dedicato a Maria, ed ha aperto piste importanti
alla riflessione dopo il Concilio. Vediamo qualcosa su quello
che la teologia dice oggi sull’Immacolata, per liberarci di
certe incrostazioni che si sono formate nel Medio Evo e godere
una devozione migliore. La Bolla pontificia definisce Maria
immacolata partendo da un fatto ritenuto primordiale, perché
il primo nella storia: Adamo ed Eva e il peccato originale.
Dice che Maria è esente dal peccato originale. E’ quello
che sottolineano i testi ecologici di questa Messa. Oggi la
teologia insegna che il fatto primordiale, il primo
nell’ordine della grazia, punto di partenza di ogni altro
evento, è il nuovo Adamo, Gesù e la sua grazia. Tutto
infatti è stato creato in lui e per mezzo di lui (Gv 1). Gesù
e nessun altro è il fondamento posto da Dio. Paolo scrive
agli efesini che noi siamo benedetti in Cristo con ogni
benedizione. Non ci sono benedizioni altrove. In lui ci ha
scelti prima della creazione del mondo per essere santi ed
immacolati. Dio, che ha predestinato noi ad essere suoi figli
adottivi in Cristo, ha predestinato Maria ad essere madre di
Gesù e delle membra del suo corpo che insieme formano la
Chiesa. Maria è immacolata non in riferimento ad Adamo ma a
Cristo, non perché è esente dal peccato ma perché è piena
di grazia. Così viene salutata dall’angelo. Il vangelo non
dice. Senza peccato. Infatti che cos’è una santità che
poggia sulla esenzione dal peccato? Maria sarebbe immacolata
perché manca di qualcosa. Cos’è invece una santità che
poggia sulla grazia che Dio ci dà nel suo figlio
diletto? Maria è immacolata perché entra nel mistero di Gesù.
La santità di Maria viene da Dio in Gesù e si esprime nel
servizio fedele a lui che la lega nella santità a Dio e agli
uomini. Dobbiamo pensare la redenzione non solo come
liberazione dal peccato ma come comunione in Cristo che ci
rende possibile essere immacolati in tutte le relazioni della
vita. L’essere senza peccato è una conseguenza. Maria
infatti proprio in quanto madre di Gesù è figlia diletta di
Dio e in comunione speciale con lo Spirito santo e con la
Chiesa, è cioè piena di grazia. Maria e noi partecipiamo
alla stessa benedizione dataci in Gesù suo figlio diletto.
Maria dunque non ha un suo percorso privilegiato di salvezza
ma dipende da Gesù ed è strettamente unita alla Chiesa.
La
Genesi rivela che Dio pone inimicizia tra il serpente e la
donna, tra il seme dell’uno e dell’altra. Il seme del
serpente insidierà quello della donna e il seme della donna
insidierà quello del serpente. Il testo originale riferisce
ai due lo stesso verbo “insidiare”. Non c’è
l’espressione “schiacciare il capo”. Questa lotta
perenne percorrerà la storia e si concluderà nella
risurrezione di Gesù e dell’umanità che crede in lui. E’
una vittoria di Dio in Gesù, cui partecipano anche Maria e la
Chiesa, che obbediscono a Dio nella fedeltà a Cristo. Questo
fondarsi comune di tutti in Cristo diminuisce la gloria di
Maria? No, perché l’unica gloria cui una creatura può
aspirare è la gloria di Dio, la gloria che il Figlio aveva
prima che il mondo fosse creato. Anche Gesù chiede di
parteciparvi come uomo, quando sarà finita la sua missione
sulla terra. Questo ci fa capire che abbiamo tutti un dono da
Dio, che è lo stesso per tutti; abbiamo una vocazione da
adempiere nelle modalità volute da Dio. Vivere in Cristo,
santi e immacolati davanti a suo sguardo amoroso, la dove egli
ci chiama a vivere e con il compito che ci affida porta a
partecipare alla stessa gloria. Celebriamo questa festa in
onore a Maria come sorte comune di tutti i discepoli di Gesù
, secondo la grazia data ad ognuno.
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AVVENTO
3 B
2005
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Le
prime due letture e il salmo responsoriale richiamano la
gioia. Paolo scrive: sempre gioite! Alcuni dicono: se le
comunità cristiane avessero volti più gioiosi e accoglienti!
La
gioia non si improvvisa, non si organizza e non si compera ma
fluisce spontanea.
Il
Messia e Maria dicono di gioire nel Signore e in quello che
egli compie in loro e nella storia. Egli guarda all’umiltà
e riveste di salvezza e di giustizia come vestono lo sposo del
diadema e la sposa di gioielli. La gioia dunque è un dono di
Dio che ci santifica progressivamente e un compito nostro, che
conserviamo integri corpo, psiche e spirito nella venuta di
Gesù. Il vangelo di Giovanni presenta il Battista e la sua
testimonianza. Andiamo anche noi pellegrini, come i sacerdoti
e i leviti, dal
Battista a domandargli: chi sei? E’ molto importante
conoscere l’identità delle persone per rapportarsi con
loro.
In
9,29 i farisei dicono al cieco nato a proposito di Gesù: Noi
sappiamo che a Mosè ha parlato Dio ma costui non sappiamo di
dove è. Maria è una persona umile, di dove è la sua gioia?
E colui che è consacrato con l’unzione, il Risorto che
viene e verrà, di che cosa gioisce? E infine la domanda
attuale per tutti: io chi sono? Da dove fluisce la gioia?
La
risposta sicura è contenuta nella scrittura: noi siamo quelli
che il Signore ci fa.
Lo
siamo se siamo coscienti e contenti di esserlo, se lo
diventiamo sempre nella fedeltà.
La
gioia dunque fluisce dal Signore, dal suo dono e da noi, dal
nostro impegno di vita.
1
La liturgia innanzitutto ci invita a gioire per il
natale di Gesù, dono bello per noi.
Meditiamo
le parole di Isaia che Gesù stesso ha letto nella sinagoga di
Nazaret ed ha applicato a sé davanti alla sua comunità. Sono
le parole che dicono l’identità di Gesù e del suo
discepolo. Gesù è questo, la sua gioia è essere questo. Il Signore mi ha mandato: - a
portare il lieto annuncio ai poveri: l’attenzione
ai poveri manifesta l’identità di Gesù e la gioia che egli
porta. Portiamo anche noi il vangelo in tutte le povertà
della vita?
-
a fasciare le piaghe dei cuori spezzati:quanti cuori
spezzati in mezzo alla nostra gente, forse anche in noi!
Quante domande di altro, al di là del benessere, chiedono
risposta.
-
a proclamare la libertà degli schiavi e la scarcerazione dei
prigionieri: chi sono gli schiavi e i prigionieri che
attendono, sulle strade del mondo ma anche ai nostri incroci?
-
a promulgare l’anno di misericordia del Signore: misericordia
è il perdono celebrato nel sacramento della riconciliazione,
che oggi è trascurato o bistrattato, e nelle separazioni che
la vita oggi riserva. Dedichiamo energie per andare oltre
l’orto coltivato finora, dove ci conducono la Parola e la
liturgia, per rendere attuale la misericordia?
2
Il vangelo ci propone la risposta del Battista a chi lo
interrogava. Tu, chi sei?
Il
Battista nega di essere la persona attesa al momento: il
Messia, Elia, il profeta.
Riconosce
di essere voce-non contenuto, uno che accoglie in sé
la Parola che grida a tutti.
Il
Battista infatti prepara la strada al Messia, che è la Parola
fatta carne in Gesù.
Egli
rivela il Salvatore nascosto in mezzo a noi e che noi non
conosciamo. Neppure il Battista lo conosce di persona, ma lo
conosce nell’esperienza con Dio: impara nell’obbedienza e
c comunica quello che vive. I cristiani conoscono il Cristo
accogliendolo e comunicandolo. Chi sono io per Dio? Sono
testimone autentico del Risorto che ho incontrato e che i
cristiani non riconoscono? Infatti non l’hanno incontrato così. Io sono me stesso
se riconosco Gesù negli eventi della vita e lo dico nella
verità. Nella catechesi di questa settimana faremo una
riflessione sulla riconciliazione partendo dal battesimo di
conversione amministrato da Giovanni, a cui Gesù stesso
partecipa, vedendone i riflessi nel rito della penitenza,
celebrandoli a Natale come luce del mondo. Preghiamo il
Signore perché la sa parola si incarni nella nostra vita e
nel nostro tempo,e, attraverso noi, viva nelle relazioni che
intratteniamo.
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AVVENTO
4 B
2005
Il
trittico che abbiamo davanti al nostro volto illustra in modo
molto bello la parola che abbiamo proclamato oggi. Alla vostra
sinistra l’angelo, l’inviato di Dio: egli rappresenta Dio
che lo invia. Tutta la storia della salvezza, e quindi anche i
singoli eventi che la compongono, inizia da Dio che interviene
per amore del suo popolo. Alla destra Maria, simbolo di
Israele e della Chiesa, popolo di Dio. Quello che viene detto
a lei è compimento di quello che era stato promesso a Israele
e viene compiuto nella Chiesa. Quello che lei risponde
nell’obbedienza, è la risposta generosa che tutti devono a
Dio. Anche la prima lettura annuncia un trittico. Possiamo
sovrapporlo. A sinistra il profeta Natan mandato da Dio a
Davide; a destra Davide che è chiamato a obbedire a Dio; al
centro la casa per il Signore, che sarà non l’edificio
materiale che Davide intendeva edificare ma la famiglia in cui
Gesù, discendenza di Davide abiterà, il popolo santo di Dio.
In fondo l’angelo annuncia a Maria che la profezia di Natan
si compie nel natale di Gesù, che è il primogenito di molti
fratelli, il centro del popolo di Dio. Nel quadro centrale del
trittico che abbiamo davanti è raffigurata la crocifissione,
ma noi possiamo figurare tutti gli eventi della salvezza. Al
centro possiamo mettere Gesù bambino. Infatti Dio
annuncia a Maria la sua nascita da lei, la sua identità di
figlio dell’Altissimo e la sua missione di salvatore del
mondo. Maria non domanda come è possibile, perché sa che a
Dio è possibile; pvs
estai?
Significa: come avverrà, dal momento che essa è vergine?
E l’angelo le annuncia
che il Signore è con lei, come ombra che la avvolge, e
il bambino che nascerà sarà santo e figlio di Dio. Possiamo
mettere la trasfigurazione. La vita umana di Gesù
nasconde agli occhi degli uomini quella divina che si
manifesta nella trasfigurazione. La nube che avvolge i tre
apostoli convocati sul monte, come quella che copre Maria,
indica che la potenza divina compie in loro un evento nascosto
agli uomini.
Possiamo
mettere la risurrezione. Rm 1,3
afferma che mediante la risurrezione Gesù, nato dalla
stirpe di Davide, viene costituito figlio di Dio con potenza
secondo lo Spirito santo. Casa di Davide, potenza di Dio e
Spirito santo sono le stesse realtà divine contenute
nell’annunciazione e spiegano il mistero sia della nascita
sia della risurrezione. Nascita, trasfigurazione, morte e
risurrezione sono parte dell’unico mistero annunciato a
Maria.
Ecco
la serva del Signore. doulh
kuriou,
serva del Signore, significa due cose: l’obbedienza fino al
dono della propria vita, e la gloria che le viene dal servire
Dio.
E’
quello che accade nella consacrazione a Dio e nel matrimonio
sacramento. L’uomo per essere veramente libero ha bisogno di
essere per, di impegnare la sua vita per qualcuno. La
sua vita allora nel servizio si compie e acquista senso e
onore. La piena realizzazione di sé avviene nel dono di sé
nell’obbedienza ai desideri di Dio. Come Gesù e Maria e i
santi non diventiamo grandi da soli ma nell’obbedienza a
Dio, dentro la storia della salvezza, dove si compie il
disegno e la grazia del Padre, quando noi cooperiamo.
L’onore
ci appartiene nell’essere figli di Dio che crescono nella
fedeltà a lui e ai fratelli.
Il
natale è prima di tutto un modo di essere, una conversione,
il fatto che incontriamo qualcuno che ci ama e a cui
consacriamo la tutta la vita, un compito e un onore.
Il
giorno di natale è il momento in cui si rinnova la
consacrazione nella celebrazione liturgica: la confessione e
l’eucaristia di natale, quando l’evento centrale si matura
in noi nella memoria di ciò che Dio ha compiuto nei mementi
fondanti della salvezza.
Dio
sceglie le creature umili e generose, innamorate del Figlio
suo, che accettano di essere tralci della vite feconda che
egli stesso ha piantato sulla terra e che pota con amore perché
faccia molto frutto. L’annuncio dice che questa abitazione
di Dio con noi non avrà mai fine. Ci rimanda al natale
ultimo, alla gloria di Gesù e nostra, risposta del Padre a
chi si è fatto servo per amore.
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