Catechesi

dell'anno pastorale

2002 - 2003

 

a cura di

Don Carlo Salvador

LA PARABOLA DELLA CROCE

Parrocchia di Campolongo

Conegliano, settembre 2003

 

LA CROCE E LA NUOVA ANNUNCIAZIONE

 

 

Attorno alla croce ci sono peccatori che si convertono ma anche persone che hanno risposto con generosità alla chiamata di Dio e che sono pronte ad una missione nuova.

Il crocifisso vede la madre e il discepolo che ama e affida loro una missione che cambia la loro esistenza e la storia. Come sono madre e Discepolo dopo le parole di Gesù?

 

Gv 19, 26-27

 

26 Gesù, dunque, avendo visto la madre

e, in piedi presso di lei, il discepolo che amava,

dice alla madre: “Donna, ecco il tuo figlio”

27 Poi dice al discepolo: “Ecco la tua madre”.

A partire da quell’ora il discepolo la prese in ciò che gli appartiene.

 

Gesù può dire così perché la madre e il discepolo erano sotto la croce l’uno presso l’altra, nella loro originalità e nella loro comunione. Ciò che Gesù compie è in continuità con il passato della salvezza, sia il passato della madre e del Discepolo sia gli eventi già operati da Dio nella storia. Gesù ama intensamente la madre e il Discepolo come sono dopo il cammino di fede compiuto fino alla croce e in virtù della loro fede e obbedienza.

Maria e il Discepolo vengono interpellati da Gesù ad uno ad uno.

La pa­rola di Gesù è performativa; come nei rac­conti di chiamata e di miracolo, essa crea ciò che dice. Viene pro­nunciata come un testamento. Prima di morire Gesù esprime la sua vo­lontà su coloro che sta per lasciare. Gesù consegna la madre al Discepolo e questi alla madre e stabilisce fra loro un legame che è frutto della sua elevazione ed è definitivo.

Come dobbiamo compren­dere la consegna?

La consegna fatta da Gesù va letta su due piani diversi: umano e simbolico.

 

La pietà filiale.

 

I commentatori sono unanimi nel com­prendere il testo nella dimensione umana.

Prima di morire Gesù vuole assicura­re alla madre un sostegno, affidandola al Disce­polo.

Gesù onora il legame filiale con Ma­ria e si assicura che sia assistita dopo la sua morte.

Una vedova era vulnerabile e Maria non aveva altri figli che potessero prendersi cura di lei.

I Padri ammirano la pietà filiale di Gesù, che rimane un modello di giustizia e di amore.

 

Il senso simbolico.

 

Il senso dell’evento è più esteso e profondo di quello umano.

Le parole di Gesù in croce fanno parte della sua missione e sono pronunciate in un momento solenne, posto in gradazione ascendente subito prima della morte.

Gesù stesso riconosce il compimento dell’opera affidatagli dal Padre, quando dice: “Ho sete”, “sapendo che ogni cosa era adempiuta” (28).

C’è inoltre un forte legame con l’ora di Gesù, annunciata a Cana di Galilea.

 

La consegna.

 

Consegna del Discepolo a Maria.

 

Gesù dice alla madre:

“Donna, ecco il tuo figlio”     Gunai ide o uios sou

 

Gesù davanti alla morte consegna a Maria il Discepolo che ama.

Maria ha donato a Gesù la vita dalla sua vita, la saggezza dalla Parola accolta nella fede, la bellezza aperta in lei dalla grazia di Dio, la profondità visitata del mistero.

Gesù invita la madre a dare la sua maternità al Discepolo, a mantenerlo nella radice di Israele, a crescere con lui in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini (Lc 2,52).

Maria vive la fede d’Israele nella fedeltà piena, mentre Israele conosce l’infedeltà.

Maria dunque rappresenta Israele santa, indicata con il termine “donna”.

Maria infatti vive l’attesa di Israele, letta e compiuta insieme al Figlio.

Il Discepolo viene formato in questo rapporto con la madre, come si è formato Gesù.

Il Discepolo rappresenta la comunità gio­vannea, dove continua a svilupparsi il contatto vitale con la salvezza e dove i credenti si formano alla stessa scuola di vita.

La nuova maternità di Maria consiste nell’accogliere come madre coloro che Dio genera in Gesù; è vera maternità adottiva nella grazia dello Spirito, come la paternità di Giuseppe.

Come Gesù ha accanto la madre così la Chiesa ha accanto Maria.

Ogni discepolo che Gesù ama diventa figlio di Maria. Non è Maria che genera a Dio nuovi figli; è il Padre che li pone nelle mani di Gesù e questi li affida alla maternità di Maria.

 

Consegna della madre al Discepolo.

 

Poi dice al Discepolo:

Ecco la tua madre.          Ide h mhthr sou

 

Gesù affida sua madre al Discepolo perché egli, che ha riposato sul petto del Salvatore e ha conosciuto il segreto sulla passione e sul traditore, è l’interprete autorizzato della pienezza del Figlio. Per questo Gesù lo designa a prendersi cura di lei.

Il discepolo arriva alla pienezza della fede perché è amato da Gesù e “ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera e egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate” (19,35). Giovanni racconta eventi di salvezza in esclusiva, in virtù della sua fede esclusiva.

La Chiesa crede perché Pietro la conferma nella fede e Giovanni testimonia la fede.

Maria da ora condividerà l’universo spirituale che Gesù ha aperto al Discepolo.

Il Discepolo porta la madre con sé nello spazio di Gesù percorso dal vento dello Spirito.

La Chiesa compie le ore che mancano perché Israele e il mondo diventino il Regno.

Il Discepolo dona a Maria di entrare come madre nello spazio nuovo del Regno.

Maria accoglie il futuro che il Figlio apre e compie con il Discepolo il testamento del Figlio.

Le parole di Gesù sono performative, creano una nuova situazione, costituiscono una nuova annunciazione che apre un nuovo cammino a Maria e al Discepolo.

E’ l’ultimo intervento di Dio per mezzo di Gesù, prima della sua morte.

 

 Compimento.

 

E da quell’ora il discepolo

la prese in ciò che gli appartiene.         elaben authn eis ta idia

 

Il IV vangelo presenta il Discepolo come il più vici­no al Maestro e come il depositario e il garante della rivelazione di cui ha ricevuto la piena intelligenza. Egli è giunto alla fede grazie alla propria re­lazione privilegiata con il Maestro, non grazie alla madre di Gesù.

Non è Maria che riceve il Discepolo sotto la propria custodia ma è il Discepolo che la prende con sé. Maria ripete in cuor suo “avvenga di me secondo la tua parola” (Lc 1,38).

Il Discepolo riconosce in lei la propria madre. La sua fede si radica e si abbevera per sempre a quella di Israele, primo destinatario dell’Alleanza. Il suo amore si affida come Gesù alla maternità di Maria. Così la sua maternità continua e si compie nella storia.

Il ruolo attivo è affidato al Discepolo. Egli esegue il testamento di Gesù e attesterà quanto ha visto e ascoltato dal Verbo per tutta la durata della storia.

Infatti, secondo la parola di Gesù, il Discepolo re­sterà sino al suo ritorno (21,22).

Gesù dopo la pasqua rimane nella Chiesa e cresce con lei.

Maria rimane nella Chiesa come madre per adempire quello che manca alla passione di Cristo e alla sua crescita fino alla pienezza.

La maternità di Maria è occasione di crescita per la Chiesa e anche per Maria.

La devozione va rivolta alla madre che cresce con noi in quello che Dio opera nel mondo.

 

2   La croce e il segno di Cana di Galilea.

 

L’evento della croce corrisponde a quello di Cana e compie ciò che lì è iniziato.

Il primo dei segni orienta all’ultimo e l’ultimo richiama il primo, come il segno del costato che in Adamo è profezia e in Gesù compimento.

Nel vangelo di Giovanni, Maria appare solo in queste due scene, all’inizio e alla fine del ministero di Gesù. In tutte due Giovanni usa il termine “don­na”.

Gesù, se fosse mosso solo da pietà filiale, avrebbe usato l’appellativo madre.

Ritorna, ed è l’unica volta nella passione, il termine «ora» utilizzato nel racconto di Cana.

Il Discepolo è accanto alla madre e ha un ruolo insieme a lei, come i discepoli hanno un rapporto con lei a Cana (2,2.11). Fare quello che dice Gesù diventa ora accogliere Israele nella Chiesa, perché sia trasformata come l’acqua nel vino.

La madre di Gesù ricapitola in sé l’attesa secolare del popolo della alleanza (cf Sal 87,5), sia a Cana sia presso la croce. Ma la situazione presso la croce non è la stessa di Cana. Presso la croce c’è il Discepolo che non figurava a Cana, perché diviene il Discepolo nella sequela di Gesù, che lo ama e si manifesta a lui.

Nel Discepolo è presente la Chiesa giovannea che non era raffigurata a Cana di Galilea.

Il Discepolo, come i discepoli a Cana, crede in Gesù e gli dà testimonianza.

 

3   Il nome di Maria.

 

Maria viene chiamata nel vangelo con nomi diversi.

Essi sottolineano la sua crescita nella vocazione e la sua missione.

 

Da piena di grazia a madre di Gesù (Lc 1,29ss).

 

L’angelo Gabriele la chiama kecaritwmenh, piena di grazia, e le annuncia che sarà madre.

“Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù.

Sarà grande e chiamato figlio dell’Altissimo”.

Il figlio della piena di grazia diventerà, crescendo, Figlio di Dio.

La piena di grazia diventerà madre di Dio.

“Il Signore Dio gli darà il trono dì Davide e regnerà sulla casa di Giacobbe per i secoli e

il suo regno non avrà fine”. Il trono di Davide non è quello politico ma quello religioso.

E’ il trono in cui Gesù regna in nome di Dio, come Davide.

Tutte le cose sono state fatte per il Verbo e quindi Gesù è Signore e re per nascita.           

Durante la passione Gesù risponde a Pilato: ”Tu lo dici che io sono re. Io per questo sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per testimoniare la verità”.

Il trittico nell’abside della nostra chiesa raffigura, tra l’angelo Gabriele e Maria, il crocifisso, Gesù sul trono della croce.

 

Da madre a donna (Gv 2).

 

Il racconto delle nozze a Cana presenta Maria come madre.

“C’era la madre di Gesù” (v. 1). Gesù la chiama “donna” (v. 4). Questo nome è inconsueto sulle labbra di un figlio ed è contrapposto a “madre”, nome dato dal racconto.

Siamo sul piano umano di un pranzo di nozze e su un piano divino della salvezza che si compie attraverso la presenza e l’azione di Gesù.

Gesù aggiunge qualcosa di nuovo al nome “madre”.

Egli pone alla madre una domanda sul loro rapporto: “Cosa a me e a te, donna?”.

Chiamandola donna provoca un passaggio di identità da madre a donna.

Gesù ricorda la sua ora, l’ora che manifesta che egli è il Messia e la sua gloria.

“Non è ancora giunta la mia ora?”. Gesù dice che inizia la sua ora e la mette in relazione con l’ora che verrà nella sua passione.

Il dialogo crea una sintonia tra Gesù e Maria rispetto alla festa delle nozze.

Maria non precede Gesù né fa pressione su di lui, ma rappresenta Israele che attende.

Maria davanti a Gesù è “donna”, cioè Israele, sposa di Dio nell’antica alleanza.

Come tale obbedisce a Gesù e partecipa alla sua ora. Invita i servi a partecipare alla sua relazione con Gesù, cioè a fare come lei, ad obbedire a Gesù e ad entrare nella sua ora.

Precede Israele e la introduce nell’ora del Figlio.

 

Da donna a madre del Discepolo (Gv 19,27).

 

Il Discepolo è già nato da una madre ed è anche nato dall’alto, perché è amato da Gesù.

La vita di Gesù si trova già in lui, che ha la fede in Gesù, alimentata dallo Spirito.

Giovanni la denomina vita eterna ed è la vita stessa di Gesù.

Maria non genera questa vita ma ne favorisce la crescita. Maria diventa madre adottiva? 

Maria è madre in funzione della vita che il Discepolo ha ricevuto da Gesù.

E’ madre della vita di Cristo nel discepolo amato da Gesù.

Paolo si trova in una situazione analoga di fronte ai Galati.

Egli scrive a loro che sono già cristiani: “Figlioli miei, che io partorisco di nuovo, finché Cristo non prenda forma in voi” (Gal 4,19).

Paolo si considera padre nella crescita in loro della vita divina.

 

4   La testimonianza.

 

Gesù sulla croce sigilla il suo testamento, stabilisce che la Israele santa, rappresentata da Maria e la Chiesa santa, rappresentata dal Discepolo, abitino insieme. La Chiesa conserva la relazione con Israele. Israele riconosce nella Chiesa il compimento della sua attesa.

Il Discepolo prende la madre eis ta idia, nella fede e nell’alleanza.

Gesù unifica la storia della salvezza presso la croce e stabilisce l’alleanza unica ed eterna attorno a sé, configurando la madre e il Discepolo.

Nel momento in cui Israele elude e uccide l’inviato, Gesù accoglie ed unifica i dispersi.

La croce è il trono di Gesù, dove egli rifulge nella sua gloria e, più che il simbolo del dolore, è il punto in cui confluiscono tutti gli eventi della salvezza.

L’annunciazione crea quello che dice, perché è parola di Gesù, l’unigenito di Dio.

Noi siamo chiamati a credere alla testimonianza di “chi ha visto” e a partecipare alla obbedienza della madre e del Discepolo, indicata dall’imperativo del verbo oraw, rivolto a loro e a noi: Ide, ecco, vedi; è davanti a te e con te, se dici “avvenga di me” secondo la parola pronunciata da Gesù.

La nostra vita cristiana deve diventare, a sua volta, una testimonianza vera.