Catechesi

dell'anno pastorale

2002 - 2003

 

a cura di

Don Carlo Salvador

LA PARABOLA DELLA CROCE

Parrocchia di Campolongo

Conegliano, settembre 2003

 

MADRE E DISCEPOLO SOTTO LA CROCE

 

Nel racconto della passione Giovanni testimonia che la madre di Gesù e il discepolo che egli amava sono sotto la croce, vicino al crocifisso.

A loro Gesù dice parole che cambiano la loro esistenza e inaugurano quella della Chiesa. E’ utile comprendere come sono la madre e il discepolo prima e dopo le parole di Gesù.

 

1   La madre, prima delle parole di Gesù sulla croce.

 

Per secoli gli occhi dei fedeli si sono puntati sulla madre afflitta e sul figlio morente.

S. Bonaventura nel sec. XIII scrive lo “Stabat mater” che raggiunge in breve tempo una grande popolarità in Europa e viene musicato da grandi compositori, come gli italiani Palestrina, Rossini e Verdi.

Stabat mater dolorosa / iuxta crucem lacrimosa / dum pendebat filius.

Sostava la madre dolorosa / in lacrime presso la croce / mentre vi pendeva il figlio.

La madre era così davanti alla croce? Quella espressa dallo “Stabat mater” è la madre di Gesù, che la Scrittura chiama beata perché ha creduto?

Giovanni non presenta Maria con il nome con cui è chiamata dalla gente ma con il nome “madre”, che dice il suo rapporto con Gesù e la missione che aveva compiuto fino allora.

Nella Bibbia il nome dice la relazione di Dio con una persona e la missione cui una persona è chiamata da Dio.

Dall’annunciazione alla croce, la sua vita è aperta al Figlio, che si manifesta a Israele.

Maria cresce, come Gesù, in “sapienza, età e grazia” e viene educata da Dio ad aprirsi al futuro che si compirà anche per lei sotto la croce.

Occorre comprendere i progressi compiuti da Maria per capire le parole che Gesù le rivolge dalla croce.

 

Nei vangeli la madre è presentata con le caratteristiche seguenti.

 

Prova turbamento e timore di fronte all’annuncio di Dio e al suo stesso sì, che decidono in modo imprevisto la sua vita (Lc 1,29). E’ il turbamento che prova ogni chiamato.

La vocazione lo pone su un terreno sconosciuto, quello del divino.

“Esci dalla tua terra e dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre verso la terra che ti mostrerò” (Gen 12,1). Alla chiamata Dio aggiunge: “Io sarò con te” (Es 3,12).

Anche la nostra vocazione conosce il turbamento e richiede fiducia in Dio e preghiera.

 

Vive un’intimità con Gesù nella gravidanza, nel parto, nei dati somatici e psichici, nelle prime conquiste del bambino: le prime parole, i passi, le parole e i gesti di tenerezza, l’abbraccio, le parole e i gesti di assicurazione che ogni madre compie.

 

Conserva le cose che i pastori dicevano, meditandole nel suo cuore (Lc 2,18s).

Maria è apprendista del Regno che si manifesta cresce e fa sue le novità che Dio manifesta chiamando tante persone a incontrare il suo Unigenito fatto uomo.

 

Prova stupore di fronte alla preghiera di Simeone e alla sua profezia su Gesù segno di contraddizione, venuto per la caduta e la risurrezione di molti in Israele, e sulla spada che avrebbe trafitto la sua anima (Lc 2,29ss).

Suo figlio viene collocato entro la storia di Dio e della salvezza, segno che appartiene prima di tutto a Dio. Maria accetta la fatica di lasciarsi modellare da Dio.

 

Viene destata nella notte e fugge con il bambino in Egitto (Mt 2,14).

La famiglia si confronta con chi ha potere di vita e di morte sul bambino, un potere “concesso dall’alto”, come dirà Gesù a Pilato. Dio interviene a difendere Gesù, ma solo fino al compimento dell’ora. E i genitori sono lì a farsi carico di lui e a proteggerlo con il timore nel cuore.

 

Sperimenta l’angoscia dei tre giorni di ricerca a Gerusalemme, dove si era recata con Giuseppe e Gesù dodicenne (Lc 2,46), lo stupore di vederlo tra i maestri della legge, la percezione di un cambiamento della relazione con lui e la sofferenza che esprime nelle parole: “Figlio, perché ci hai fatto così? Vedi, tuo padre ed io angosciati ti cercavamo”. Gesù risponde con le parole: “perché mi cercavate? Non sapevate che è necessario che io sia nella cose del padre mio?”.

Avevano perso il bambino e trovano un adulto; scoprono cosa comportava per loro il fatto che egli apparteneva al padre che è nei cieli. La relazione cambia, mentre loro non capiscono e restano segnati nel cuore. Tra Gesù e Maria si interpone la volontà di Dio.

Il loro rapporto si conserva in quanto si assoggetta a Dio e accetta di cambiare.

 

Conosce la morte di Giuseppe e la vedovanza, il suo rimanere sola.

Nella vita cristiana c’è il restare soli con Dio nell’affettività.

C’è la scelta dei vergini, c’è il ritornare soli nella vedovanza degli sposi.

Da questa solitudine prende corpo la chiamata ultima e definitiva alla vita eterna.

 

Si apre all’ora di Gesù a Cana, quando invita i servi a fare quello che egli avrebbe detto (cf. Gv 2,5). Sono le sue ultime parole riportate nel vangelo e dicono la sua spiritualità.

Stare con Gesù significa partecipare alla sua ora, fatta di tanti eventi che si compongono nell’ora di Dio. Avviene anche oggi per i chiamati.

 

Attende paziente “fuori” mentre la folla si accalcava attorno a Gesù tanto da non lasciargli il tempo di mangiare. Qualcuno dice a Gesù che sua madre chiede di lui. Gesù dichiara che sua famiglia era quella composta da coloro che fanno la volontà di Dio (Mc 3,35).

Tra la madre e Gesù si interpone una folla enorme fino alla fine della storia.

La volontà di Dio determina i legami umani. La famiglia del figlio, quella importante per lui, non è quella che prima condivideva con la madre. La madre può solo entrare nella famiglia di Gesù che egli le indica. Così decide la volontà creatrice di Dio.

Maria impara ad entrare nella famiglia di Gesù a mano a mano che essa prende corpo e a farla propria. Gesù vive per la sua ora e la sua famiglia; Maria può stare con lui solo partecipando alla sua ora e alla sua famiglia. Maria non aspetta più “fuori” ma è pronta ad entrare “dentro” la famiglia di Gesù. La relazione tra la madre e Gesù non è più riservata ma è consegnata al Padre e a tanti fratelli.

 

Una donna grida dalla folla: “Beato il grembo che ti ha portato”.

Gesù corregge la donna dicendo: “Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la custodiscono” (Lc 11,27s). Il passaggio è dalla carne alla Parola, dal nascere dai sangui al nascere da Dio, come annuncia Gv 1,13.

Anche oggi il passaggio è dalla famiglia di nascita alla comunità cristiana.

Gesù non ha più tempo per la madre ed essa non può fare per lui quello che desidera fare. Altre donne lo seguono e lo assistono con i loro beni (Lc 8,2-3).

 

Sosta silenziosa presso la croce del Figlio, segno della sua incompetenza di fronte al mistero e della sua obbedienza a Dio che le rivelerà il compiersi del suo disegno nascosto nei secoli.

 

Maria imparò l’amore capace di lasciar andare, di mettersi ai margini, al di là di ogni possesso, capace di abbandonarsi ad un amore più grande, quello di Dio, che la fa crescere ulteriormente, quello della nuova famiglia di Dio che cresce.

La relazione tra Gesù e sua madre è casta. Sia Gesù che la madre vivono un distacco progressivo nel loro rapporto umano e un coinvolgimento sempre più profondo nella volontà di Dio, che è amore e salvezza per tutti gli uomini. Maria non poteva porsi al di sopra del figlio che spogliò se stesso assumendo la condizione di servo (Fil 2,5-7).

La Kenosis di Maria fu il distacco da colui che le era più caro, attraverso molti piccoli grandi abbandoni. La via della croce è la via dei cuori spezzati.

Sotto la croce la madre è pronta al passaggio successivo che le verrà annunciato, la dove la sua maturità raggiungerà la pienezza.

Nel Concilio Vaticano II l’insegnamento su Maria è inserito nell’insegnamento su Cristo e sulla Chiesa. Maria è punto di incontro tra umano e divino, cioè esistenza sacramentale.

Gesù la accompagna nel divino. Il sì di Maria viene dopo il sì dell’Unigenito.

Se Maria non fosse cresciuta così davanti al figlio la persona più piccola nel Regno dei cieli sarebbe più grande di lei, che in realtà è la più grande delle nate di donna.

Gesù ha detto così del Battista (cf. Lc 7,28).

Sotto la croce Maria non è più madre del bambino. Chissà perché certa iconografia si ferma a quel momento della maternità di Maria. Una devozione ferma alla maternità del bambino non dice la pienezza della maternità di Maria.

Occorre l’attenzione della fede al cammino di Maria accanto a Gesù.

 

2   Il Discepolo, prima delle parole di Gesù sulla croce.

 

Giovanni non presenta il Discepolo con il suo nome ma presenta il suo rapporto con Gesù.

“Il Discepolo che Gesù amava” è un nome bellissimo, perché essere amati da una persona grande, stimata e divina come Gesù è il massimo che un credente possa desiderare.

Dio deposita nel discepolo di Gesù il suo amore e il discepolo diventa santo e testimone.

Giovanni arriva a ricevere questo nome dopo un lungo cammino con Gesù.

E’ frutto della scelta di Gesù e del lasciarsi amare di Giovanni. Lasciarsi amare è impegnativo e trasformante. Giovanni si svuota di sé e lascia tutti per Gesù.

Giovanni è amico di Pietro, cugino di Gesù, figlio di Salomé, la sorella di Maria.

Fino al 1900 sulla scia di Ireneo e di Policarpo, la tradizione è quasi unanime nel ritenere che Giovanni è il “discepolo che Gesù amava”, quello che ha posato il capo sul petto di Gesù e che è l’autore del IV vangelo.

Dal 1900 ad oggi si è aperta una ricerca sulla identità del Discepolo.

E’ l’apostolo, la scuola di Giovanni o Giovanni il presbitero?

Léon-Doufour dice che è possibile distinguere tre fasi diverse nella composizione del IV vangelo: un discepolo testimone e la sua comunità, l’evangelista scrittore, il compositore.

Il cap. 21, ad esempio, è un epilogo scritto dopo la conclusione del vangelo.

 

Lascia il Battista insieme con Andrea e segue Gesù (1,37).

Giovanni annota l’ora, come facciamo per i grandi eventi della vita: “Era l’ora decima”.

 

Insieme con Giacomo sogna di sedere accanto a Gesù nel suo regno (Mt 20,20) e chiede a Gesù di potere dire che scenda il fuoco dal cielo sui samaritani che non avevano voluto accogliere Gesù (Lc 9,34). E’ testimone della trasfigurazione (Mt 17,1) e dell’agonia (Mt 26,37), i momenti della vita di Gesù che preludono al mistero pasquale. Nell’ultima cena Giovanni era stato messo, lui solo, a parte del segreto (13, 23-26).

“Uno dei discepoli, quello che Gesù amava stava adagiato sul petto di Gesù”.

A partire da questo momento e senza ve­nir mai meno, è il più vicino al suo Maestro.

 

Introduce Pietro nel palazzo del sommo sacerdote Anna.

 

Rimane con Maria presso la croce mentre i discepoli si disperdono. Sono le due persone grandi, piene dell’amore di Dio.

 

Il vangelo lo associa a Pietro e rivela che il Discepolo è più addentro di Pietro nel rapporto con Gesù (cf. 20,1ss; 21,1ss).

 

Il precursore “venne per testimonianza, per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo suo” (Gv 1,7). Anche il Discepolo è il testimone di Gesù, perché ha una conoscenza diretta dell’evento di cui parla e ne dimostra il significato profondo, però non è destinato a diminuire come il Battista (Gv 3,9) ma a rimanere accanto all’Innalzato e ad accogliere la vocazione che Gesù gli annuncia.

Il discepolo che Gesù ama rappresenta la sposa che Gesù ama e per la quale ha consegnato se stesso per presentarsela bella e irreprensibile (cf. Ef 5,25-27).

Giovanni è il discepolo che Gesù prepara a garantire la rivelazione del Figlio.

Come Maria ha un rapporto particolare con il Figlio, come lei è beato perché crede.

 

La relazione tra Gesù e Giovanni è quella tra maestro e discepolo.

Il maestro dona al discepolo tutta la sua sapienza, il suo amore e la sua anima.

Il discepolo si lascia forgiare ad immagine del maestro, diventa depositario del maestro e lo mantiene vivo nel tempo.

La relazione di Gv con il maestro è frutto della castità di Gesù, cioè della sua capacità di comunione profonda con il lontano e il diverso, capacità di farlo prossimo a sé, quasi la stessa carne. Come i genitori e gli sposi.

Gesù è l’amico che fa conoscere al Discepolo tutto ciò che ha udito dal Padre (Gv 15,15), colui che prolunga nel tempo la fecondità della sua vita.

2Re, 2ss racconta di Eliseo che domanda e riceve due terzi dello Spirito di Elia.

Eliseo non vuole staccarsi da Elia, che tenta tre volte di lasciarlo.

Quando un carro di fuoco e cavalli di fuoco si interposero fra loro ed Elia salì sul turbine verso il cielo, Eliseo raccolse il mantello che era caduto ad Elia e continuò la sua missione.

Giovanni, come Eliseo, non si stacca dal maestro che sta per essere rapito in cielo.

Presso la croce è pronto a ricevere lo Spirito e l’investitura di Gesù che sale al cielo e a continuare la sua missione. Occorre l’attenzione della fede alla parola di Gesù sulla croce. Abbiamo conferma negli avvenimenti successivi alla parola di Gesù.

 

3   La relazione tra la madre e il Discepolo.

 

La madre e il Discepolo stanno in piedi davanti alla croce, a differenza dei discepoli che hanno abbandonato Gesù e delle donne che guardano da lontano (cf. 16,32).

Essi evocano la fedeltà e l’attesa.

Giovanni presenta il Discepolo presso Maria e non presso la croce.

Egli è di so­stegno a Maria; è una persona distinta dal gruppo, in cui la madre è stata men­zionata prima. Sarebbe abusivo vederlo come simbolo dei cristiani.

Nella stesura definitiva della costituzione conciliare sulla Chiesa è stata tolta l’espressione “discepolo figura dei fedeli”, che lasciava intendere questa figurazione.

Egli viene menzionato a titolo personale: è colui che garantisce la rivelazione del Figlio.

Viene invece rivelata un’attenzione del Discepolo per Maria. Si dice che è lì presso di lei.

C’è fra i due parentela, partecipazione alla sorte di Gesù, l’essere amati da lui.

Gesù dalla croce li vede insieme e apre la loro relazione di stima e amore verso il futuro del Regno che egli sta per decidere.