MADRE
E DISCEPOLO SOTTO LA CROCE
Nel
racconto della passione Giovanni testimonia che la madre di Gesù
e il discepolo che egli amava sono sotto la croce, vicino al
crocifisso.
A
loro Gesù dice parole che cambiano la loro esistenza e inaugurano
quella della Chiesa. E’ utile comprendere come sono la madre e
il discepolo prima e dopo le parole di Gesù.
1
La madre, prima delle parole di Gesù sulla croce.
Per
secoli gli occhi dei fedeli si sono puntati sulla madre afflitta e
sul figlio morente.
S.
Bonaventura nel sec. XIII scrive lo “Stabat mater” che
raggiunge in breve tempo una grande popolarità in Europa e viene
musicato da grandi compositori, come gli italiani Palestrina,
Rossini e Verdi.
Stabat
mater dolorosa / iuxta crucem lacrimosa / dum pendebat filius.
Sostava
la madre dolorosa / in lacrime presso la croce / mentre vi pendeva
il figlio.
La
madre era così davanti alla croce? Quella espressa dallo
“Stabat mater” è la madre di Gesù, che la Scrittura chiama
beata perché ha creduto?
Giovanni
non presenta Maria con il nome con cui è chiamata dalla gente ma
con il nome “madre”, che dice il suo rapporto con Gesù e la
missione che aveva compiuto fino allora.
Nella
Bibbia il nome dice la relazione di Dio con una persona e la
missione cui una persona è chiamata da Dio.
Dall’annunciazione
alla croce, la sua vita è aperta al Figlio, che si manifesta a
Israele.
Maria
cresce, come Gesù, in “sapienza, età e grazia” e viene
educata da Dio ad aprirsi al futuro che si compirà anche per lei
sotto la croce.
Occorre
comprendere i progressi compiuti da Maria per capire le parole che
Gesù le rivolge dalla croce.
Nei
vangeli la madre è presentata con le caratteristiche seguenti.
Prova
turbamento e timore di fronte all’annuncio di Dio e al suo
stesso sì, che decidono in modo imprevisto la sua vita (Lc 1,29).
E’ il turbamento che prova ogni chiamato.
La
vocazione lo pone su un terreno sconosciuto, quello del divino.
“Esci
dalla tua terra e dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre
verso la terra che ti mostrerò” (Gen 12,1). Alla chiamata Dio
aggiunge: “Io sarò con te” (Es 3,12).
Anche
la nostra vocazione conosce il turbamento e richiede fiducia in
Dio e preghiera.
Vive
un’intimità con Gesù nella gravidanza, nel parto, nei dati
somatici e psichici, nelle prime conquiste del bambino: le prime
parole, i passi, le parole e i gesti di tenerezza, l’abbraccio,
le parole e i gesti di assicurazione che ogni madre compie.
Conserva
le cose che i pastori dicevano, meditandole nel suo cuore (Lc
2,18s).
Maria
è apprendista del Regno che si manifesta cresce e fa sue le novità
che Dio manifesta chiamando tante persone a incontrare il suo
Unigenito fatto uomo.
Prova
stupore di fronte alla preghiera di Simeone e alla sua profezia su
Gesù segno di contraddizione, venuto per la caduta e la
risurrezione di molti in Israele, e sulla spada che avrebbe
trafitto la sua anima (Lc 2,29ss).
Suo
figlio viene collocato entro la storia di Dio e della salvezza,
segno che appartiene prima di tutto a Dio. Maria accetta la fatica
di lasciarsi modellare da Dio.
Viene
destata nella notte e fugge con il bambino in Egitto (Mt 2,14).
La
famiglia si confronta con chi ha potere di vita e di morte sul
bambino, un potere “concesso dall’alto”, come dirà Gesù a
Pilato. Dio interviene a difendere Gesù, ma solo fino al
compimento dell’ora. E i genitori sono lì a farsi carico di lui
e a proteggerlo con il timore nel cuore.
Sperimenta
l’angoscia dei tre giorni di ricerca a Gerusalemme, dove si era
recata con Giuseppe e Gesù dodicenne (Lc 2,46), lo stupore di
vederlo tra i maestri della legge, la percezione di un cambiamento
della relazione con lui e la sofferenza che esprime nelle parole:
“Figlio, perché ci hai fatto così? Vedi, tuo padre ed io
angosciati ti cercavamo”. Gesù risponde con le parole: “perché
mi cercavate? Non sapevate che è necessario che io sia nella cose
del padre mio?”.
Avevano
perso il bambino e trovano un adulto; scoprono cosa comportava per
loro il fatto che egli apparteneva al padre che è nei cieli. La
relazione cambia, mentre loro non capiscono e restano segnati nel
cuore. Tra Gesù e Maria si interpone la volontà di Dio.
Il
loro rapporto si conserva in quanto si assoggetta a Dio e accetta
di cambiare.
Conosce
la morte di Giuseppe e la vedovanza, il suo rimanere sola.
Nella
vita cristiana c’è il restare soli con Dio nell’affettività.
C’è
la scelta dei vergini, c’è il ritornare soli nella vedovanza
degli sposi.
Da
questa solitudine prende corpo la chiamata ultima e definitiva
alla vita eterna.
Si
apre all’ora di Gesù a Cana, quando invita i servi a fare
quello che egli avrebbe detto (cf. Gv 2,5). Sono le sue ultime
parole riportate nel vangelo e dicono la sua spiritualità.
Stare
con Gesù significa partecipare alla sua ora, fatta di tanti
eventi che si compongono nell’ora di Dio. Avviene anche oggi per
i chiamati.
Attende
paziente “fuori” mentre la folla si accalcava attorno a Gesù
tanto da non lasciargli il tempo di mangiare. Qualcuno dice a Gesù
che sua madre chiede di lui. Gesù dichiara che sua famiglia era
quella composta da coloro che fanno la volontà di Dio (Mc 3,35).
Tra
la madre e Gesù si interpone una folla enorme fino alla fine
della storia.
La
volontà di Dio determina i legami umani. La famiglia del figlio,
quella importante per lui, non è quella che prima condivideva con
la madre. La madre può solo entrare nella famiglia di Gesù che
egli le indica. Così decide la volontà creatrice di Dio.
Maria
impara ad entrare nella famiglia di Gesù a mano a mano che essa
prende corpo e a farla propria. Gesù vive per la sua ora e la sua
famiglia; Maria può stare con lui solo partecipando alla sua ora
e alla sua famiglia. Maria non aspetta più “fuori” ma è
pronta ad entrare “dentro” la famiglia di Gesù. La relazione
tra la madre e Gesù non è più riservata ma è consegnata al
Padre e a tanti fratelli.
Una
donna grida dalla folla: “Beato il grembo che ti ha portato”.
Gesù
corregge la donna dicendo: “Beati piuttosto coloro che ascoltano
la parola di Dio e la custodiscono” (Lc 11,27s). Il passaggio è
dalla carne alla Parola, dal nascere dai sangui al nascere da Dio,
come annuncia Gv 1,13.
Anche
oggi il passaggio è dalla famiglia di nascita alla comunità
cristiana.
Gesù
non ha più tempo per la madre ed essa non può fare per lui
quello che desidera fare. Altre donne lo seguono e lo assistono
con i loro beni (Lc 8,2-3).
Sosta
silenziosa presso la croce del Figlio, segno della sua
incompetenza di fronte al mistero e della sua obbedienza a Dio che
le rivelerà il compiersi del suo disegno nascosto nei secoli.
Maria
imparò l’amore capace di lasciar andare, di mettersi ai
margini, al di là di ogni possesso, capace di abbandonarsi ad un
amore più grande, quello di Dio, che la fa crescere
ulteriormente, quello della nuova famiglia di Dio che cresce.
La
relazione tra Gesù e sua madre è casta. Sia Gesù che la madre
vivono un distacco progressivo nel loro rapporto umano e un
coinvolgimento sempre più profondo nella volontà di Dio, che è
amore e salvezza per tutti gli uomini. Maria non poteva porsi al
di sopra del figlio che spogliò se stesso assumendo la condizione
di servo (Fil 2,5-7).
La
Kenosis di Maria fu il distacco da colui che le era più caro,
attraverso molti piccoli grandi abbandoni. La via della croce è
la via dei cuori spezzati.
Sotto
la croce la madre è pronta al passaggio successivo che le verrà
annunciato, la dove la sua maturità raggiungerà la pienezza.
Nel
Concilio Vaticano II l’insegnamento su Maria è inserito
nell’insegnamento su Cristo e sulla Chiesa. Maria è punto di
incontro tra umano e divino, cioè esistenza sacramentale.
Gesù
la accompagna nel divino. Il sì di Maria viene dopo il sì
dell’Unigenito.
Se
Maria non fosse cresciuta così davanti al figlio la persona più
piccola nel Regno dei cieli sarebbe più grande di lei, che in
realtà è la più grande delle nate di donna.
Gesù
ha detto così del Battista (cf. Lc 7,28).
Sotto
la croce Maria non è più madre del bambino. Chissà perché
certa iconografia si ferma a quel momento della maternità di
Maria. Una devozione ferma alla maternità del bambino non dice la
pienezza della maternità di Maria.
Occorre
l’attenzione della fede al cammino di Maria accanto a Gesù.
2
Il Discepolo, prima delle parole di Gesù sulla croce.
Giovanni
non presenta il Discepolo con il suo nome ma presenta il suo
rapporto con Gesù.
“Il
Discepolo che Gesù amava” è un nome bellissimo, perché essere
amati da una persona grande, stimata e divina come Gesù è il
massimo che un credente possa desiderare.
Dio
deposita nel discepolo di Gesù il suo amore e il discepolo
diventa santo e testimone.
Giovanni
arriva a ricevere questo nome dopo un lungo cammino con Gesù.
E’
frutto della scelta di Gesù e del lasciarsi amare di Giovanni.
Lasciarsi amare è impegnativo e trasformante. Giovanni si svuota
di sé e lascia tutti per Gesù.
Giovanni
è amico di Pietro, cugino di Gesù, figlio di Salomé, la sorella
di Maria.
Fino
al 1900 sulla scia di Ireneo e di Policarpo, la tradizione è
quasi unanime nel ritenere che Giovanni è il “discepolo che Gesù
amava”, quello che ha posato il capo sul petto di Gesù e che è
l’autore del IV vangelo.
Dal
1900 ad oggi si è aperta una ricerca sulla identità del
Discepolo.
E’
l’apostolo, la scuola di Giovanni o Giovanni il presbitero?
Léon-Doufour
dice che è possibile distinguere tre fasi diverse nella
composizione del IV vangelo: un discepolo testimone e la sua
comunità, l’evangelista scrittore, il compositore.
Il
cap. 21, ad esempio, è un epilogo scritto dopo la conclusione del
vangelo.
Lascia
il Battista insieme con Andrea e segue Gesù (1,37).
Giovanni
annota l’ora, come facciamo per i grandi eventi della vita:
“Era l’ora decima”.
Insieme
con Giacomo sogna di sedere accanto a Gesù nel suo regno (Mt
20,20) e chiede a Gesù di potere dire che scenda il fuoco dal
cielo sui samaritani che non avevano voluto accogliere Gesù (Lc
9,34). E’ testimone della trasfigurazione (Mt 17,1) e
dell’agonia (Mt 26,37), i momenti della vita di Gesù che
preludono al mistero pasquale. Nell’ultima cena Giovanni era
stato messo, lui solo, a parte del segreto (13, 23-26).
“Uno
dei discepoli, quello che Gesù amava stava adagiato sul petto di
Gesù”.
A
partire da questo momento e senza venir mai meno, è il più
vicino al suo Maestro.
Introduce
Pietro nel palazzo del sommo sacerdote Anna.
Rimane
con Maria presso la croce mentre i discepoli si disperdono. Sono
le due persone grandi, piene dell’amore di Dio.
Il
vangelo lo associa a Pietro e rivela che il Discepolo è più
addentro di Pietro nel rapporto con Gesù (cf. 20,1ss; 21,1ss).
Il
precursore “venne per testimonianza, per rendere testimonianza
alla luce, perché tutti credessero per mezzo suo” (Gv 1,7).
Anche il Discepolo è il testimone di Gesù, perché ha una
conoscenza diretta dell’evento di cui parla e ne dimostra il
significato profondo, però non è destinato a diminuire come il
Battista (Gv 3,9) ma a rimanere accanto all’Innalzato e ad
accogliere la vocazione che Gesù gli annuncia.
Il
discepolo che Gesù ama rappresenta la sposa che Gesù ama e per
la quale ha consegnato se stesso per presentarsela bella e
irreprensibile (cf. Ef 5,25-27).
Giovanni
è il discepolo che Gesù prepara a garantire la rivelazione del
Figlio.
Come
Maria ha un rapporto particolare con il Figlio, come lei è beato
perché crede.
La
relazione tra Gesù e Giovanni è quella tra maestro e discepolo.
Il
maestro dona al discepolo tutta la sua sapienza, il suo amore e la
sua anima.
Il
discepolo si lascia forgiare ad immagine del maestro, diventa
depositario del maestro e lo mantiene vivo nel tempo.
La
relazione di Gv con il maestro è frutto della castità di Gesù,
cioè della sua capacità di comunione profonda con il lontano e
il diverso, capacità di farlo prossimo a sé, quasi la stessa
carne. Come i genitori e gli sposi.
Gesù
è l’amico che fa conoscere al Discepolo tutto ciò che ha udito
dal Padre (Gv 15,15), colui che prolunga nel tempo la fecondità
della sua vita.
2Re,
2ss racconta di Eliseo che domanda e riceve due terzi dello
Spirito di Elia.
Eliseo
non vuole staccarsi da Elia, che tenta tre volte di lasciarlo.
Quando
un carro di fuoco e cavalli di fuoco si interposero fra loro ed
Elia salì sul turbine verso il cielo, Eliseo raccolse il mantello
che era caduto ad Elia e continuò la sua missione.
Giovanni,
come Eliseo, non si stacca dal maestro che sta per essere rapito
in cielo.
Presso
la croce è pronto a ricevere lo Spirito e l’investitura di Gesù
che sale al cielo e a continuare la sua missione. Occorre
l’attenzione della fede alla parola di Gesù sulla croce.
Abbiamo conferma negli avvenimenti successivi alla parola di Gesù.
3 La relazione tra la madre e il Discepolo.
La
madre e il Discepolo stanno in piedi davanti alla croce, a
differenza dei discepoli che hanno abbandonato Gesù e delle donne
che guardano da lontano (cf. 16,32).
Essi
evocano la fedeltà e l’attesa.
Giovanni
presenta il Discepolo presso Maria e non presso la croce.
Egli
è di sostegno a Maria; è una persona distinta dal gruppo, in
cui la madre è stata menzionata prima. Sarebbe abusivo vederlo
come simbolo dei cristiani.
Nella
stesura definitiva della costituzione conciliare sulla Chiesa è
stata tolta l’espressione “discepolo figura dei fedeli”, che
lasciava intendere questa figurazione.
Egli
viene menzionato a titolo personale: è colui che garantisce la
rivelazione del Figlio.
Viene
invece rivelata un’attenzione del Discepolo per Maria. Si dice
che è lì presso di lei.
C’è
fra i due parentela, partecipazione alla sorte di Gesù,
l’essere amati da lui.
Gesù dalla croce li vede insieme e apre la loro
relazione di stima e amore verso il futuro del Regno che egli sta
per decidere.
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