Catechesi

dell'anno pastorale

2002 - 2003

 

a cura di

Don Carlo Salvador

LA PARABOLA DELLA CROCE

Parrocchia di Campolongo

Conegliano, settembre 2003

 

LA CROCE, CONSEGNA SOFFERTA E FECONDA

Ritiro di Pasqua

 

Nella pasqua di Gesù avviene una serie di consegne drammatiche, che manifestano l’esistenza come odio e amore, morte e vita.

Esse svelano il cuore di Dio e dell’uomo, l’amore di Dio e la risposta degli uomini.

 

1   Consegne operate dall’uomo.

 

Gli uomini consegnano Gesù alla morte.

 

·         Giuda consegna Gesù, l’amico, agli avversari. “Allora Giuda Iscariota, uno dei Dodici, si recò dai sommi sacerdoti, per consegnare loro Gesù” (Mc 14,10).

Amicizia è consegnare se stesso all’amico. Gesù consegna ai suoi amici tutto quello che ha udito dal Padre, tutto se stesso (Gv 15,15). Odio è consegnare l’amico alla dispersione. Giuda risponde consegnando Gesù alla morte.

 

·         Il Sinedrio, custode e rappresentante dell’alleanza, consegna Gesù al rappresen­tante di Cesare, presentandolo come bestemmiatore.

“Al mattino i sommi sacerdoti, con gli anzia­ni, gli scribi e tutto il sinedrio, dopo aver tenuto consiglio, misero in catene Gesù, lo condussero e lo consegnarono a Pi­lato” (Mc 15,1).

Il testo indica le persone (sacerdoti, anzia­ni e scribi), la rappresentanza (il sinedrio)  e la decisione sinodale (dopo aver tenuto consiglio).

Gesù è venuto a rivelare la verità di Dio sul mondo. I rappresentanti della religione dicono che egli bestemmia di Dio. La religione si allea con la politica, per contrastare il regno di Dio annunciato da Gesù come presente e in crescita. Da una parte l’amore di Dio realizza le promesse e dall’altra Israele contrasta il loro compimento.

 

·         Pilato consegna Gesù perché venga crocifisso.

Pilato è convinto dell’innocenza del prigioniero; infatti dice: “Che male ha fatto?” (Mc 15,14). Pilato cede alla folla, per salvarsi dall’intrigo in cui le autorità religiose lo pongono. “Dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso” (Mc 15,15).

La politica, che deve onorare l’innocenza e la giustizia, le mette in croce per non inimicarsi l’autorità religiosa.

 

·         La folla in alcune occasioni era stata l’estrema difesa di Gesù perché l’autorità religiosa non metteva a morte Gesù per paura della folla, che lo riteneva un profeta (Mt 21,45).

Durante la passione, persuasa dall’autorità, reclama la morte di Gesù (Mt 27,20).

Gesù, abbandonato da tutti, rimane fedele a Dio e vive l’esodo da sé e l’amore fino alla fine. La morte di Gesù è una delle tante morti ingiuste della storia, che rivela come l’umanità abbraccia non la vita ma la morte, perché un in­nocente è ucciso dall’ingiustizia del mondo. In quest’ora gli uomini calpestano i valori più preziosi della vita.

Possiamo dire che la tragedia si consuma nella notte del mondo. Dopo che hanno mangiato il boccone di Gesù, cioè la primizia del regno, satana entra nel cuore degli uomini (Gv 13,26-30).

 

2   Consegne operate da Dio.

 

La comu­nità cristiana nascente, segnata dall’esperienza pasquale, legge la parola e la vita di Gesù alla luce delle Scritture e comprende  alcune misteriose consegne da parte di Dio, segni del suo amore senza confini per l’umanità e la creazione.

 

2.1   Il Padre consegna il Figlio. 

 

In principio il Verbo era pros ton Jeon e tutto è stato fatto per mezzo di lui (Gv 1,1-2).

Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a te, Dio Padre onnipotente, nell’unità dello Spirito santo ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli (preghiera eucaristica).

Il Padre vive per il Figlio e questi per il Padre. Essi sono una cosa sola (Gv 17,11).

Che cosa fa il Padre quando viene l’ora di Gesù? Gesù rivela che “Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno” (Mc 9,31 e par.).

A con­segnarlo non sono gli uomini, perché viene conse­gnato nelle loro mani, né è lui a consegnarsi, perché il testo dice che è lui che viene consegnato.

Chi lo consegna è Dio, suo Padre. Egli, come scrive Paolo, “non ha ri­sparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi” (Rm 8,32). Che valore ha questa consegna?

La Scrittura dice: “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio”.

Il Padre dona il Figlio perché ci ha predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito fra molti fratelli (cf. Rm 8,29).

Il Padre compie in Gesù il suo disegno di amore, costruire la grande famiglia che Gesù è venuto ad annunciare e a formare. Gli uomini rispondono all’amore di Dio uccidendo Gesù.

La consegna del Padre è già significata e profetizzata nel sacrifi­cio che Abramo fa di Isacco suo figlio “unigenito” (cf. Gen 22,12).

 

2.2   Il Figlio consegna se stesso.

 

Paolo afferma: “Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,20). Il Figlio si consegna a Dio quando mette la volontà del Padre prima della sua (cf. Lc 22,42).

Il Figlio si consegna per amore nostro.

Quando istituisce l’eucaristia dice: “Questo è il mio corpo, quello consegnato per voi” (Lc 22,19). L’eucaristia è nel tempo e nello spazio segno della consegna continua che Dio fa di sé. Sulla croce Gesù chiede perdono al Padre per coloro che lo mettono a morte, “perché non sanno cosa fanno” (Lc 23, 34).

C’è dunque urgenza che si compia il mistero che l’uomo non comprende.

Attraverso questa consegna il Crocifisso prende su di sé il carico del dolore e del peccato del mondo, come Dio aveva fatto suo il dolore degli ebrei in Egitto, entra fino in fondo nell’esilio proprio dei peccatori come il popolo ebreo era entrato nel deserto, un esilio rispetto all’Eden cui era destinato. Gesù porta il suo popolo nella nuova alleanza pasquale di cui quella dell’AT era primizia e profezia.

Paolo scrive: “Cristo ci ha riscattati dalla maledizio­ne della legge, diventando lui stesso maledizione per noi, co­me sta scritto: Maledetto chi pende dal legno, perché in Cristo Gesù la benedizione di Abramo passasse alle genti e noi rice­vessimo la promessa dello Spirito mediante la fede” (Gal 3,13s).

La benedizione ad Abramo come quella alla prima copia e alla creazione passa al popolo mediante la consegna che Gesù fa di se stesso

Il grido di Gesù morente: “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandona­to?” (Mc 15,34) è il segno dell’esilio che il Figlio ha visitato per assumere la sofferenza del mondo e portarlo alla patria promessa dal Padre.

 

2.3   La consegna dello Spirito.

 

L’evangelista Giovanni scrive che Gesù: “Chi­nato il capo, consegnò lo Spirito” (Gv 19,30).

Secondo Eb 9,14, è una consegna sacrificale. È con uno Spirito eterno che il Cristo offrì se stesso senza macchia a Dio”.  La consegna di Gesù non è senza lo Spirito.

Il Crocifisso consegna al Padre lo Spirito-Amore che aveva ricevuto da lui. Perché?

Notiamo che il Crocifisso, dopo aver consegnato l’amore, resta abbandonato, nella lontananza da Dio e nella compagnia con i peccatori.

Nella consegna dello Spirito Santo al Padre si consuma l’abbandono del Figlio da parte del Padre e si rende possibile il supremo esodo del Fi­glio nell’alterità del mondo, il suo divenire “maledizione” nel­la terra dei maledetti.

Se Gesù non consegnasse lo Spirito o se lo Spirito non si la­sciasse consegnare l’ora delle tenebre diventerebbe una oscura morte di Dio  le tenebre vincerebbero la luce.

Quando il Figlio diventa “abbandonato” dal Padre in pratica viene annoverato tra i peccatori e viene trattato da peccato” (2 Cor  5,21).

Quando egli nella risurrezione riceve nuovamente lo Spirito realizza il mistero nascosto nei secoli; quando compie la consegna dello Spirito-Amore, in risposta obbedienza alla consegna-amore del Padre, allora si compie l’alleanza nuova scritta nel cuore del popolo e diventa un amore senza confini (cf. Ger 22, 31-34).

 

Nell’ora della croce il figlio diventa altro dal Padre e si fa solidale con i peccatori.

Il Figlio è come diviso in due dalla morte e dal peccato.

Il Figlio è vicino a noi e con noi, Emmanuele solidale con i peccatori, che consente ai lontani di aprirsi la via dall’esilio verso la patria della comunione trinitaria.

Il Figlio cresciuto alla massima misura possibile all’uomo, è nelle mani del Padre.

La croce crea una situazione di disagio esistenziale, sofferenza, incompletezza e attesa.

Si crea una situazione crepuscolare. E’ l’ora di invocare con insistenza Dio: “Rimani con noi perché ormai è sera ed è declinato già il giorno” (Lc 24,29).

Il secondo giorno, quello della creazione avvinta dal peccato, si chiude in attesa del terzo giorno, quando Dio si alza nella sua potenza e distende il suo braccio santo.

La croce proclama che Gesù non muore perché l’uomo viva della vita di Dio, il terzo giorno. La morte di Dio in cui Dio cede all’egoismo dell’uomo è una bestemmia; la morte che provoca la vita eterna dell’uomo è la buona novella.

Per mezzo della croce l’umanità dispersa finisce l’esilio ed entra nella terra promessa.

L’ora della separazione rimanda a quella della riconciliazione, la morte al trionfo della vita.

Il venerdì santo segna l’alterità del Figlio dal Padre, che si consuma nella dolorosa consegna dello Spirito, l’ora del Padre che abbandona il Figlio trattandolo da peccato, l’esodo da sé senza ritorno di Gesù, il suo discendere agli inferi, cioè il farsi solidale con tutti quelli che furono, sono e saranno prigionieri del peccato e della morte.

Nell’unità del mistero pasquale tutto è orientato a quello che Dio genererà.  

 

3  Intersecarsi delle consegne.

 

La consegna è duplice, quella compiuta dall’uomo e quella compiuta da Dio.

La consegna fatta dall’uomo manifesta il suo peccato, la sua fragilità e la sua ignoranza del mistero di Dio, del valore della vita umana e della creazione stessa.

Fidandosi solo di se stesso l’uomo finisce con il tradire se stesso  escludendosi dal compiersi della promessa di Dio.

La consegna fatta da Dio si avvale della sua sapienza e della sua potenza creatrice.

Egli è colui che crea nell’uomo un cuore nuovo e gli dona il suo spirito che rende possibile in lui la santità, la fortezza e la generosità (Sal 50,12).

Si rivela così la profondità del suo amore per gli uomini.

“In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati” (1Gv  4,10).

Dio manifesta nella croce la gravità del peccato del mondo, ma anche la potenza del suo amore misericordioso. Come ha insegnato Gesù: “Nessuno ha amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici” (Gv 15,13). Gesù che ha udi­to dal Padre il mistero del suo amore lo fa conoscere a noi nell’alto della croce, quando Dio esalta colui che era umiliato, dandogli il nome che è al di sopra di ogni nome (Fil 2,5-11).

Gesù mentre è consegnato dall’uomo, si consegna.

La consegna umana acquista l’intensità attiva datale da Gesù: diventa consegna salvifica.

 

Come si incontrano la consegna di Dio e dell’uomo?

Sul piano della storia è l’uomo che inizia la sua consegna e consuma il suo peccato.

Sul piano del Regno che si compie viene prima la consegna di Dio. Essa infatti era nascosta nei secoli e si è manifestata quando Dio, ha cambiato di segno la consegna fatta dagli uomini inserendovi la propria. Allora l’umiliazione di Gesù sveste il suo carattere di peccato e veste il carattere dell’amore divino, che purifica dal peccato e crea l’alleanza nuova nella risurrezione.

4   La sofferenza.

 

La consegna di sé nell’amore fino alla fine genera un turbamento profondo dell’esistenza umana. I teologi parlano anche della sofferenza di Dio.

Quali dinamiche manifesta la sofferenza?

La cultura greca e latina ritiene che sia possibile solo una sofferenza passiva, una sofferenza subita. Essa è una imperfezione e quindi non si addice a Dio che è perfetto.

La mentalità cristiana ammette un dolore attivo e scelto, espressione della pienezza dell’amore. Il Dio cristiano non è fuori della sofferenza del mondo, spettatore impassibile di fronte ad essa.

Egli fa propria la sofferenza delle sue creature per rendere possibile in loro la vita nuova.

Gesù lo annuncia esplicitamente quando si avvicina la passione e nell’orto degli ulivi.

Egli esprime il disagio esistenziale con queste parole: “Ora l’anima mia è turbata. Che cosa dirò? Liberami da quest’ora? Ma per questo sono giunto a quest’ora!” (Gv 12,27-28).

“La mia anima è triste fino alla morte. Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io ma come vuoi tu” (Mt 26,36).

La preghiera di Gesù al Padre “glorifica il tuo nome” riceve questa risposta dal cielo: “l’ho glorificato e di nuovo lo glorificherò!”. Il nome padre dice fecondità.

Dio glorifica il suo nome quando sceglie di essere fecondo in Gesù, cioè di innalzarlo.

E’ allora infatti che Gesù attira tutti a sé e diventa il primogenito di molti fratelli.

La sofferenza della croce non ha valore in sé ma in quello che Dio compie attraverso di essa. Il volto del crocifisso non mette in risalto la sofferenza ma la gloria del Padre.

Gesù non sceglie la sofferenza ma la fecondità e la libertà di donare se stesso.

L’amore di Gesù non si ferma alle parole, non fa calcoli, non pone confini o condizioni e  non conosce misure. Gesù propone ai suoi discepoli il vivere esigente.

“Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mc 8,34). La spiritualità dell’Innalzato qualifica la vita cristiana.

Geremia dice che Dio concluderà una nuova alleanza, che scriverà nel cuore dell’uomo, dopo averlo perdonato e rigenerato. Sarà la conoscenza diretta e l’amore perfetto.

Se un amministratore fa il bilancio della sua azienda e lo trova in profondo rosso non può che dichiarare fallimento. Dio ha altre possibilità: può invertire i segni davanti alle cifre, mettere il più dove c’è il meno. Dove è scritto peccato Dio scrive perdono, dove c’è morte scrive vita, dove c’è sofferenza scrive fecondità. Il bilancio risulta tutto positivo, senza essere un falso, perché Dio ha creato una situazione esistenziale nuova.

Paolo scrive ai Romani: “La creazione nutre la speranza di essere liberata dalla schiavitù della corruzione verso la libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme insieme e soffre insieme le doglie del parto fino ad ora; essa non è la sola ma anche noi, che abbiamo la primizia dello Spirito, gemiamo insieme aspettando ansiosamente l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo” (Rm 8, 20-23).

La nascita della nuova vita comporta dedizione e sofferenza.

Dal Venerdì Santo noi sappiamo che le sofferenze umane rimandano al Dio cristiano.

Egli soffre con l’uomo e lo rende capace di soffrire per amore.

Dio dà senso alla sofferenza del mondo, perché la assume a tal punto da far fiorire la vita.