Catechesi

dell'anno pastorale

2002 - 2003

 

a cura di

Don Carlo Salvador

LA PARABOLA DELLA CROCE

Parrocchia di Campolongo

Conegliano, settembre 2003

 

LA CROCE, PARTO ALLA VITA

Ritiro di avvento

 

1  Dio viene.

 

In Ap 1,4 sta scritto: «Pace da colui che è, che era e che viene».

Il terzo verbo è “venire” invece che “essere”ed è al presente invece che al futuro.

C’è una differenza significativa tra “colui che è, che era e che sarà” e “colui che è, che era e che viene“

 

“Colui che è, che era e che sarà” esprime la mentalità greca e la cultura dell’occidente. Essa ritiene che passato, presente e futuro esprimono la pienezza del tempo e l’eternità.

Dio è nell’eternità e abita i cieli mentre l’uomo è nel tempo e abita la terra.

La religione, che esprime l’incontro tra Dio e il popolo, consiste in uno scambio di doni: il popolo dà a Dio adorazione e obbedienza e Dio dona perdono e benedizione.

La religione mette in contatto Dio con l’uomo ma manifesta anche la diversità e la lontananza tra Dio e popolo. Dio resta sempre nei cieli, irraggiungibile nella sua santità e l’umanità resta sulla terra, entro il limite della sua natura e della creazione.

E’ la prospettiva di tutte le religioni naturali.

Teologia e spiritualità sviluppano l’idea di obbedienza ai comandamenti o alla via indicata da Dio e l’idea della riammissione nel paradeisos (giardino) perduto, come premio  all’impegno religioso e morale dei credenti.

 

“Colui che è, che era e che viene“ esprime la mentalità biblica e la cultura dell’oriente.

La bibbia racconta il Dio che viene nel mondo per costruire un’alleanza insieme con l’uomo e l’accoglienza che l’uomo riserva a lui e al suo progetto. Dio e l’uomo sono coinvolti in una trasformazione che cambierà la realtà attuale in una nuova.

Dio è il veniente (ercomenos). Le tappe salienti del suo venire sono le promesse che egli ha fatto, l’incarnazione del Figlio e il dono dello Spirito. L’alleanza impegna Dio e il popolo nella comunione della vita e dei beni. Dio diventa padre degli uomini ed essi formano in Cristo e per opera dello Spirito la nuova famiglia di Dio. I frutti non sono ancora maturi ma l’alleanza cresce perché Dio “viene” verso gli uomini e cambia la storia, qualunque sia la loro risposta. il Regno si rivelerà al tempo della mietitura e sarà festa eterna.

Teologia e spiritualità educano ad accogliere il venire di Dio, a fare con lui una comunione di vita e ad annunciarla agli uomini.

 

2   Le Scritture rivelano la venuta di Dio.

 

2.1  Dio viene nelle promesse.

 

Le promesse di Dio aprono un futuro che egli vuole costruire con l’uomo.

La fede mette in cammino. L’alleanza con Dio genera eventi di salvezza.

 

Eden, Dio passeggia nel giardino e interpella Adamo (Gen 3).

 

 “Udirono la voce del Signore Dio, che passeggiava nel giardino al tramonto e si nascosero, sia Adamo che sua moglie, dal volto di Dio, in mezzo agli alberi del giardino”.

 Il testo presenta il paradiso al tramonto e Dio che viene a vedere, a parlare all’uomo e a promettere la salvezza (Gen 3,15). L’uomo ha paura del Dio che viene, perché si sente nudo davanti a lui, come davanti ad un estraneo (Gen 3, 10).

Lungo la storia Dio continua a passeggiare nel giardino e lo crea di nuovo redimendolo, con la prospettiva di costituire il suo regno eterno e la sua inabitazione nel creato.

 

Carran, Dio promette ad Abramo una terra e una discendenza (Gen 12).

 

Il Signore disse ad Abramo: “Esci dalla tua terra e dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre verso la terra che ti mostrerò. E farò di te una nazione grande e ti benedirò e magnificherò il tuo nome, e sarai benedetto. E benedirò quelli che ti benedicono, e quelli che ti maledicono maledirò; e saranno benedette in te tutte le tribù della terra”.

E partì Abramo come gli aveva ordinato il Signore (Gen 12,1-4).

Dio chiede ad Abramo di lasciare tutto per lui e Abramo obbedisce aspettando da Dio, nel futuro, la terra e la fecondità che ora gli mancano.

 

Oreb, Mosè va alla conquista della terra e della libertà nell’alleanza con Dio (Es 3).

 

Dio dice a Mosè dal roveto: «Io sono il Dio di tuo padre, Dio di Abramo e Dio di Isacco e Dio di Giacobbe» (Es 3,6). Si presenta come il Dio dei suoi padri, il Dio della storia.

Non chiede a Mosè di rimanere sull’Oreb ma lo manda a condurre il suo popolo verso la terra che egli gli promette e verso la libertà, che raggiungerà nella alleanza con lui.

Essa è alternativa all’alleanza con l’Egitto, che si è rivelata causa di povertà e schiavitù.

Dio lo precede come colonna di nube durante il giorno e colonna di fuoco nella notte.

Dio entra nelle relazioni che fanno la storia. La storia non è un abitare ma un pellegrinare verso il futuro reso possibile dall’alleanza feconda con Dio. Dio non è il Dio della montagna o del tempio, ma colui che, camminando davanti al popolo, gli apre il cammino.

 

Gerusalemme, Dio costruisce la casa a Davide (2 Sam 7).

 

Dio per mezzo di Natan dice a Davide: “Forse tu mi costruirai una casa, perché io vi abiti? Ma io non ho abitato una casa da quando ho fatto uscire gli Israeliti dall’Egitto fino ad oggi; sono andato camminando sotto una tenda, in mezzo agli Israeliti.

Te poi il Signore farà grande, poiché una casa farà a te il Signore.

Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu giacerai con i tuoi padri, io assicurerò dopo di te la discendenza uscita dalle tue viscere e renderò stabile il tuo regno” (2 Sam 7,5-6.11-13).

Dio non abita una casa fatta dall’uomo ma prepara una regno in cui l’uomo abiterà con lui, mediante Gesù, discendenza di Dio e di Davide, figlio di Dio e dell’uomo.

 

2.2  Dio viene nell’incarnazione.

 

Gesù “cresceva in sapienza, età e grazia, davanti a Dio e agli uomini” (Lc 2,52).

Con lui cresceva il regno di Dio.

Pietro dopo la Pentecoste presenta Gesù con le parole seguenti.

“Gesù di Nazaret – uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni che Dio stesso operò fra voi per opera sua, come voi ben sapete – dopo che, secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, fu consegnato a voi, voi l’avete inchiodato sulla croce per mano di empi e l’avete ucciso.

Ma Dio lo ha resuscitato avendo sciolto le doglie della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere” (At 2,22-24).

Dio opera in Gesù, lo libera dall’umiliazione della morte e lo veste di gloria.

Il Dio di Gesù è nei cieli, nell’universo. Con l’incarnazione il regno dei cieli si è avvicinato alla terra (Mt 4,7), è vicino (Mc 4,17), è in mezzo a noi (Lc 17,21).

La preghiera insegnata da Gesù rivela un Dio familiare a noi (Mt 6,9-13).

Il suo nome è Padre e sarà santificato, il suo regno verrà e la sua volontà sarà fatta sulla terra. Gesù si chiama “figlio dell’uomo”. Infatti, è uomo, ma anche colui che siede alla destra di Dio e verrà sulle nubi del cielo ad inaugurare il suo regno glorioso (Mt 26,64). Gesù incarna l’accoglienza al Dio che viene e alla sua opera.

 

2.3  Dio viene nella pentecoste.

 

Il Padre invia lo Spirito nel nome di Gesù. Egli dimorerà con i discepoli di Gesù e renderà presente e operante quello che egli ha detto e fatto, fino al compiersi della storia.

“Voi conoscerete lo Spirito di verità, perché dimorerà presso di voi e sarà in voi” (Gv 14-17). “Quando verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l’annunzierà” (Gv 16,12-15)

 

3   La profezia, traccia di Dio che viene.

 

L’AT è il tempo delle promesse di Dio. I fatti dell’esodo e dell’occupazione della terra sono le loro concretizzazioni storiche. Il tempio è il simbolo dell’alleanza tra Dio e il popolo.

Il Dio delle promesse, davanti alla fedeltà e all’infedeltà dell’uomo, giudica la storia.

Nel 587, ad esempio, sotto il re Sedecia, Nabucodonosor, re di Babilonia, distrugge Gerusalemme e il tempio e deporta i suoi abitanti. Da allora Dio è sentito come nascosto e lontano, un Dio che ha  distolto il suo volto da Israele.

I profeti insegnano ad interpretare la catastrofe del 587 come un giudizio di Dio.

Geremia ha la visione dei due canestri, uno di fichi buoni e uno di fichi cattivi. 

I fichi buoni rappresentano il popolo: Dio ha riguardo per esso e annuncia il suo ritorno.

I fichi cattivi rappresentano il re e i suoi collaboratori: Dio li disperde (cf. Ger 24).

Il giudizio apre per coloro che benedice un futuro nuovo, reso possibile da Dio stesso.

Il fondamento della salvezza ora passa dall’esperienza all’attesa e la memoria degli eventi della salvezza prepara il futuro di Dio. «Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche. Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?» (Is 43,18). Dio opera ora, nella storia, e il popolo deve accorgersene adesso.

 

3.1   Il nuovo è frutto del giudizio sul vecchio.

 

La creazione dal vecchio è creazione vera, come la creazione di Adamo dal fango, della donna dalla costola di Adamo e del bambino dai genitori.

I profeti annunciano il ritorno dall’esilio come nuovo esodo, nuova presa della terra, nuova alleanza e nuova Gerusalemme. Le immagini acquisiscono qualcosa di più di ciò che rappresentavano prima, poiché presentano, a chi ne fa memoria, le cose passate diventate nuove. Ciò che è trascorso è primizia di quello che deve ancora venire.

Il nuovo costituisce una dominante nel linguaggio del NT.

La risurrezione di Gesù non ha analogie nella storia di cui già si è fatta esperienza.

Paolo dice, in sintonia con Is 43,18: “Chi è in Cristo è creatura nuova. Le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove” (2 Cor 5,17).

Nella risurrezione di Cristo il futuro della nuova creazione brilla nel presente del mondo vecchio ed accende, nelle sofferenze del tempo presente, la speranza della vita nuova.

Gesù dice ai suoi che verrà di nuovo. Il suo non è un ritorno, perché egli continua ad essere presente sulla terra. Colui che viene nella carne, nello spirito e nella gloria è una presenza continua che si manifesta negli eventi della storia della salvezza.

 

3.2   Il nuovo viene creato dal vecchio.

 

Il Cristo risuscitato si sviluppa dal Cristo crocifisso per un intervento creativo di Dio, che lo fa passare dalla morte alla risurrezione.

Anche la novità cristiana non scaturisce dalla realtà vecchia spontaneamente.

Il battesimo cristiano richiede il morire con Cristo a questo mondo e trasforma chi lo riceve.

Il nuovo non annienta il vecchio né subentra del tutto ad esso.

Paolo dice che “è necessario che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta di immortalità” (1 Cor 15,53). Il Cristo risuscitato “trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso” (Fil 3,21).

Il Dio che viene rimane fedele alla sua creazione e nello stesso tempo la trasforma trasfigurandola e rendendola eterna. Essa si manifesterà in modo compiuto quando il tempo confluirà nell’eternità. Senza il venire di Dio la vita invecchia e muore.

La nostra speranza diventa attesa che Dio faccia nuove tutte le cose.

 

4   La croce, passaggio dall’umiliazione alla gloria.

 

La croce è il segno più grande del venire di Dio, la novità che sconvolge la storia.

Il presente lascia la sua condizione attuale perché da esso nasca una realtà nuova.

 

4.1   Lora di Gesù.

 

“E’ giunta l’ora che sia glorificato il figlio dell’uomo. In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto per terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto.

Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna” (Gv 12,23-25).

La croce è presente, a livelli diversi, nella vita di Gesù, dalla nascita al calvario.

Il trittico della nostra chiesa, ad esempio, illustra il legame tra l’annunciazione e la croce.

Confrontandolo con l’icona della croce che contempliamo quest’anno, notiamo:

- la stessa composizione: il crocifisso al centro e due persone ai lati:

- lo stesso svolgimento tematico: la consegna di un figlio da parte di Dio.

- due tempi diversi della redenzione: l’inizio della vita di Gesù sulla terra, nel trittico,

e l’inizio della sua vita nella Chiesa, nell’icona.

Sia l’annunciazione che la croce manifestano il disegno di Dio.

L’angelo chiama la Vergine “piena di grazia” e le dice: “Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato figlio dell’Altissimo. Il Signore Dio gli darà il trono dì Davide e regnerà sulla casa di Giacobbe per i secoli e il suo regno non avrà fine”. Il figlio della piena di grazia diventerà, crescendo, Figlio di Dio.

La piena di grazia diventerà madre di Dio. La croce è il trono da cui Gesù regna.

Il trono di Davide non è quello politico ma religioso, perché Davide lo riceve dal Signore.

Gesù regna dalla croce in nome di Dio, come Davide aveva regnato su Israele.

Gesù è colui per il quale tutte le cose sono state fatte e quindi Signore e re per nascita.

Durante la passione manifesta a Pilato la sua regalità: “Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per testimoniare la verità” (Gv 18,37).

Pilato con la condanna a morte da a Gesù l’occasione per regnare dalla croce.

Quando è innalzato infatti Gesù attira tutti a sé.

L’annuncio del trittico e dell’icona sono complementari. L’annunciazione adombra la croce e la croce compie l’annunciazione. L’una ha bisogno dell’altra.

Sulla croce si rivela e si compie la verità, che è il disegno di amore di Dio per gli uomini.

La croce è presente nella morte degli innocenti, nel nascondimento di Nazaret, nel tempio dove Gesù rimane per occuparsi delle cose del Padre, mentre suo padre e sua madre lo cercano angosciati, nell’amore fino alla fine che Gesù vive nel servizio, simboleggiato dalla lavanda dei piedi e nel dono del suo corpo e del suo sangue per sancire l’alleanza eterna. Nella croce il venire di Dio si interseca con la vita umana e la creazione si espone all’alto e viene trasformata dall’energia di Dio. L’ora in cui Gesù viene innalzato è l’ora in cui egli è posto verticale fra il cielo e la terra e in cui le sue braccia stringono l’universo. In quell’ora Dio e l’uomo si incontrano in una “unità” che non sarà più spezzata o tradita.

 

4.2   L’ora della Chiesa.

 

Il vangelo presenta il Regno che cresce e si trasforma nella gestazione.

Dio viene per pilotare il parto della creazione e del tempo verso il nuovo paradeisos (giardino) e l’eternità. “Tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola ma anche noi, che possediamo la pienezza dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo” (Rm 8,22).

Il volto della partoriente manifesta la sofferenza che prepara la gioia.

La donna, quando partorisce, è afflitta, perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non ricorda più l’afflizione a causa della gioia, perché è nato nel mondo un uomo (Gv 16,21). La croce apre lo splendore del Regno e fa partecipi della sua festa, con la gioia di averlo partorito insieme con lui.

Il Regno va verso il suo compimento nei percorsi del cammino della Chiesa entro la storia.

E’ il cammino verso il compimento, nella crescita e nella croce.

Il cristiano nella liturgia celebra la memoria, perché gli eventi della salvezza operino oggi e celebra l‘attesa, perché la salvezza si compia nel futuro.

L’incontro con il Veniente richiede la conversione e l’attesa del suo futuro.

“Diventa luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te” (Is 60,1).

“Convertitevi perché si è avvicinato il regno dei cieli” (Mt 4,17).

“E’ vicino il regno di Dio, cambiate mentalità e credete nella bella notizia” (Mc 1,15).

Gesù chiama a convertirsi al regno dei cieli che viene.

Chi crede che Dio viene, con il suo futuro, per incanalare il presente verso l’eterno, si converte dal peccato e si allea con l’azione trasformante di Dio.

Quando il futuro di Dio e la conversione si incontrano, sottraggono il divenire umano alla decadenza e lo fanno confluire nell’eterno.

Il cammino ecclesiale va percorso alla luce del venire di Dio, della conversione dell’uomo e della trasformazione da operare insieme. Tutto, infatti, viene ricreato in Gesù.

I pensieri di Dio non sono i nostri pensieri (Is 55,8).

L’accoglienza della Parola unisce il nostro pensiero a quello di Dio mediante la fede.

Per questo l’ascolto continua tutta la vita.

 La celebrazione è memoria del venire di Dio nella creazione, per rendere certa l’attesa.

I sacramenti e la preghiera ci trasformano e ci fanno confluire nell’eterno.

Le vie di Dio non sono le nostre vie.

La fraternità che Dio genera in noi non nasce dalla carne e dal sangue ma nasce da Dio.

Lo Spirito ci rende capaci di amare come figli, sposi, fratelli e madri nella famiglia di Dio.

 

5   La parusia.

 

L’avvento di Dio è “escatologico”, cioè Dio viene perché possano esistere le cose ultime.

Viene con la sua vita eterna e abita il tempo e il creato, perché partecipino all’eterno.

L’alleanza lega la vita dell’uomo, cioè il tempo e il creato, a Dio.

Dio porta in dote all’uomo, dalla sua vita, l’eternità e l’amore divino.

L’uomo porta in dote a Dio la sua vita nel creato e nel tempo.

Si forma un’alleanza feconda che trasforma l’uomo, il creato e il tempo nel regno dei cieli.

Dio non viene provvisoriamente per poi risalire ma viene per restare, nella modalità di colui che trasforma progressivamente la realtà.

Essa diventa simbolo o sacramento del regno dei cieli in mezzo a noi.

L’avvento di Dio e la risposta dell’uomo rendono possibile per noi l’essere che non muore più, una vita eterna, ed il tempo che non passa più, un tempo eterno.

Le cose ultime (escata) abitano già il tempo e il creato. Dio si inserisce nella storia, la permea, la trasforma e la conduce verso l’eternità. E’ il modo di essere di Dio tra noi.

L’eternità non è lontana dal tempo, ma crescita del futuro di Dio nel tempo.

Alla luce dell’eternità di Dio il tempo non viene sperimentato quale potenza tiranna e minacciosa o come tempo che passa, trascinando tutto nella morte.

Il tempo acquista un plusvalore e una fecondità dalla alleanza con Dio.

La creazione e il tempo sono chiamati a trascendere.

Sul piano umano percepiamo un tempo passato, un tempo presente e un tempo futuro.

Sul piano cristiano siamo trasformati da Dio, che consegna il passato al presente e il presente all’eterno. L’essere trasformati per il futuro di Dio è più urgente e necessario del presente e del passato.

L’avvento della gloria di Dio e la trasformazione del creato rendono possibile l’escatologia.

Alla fine del tempo la gloria di Dio riempirà del suo splendore l’universo intero, annullerà la morte e rivestirà la creazione di uno splendore nuovo.