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ORDINARIO
13 C
2007
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Nei
mesi di luglio e agosto, come gli scorsi anni, prima del vangelo
proclamiamo una sola lettura, la
prima o la seconda, seguita dal salmo responsoriale fissato.
Oggi
meditiamo il cammino cristiano, sia delle singole persone sia della
comunità.
Il
vangelo propone il cammino di Gesù. E’ lo stesso che fanno i suoi
discepoli.
Egli
ha detto di essere la strada per l’unico cammino che conduce alla
gloria.
o
Come viene presentato il cammino dei cristiani nelle
letture che abbiamo ascoltato?
Il
cammino corrisponde alla meta che si vuol raggiungere: se è alta il
cammino è duro. Si compivano i giorni di Gesù. La
traduzione non aiuta. La meta di Gesù non è essere tolto da questo
mondo ma essere assunto nel nuovo mondo. Questa meta, la più bella
che esista, può chiedere qualsiasi rinuncia. Gesù per entrare
nella gloria indurì il volto. L’espressione indica una
scelta sofferta e decisa. Niente può fermare Gesù dal suo
obiettivo, neppure l’umiliazione e la sofferenza della passione.
Ogni
discepolo che entrare nel regno di Dio, si trova di fronte a una
scelta radicale, senza se e senza ma. Giacomo e Giovanni non
capiscono l’alternativa e chiedono che scenda il fuoco dal cielo a
consumare chi si oppone al regno dei cieli.
La Chiesa
è posta sempre di fronte all’alternativa: donare la propria vita
o invocare il fuoco dal cielo; è continuamente tentata di usare il
potere per annunciare.
Anche
i singoli cristiani sono tentati di fidarsi del potere, della
ricchezza e delle sicurezze e fanno fatica a credere nella forza del
vangelo disarmato.
o
Gesù cita tre esempi dalla vita per mettere a nudo
l’atteggiamento del discepolo.
Il
figlio dell’uomo non ha dove posare il capo. La sequela non
copre i rischi derivanti dalla scelta ma offre situazioni sempre
provvisorie. I cammini sono sempre nuovi, da rivedere e aggiornare
continuamente. Bisogna imparare a liberarsi da se stessi, dalle
proprie mediocrità e dal passato per saper fare scelte coraggiose.
Lascia
i morti seppellire i loro morti. Coloro che vivono nel regno non
si prendono cura di ciò che è morto ma del regno di Dio, che è
vivo e cresce ogni giorno.
Uno
che ha preso l’aratro per arare i campi non si tira indietro
neppure di fronte alle esigenze umane ma va avanti subito, perché
vuole avere le messi che verranno.
o
Paolo insegna due cose a chi vuole seguire Gesù.
Cristo
ci ha liberati e ci chiama a libertà: ad essere liberi dai
desideri umani che impediscono il cammino spirituale. Essere liberi
da ci fa liberi per.
Occorre
mettersi a servizio gli uni degli altri mediante l’amore. Tutta la
legge trova la sua pienezza nell’obbedire al comando di amare
il prossimo come noi stessi.
Bisogna
tenere reciso il cordone ombelicale che ci nutriva, tenendoci fusi
alla madre, bisogna cioè rinunciare alla relazioni che erano
importante nel passato, per vivere relazioni caste con tutte le
manifestazioni della vita.
o
L’idea guida del grest 2007, che inizia oggi,
richiama il dono della natura.
Il
grest offre molte possibilità di crescere. Gli animatori lo hanno
figurato in un albero che crescerà mettendo tanti germogli che
diventeranno foglie, fiori e frutti.
Quest’albero
costruito insieme custodirà alla sua ombra e nutrirà con i suoi
frutti tutti coloro che lo fanno crescere. Tutta la comunità
cristiana è chiamata a pregare, perché il Dio che chiama tante
persone a farsi protagoniste del grest, dia a suo tempo la pioggia e
il sole, cioè tutte le cose che fanno vivere nello spirito.
Il
grest non è solo un’avventura umana ma anche un tempo che Dio ci
dà per amare noi stessi e le persone che il grest fa incontrare e
per far crescere il suo regno.
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ORDINARIO
14 C
2007
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Matteo,
Marco e Luca raccontano che Gesù ha mandato i dodici apostoli in
missione. Luca racconta che Gesù, oltre ai Dodici, ha inviato altri
72 discepoli.
I
racconti hanno molte cose comuni ed alcune differenti. Teniamo conto
di tutte.
Il
numero degli inviati ha un senso simbolico. I Dodici rappresentano
le dodici tribù di Israele. Il numero 12 quindi significa che tutto
il popolo di Dio è inviato.
Ogni
discepolo è inviato. Se non è coinvolto nella missione non è vero
discepolo.
Il
numero 72 indica tutte le nazioni. Gen 10 presenta la tavola dei
popoli conosciuti; la desume dalla genealogia dei figli di Noè e
risulta di 72 popoli.
In
Nm 11 è scritto che lo Spirito del Signore è sceso su 70 anziani
riuniti da Mosè nella tenda del convegno e poi su altri due che non
si erano presentati. La missione dunque è rivolta a tutti i popoli
della terra, perché su tutti scende lo Spirito.
o
Gesù invia
la Chiesa
in missione nel mondo con alcune raccomandazioni che indicano come
deve essere svolta la missione e quindi la sua natura.
La
messa è molta ma gli operai sono pochi. Non si parla
dell’aratura e della semina ma della messe. Gli operai sono
mandati a raccogliere quello che Dio ha seminato.
Dio
opera sempre: la creazione, la redenzione e la santificazione sono
opera di Dio.
Il
missionario deve essere convinto che il primo vero missionario è
Dio stesso.
Il
missionario non si deve legare alla cose: il testo allude alla
bisaccia, ai sandali e alla borsa, le cose necessarie allora a chi
si metteva in viaggio. Il missionario in realtà adopera le cose
utili alla missione ma sa che la missione non dipende da esse.
Noi
in questi anni abbiamo ristrutturato con impegno gli edifici della
parrocchia. Questo lavoro è
stato utile alla missione, ci ha aiutato a crescere insieme, ad
amare i luoghi dove ci incontriamo e cresciamo nell’annuncio,
nella preghiera e nella fraternità. Non abbiamo sbagliato o perso
tempo, perché abbiamo fatto cose che si dimostrano utili. Tuttavia
la missione non dipende dai luoghi a disposizione.
Si
possono fare tante cose utili che poi rimangono vuote. Occorre anche
altro.
La
stessa cosa dobbiamo dire del lavoro pastorale. Avere operatori
pastorali competenti, che conoscono la parola di Dio è urgente.
Esorto sempre a dedicarsi allo studio della teologia e a partecipare
alla formazione che viene fatta in parrocchia e in diocesi. Ma
questo non è sufficiente. Ci sono persone preparate che ostacolano
la missione, perché smarriscono il vangelo che hanno conosciuto.
Il
missionario non si lega alle persone ma passa di casa in casa.
Vivere le relazioni comunitarie porta a stringere amicizie che
diventano importanti nella vita delle persone ma il missionario deve
essere disposto a rinunciare a una persona ed anche a tutte se lo
chiede il regno di Dio. Nella pastorale ci possono essere scelte da
fare che lasciano cadere relazioni che prima erano importanti. Lo
erano ma non lo sono più da quando ostacolano la crescita della
comunità. Una persona deve anche saper isolarsi perché altre
possano interrogarsi e crescere. Essere tutti uniti può ostacolare
il regno di Dio quando per essere uniti bisogna rinunciare a scelte
importanti.
L’unità
allora si fa nella verità, perché Gesù è verità. Gesù è
arrivato a dire: guai a voi, quando tutti diranno bene di voi.
Noi a volte cerchiamo la gratificazione nei risultati o nel
gradimento delle persone. Ma queste cose non sono un segno sicuro.
Il
missionario gusta la gioia della missione ma essa non gli viene da
quello che fa ma dal fatto che il suo nome è scritto nei cieli.
Il missionario si sente strumento di Dio ma sa anche che ha già da
Dio la gioia del regno a cui ha votato la sua vita.
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ORDINARIO
15 C
2007
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Un
esperto della legge pone a Gesù una domanda seria. Facendo che
cosa erediterò la vita eterna? La risposta è data dalla parola
di Dio, la stessa per Israele e per Gesù: amerai Dio interamente e
il prossimo tuo come te stesso. L’esperto pone una domanda
ulteriore, Chi è
prossimo a me? La domanda per lui era un espediente per uscire
dall’imbarazzo ma per Gesù era molto seria, perché la parola di
Dio su questo tema aveva ancora qualcosa da dire. Mt 5,43: Udiste
che fu detto: amerai il tuo prossimo e non amerai il tuo nemico. Io
invece vi dico: amate i vostri nemici.
La
parabola del samaritano è una risposta molto bella: mio prossimo è
la persona a cui io mi faccio prossimo, perché Gesù gli è
prossimo. Vediamola con attenzione.
o
Un uomo cammina sulla strada, si imbatte nei
malviventi, viene derubato ed anche percosso in modo grave. E’ una
persona di cui non si specifica il nome né la nazionalità né
l’appartenenza religiosa; è simbolo di ogni uomo della terra e
della storia, e quindi anche del nostro paese
e del nostro tempo. Passano accanto a lui un sacerdote e un
levita e lo scansano, camminando dall’altra parte della strada.
Sacerdoti e leviti servono Dio nel tempio, nella parola, nella
liturgia e n. preghiera.
Non
si occupano di quello che succede nella strada. La percorrono per
raggiungere una meta, non per quello che vi può accadere. Passa
accanto al ferito un samaritano, simbolo dell’eretico, di chi non
onora Dio nel tempio: controfigura.
Il
samaritano si commuove e si prende cura del ferito, ritarda il suo
viaggio, sta con lui la notte e provvede a lui con il suo denaro.
Gesù evidenzia la commozione del samaritano: sente la sorte dello
sconosciuto come la propria, lo ama come se stesso.
Gesù
completa la parola di Dio dicendo: fa anche tu la misericordia
verso chi ha bisogno, qualunque bisogno, e senza distinzioni, anche
se sconosciuto o nemico.
Fa
agli altri quello che vorresti che gli altri facessero a te. Succede
anche oggi che trascuriamo Dio o che trascuriamo il prossimo La
parabola evidenzia una urgenza, a cui è difficile dare la risposta
giusta nella vita nostra vita nel mondo: viene prima
l’amore a Dio o viene prima l’amore al prossimo? Quale
amore precede l’altro?
La
parola di Dio insegna che amare Dio è il comando che impegna di più:
tutta la mente, il cuore, le forze. Gesù insegna che bisogna fare
come il samaritano e non come il sacerdote e il levita. C’è una
precedenza fra i due comandi?
o
Matteo nel capitolo 25 descrive con accuratezza e
solennità il giudizio universale.
Che
cosa è più importante di fronte a Dio giudice? Dio non ricorda i
comandamenti come facciamo noi nell’esame di coscienza. Nel
giudizio i dieci comandamenti non entrano, né i tre comandi verso
Dio né i sette verso il prossimo. Entra l’amore e con queste
modalità. Ogni volta che avete fatto alcune cose ai miei
fratelli più piccoli l’avete fatto a me. Ogni volta che
non le avete fatte, non le avete fatte a me.
Sul
piano del fare viene prima il prossimo. Del resto Giovanni ricorda
che non possiamo amare Dio che non vediamo se non amiamo il prossimo
che vediamo.
o
Sull’amore a Dio è facile illudersi e quindi
sbagliare. L’amore dell’uomo invece è visibile e non inganna.
Anche per questo Dio si è fatto uomo, fratello di ogni uomo. Perché,
quando amiamo l’uomo, noi possiamo amare Dio che fa con l’uomo
un corpo solo. Il corpo di Cristo è nell’eucaristia ed anche in
ogni uomo e donna.
E’
possibile amare Dio e ogni uomo quando si ama nel nome di Gesù, Dio
e uomo.
Come
dice Mosè, amare non è una cosa lontana per farlo ma è portata di
tutti.
Basta
amare i fratelli sapendo che in essi si ama il Dio che si è fatto
uomo.
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ORDINARIO
16 C
2007
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Abbiamo
ascoltato due pagine belle della sacra Scrittura. La prima, dal
libro della Genesi, racconta come Abramo ha ospitato Dio sotto le
querce di Mamre; la seconda, dal vangelo di Luca, racconta come
Marta e Maria hanno ospitato Gesù. Tutte e due insegnano che Dio si
fa ospitare dall’uomo e insegnano come ospitarlo.
Le
pagine belle sono impegnative e richiedono riflessione attenta e
tempo.
Alcune
le leggiamo proprio durante l’estate. Ci fermiamo a qualche
osservazione.
o
Abramo è un capo di una famiglia patriarcale, ma si dà
da fare di persona per i tre ospiti che si fermano davanti alla sua
tenda. La moglie Sara e il servo eseguono. Tutto è accompagnato
dalla fede di trovarsi di fronte a Dio, dalla adorazione del cuore,
da tanta gratitudine e dal lasciare Dio libero di andare o di
restare.
Anche
noi siamo in relazione con Dio ma non sempre abbiamo attenzione a
donare a Dio, a ringraziarlo, a godere di lui e a lasciarlo libero
di essere a suo agio con noi.
La
relazione che abbiamo con Dio è spesso interessata: non lo sentiamo
come l’amico da ospitare in libertà, ma il nostro tappabuchi, il
Dio a nostro servizio.
Siamo
poco ospitali nella vita spirituale come in quella ecclesiale. Ci
comportiamo come se avessimo solo diritti e non doveri di
gratitudine e di obbedienza.
Alcuni
cristiani arrivano ad abbandonare Dio quando non sono esauditi.
o
L’ospitalità di Marta e Maria è diversa: sono due
sorelle che abitano nella stessa casa ma ognuna ospita Gesù a modo
suo. Tutte e due vogliono bene a Gesù e sono amate da lui. Anche il
fratello Lazzaro, che in questa pagina non è nominato.
Marta
esprime l’ospitalità preparando il mangiare da condividere con
Gesù. Lo fa con premura e generosità: si impegna con molti
servizi. Questa ospitalità esprime una sensibilità umana preziosa.
Sappiamo tutti cosa significa ospitare ed essere ospitati a tavola e
sappiamo anche che è facile esagerare, fare più del necessario.
Esprime anche una sensibilità cristiana. Gesù si è fatto servo
fino a morte e morte di croce e ha chiesto ai suoi discepoli di
imparare da lui a farsi sempre servi di tutti. Possiamo dire che
Marta è stata fedele alla sua parte buona, con tanta generosità.
Maria
sedutasi ai piedi di Gesù ascoltava la sua parola. Ascoltava e
parlava: è l’ospitalità nelle cose interiori o spirituali
difficile da praticare, sia da offrire sia da accogliere. Viviamo
nel tempo delle comunicazioni e siamo incapaci di ascoltarci, di
dirci le cose con responsabilità e sincerità, evitiamo di
affrontare cose delicate che sarebbe necessario affrontare e
affrontarle con attenzione e carità.
Anche
la nostra esperienza in parrocchia riflette questa situazione: si fa
fatica ad ascoltare insieme Gesù, confrontandoci insieme sulla sua
parola e così viene meno la cosa più preziosa: vivere un pensare e
sentire comune nelle cose di Dio.
Vi
ho detto ancora che il testo italiano contiene un errore di
traduzione.
Gesù
non dice che la scelta di Maria è migliore di quella di Marta ma
che è buona. Aggiunge anche che è eterna, perché è un’attività
dello Spirito e quindi divina.
o
La pagina di Luca insegna una cosa importante per la
vita ecclesiale. L’ultimo Concilio l’ha riscoperta e
riconsegnata a noi.
La Chiesa
è la famiglia di Dio e tutte le persone in essa sono ugualmente
importanti. Tutte sono diverse come lo sono i fratelli in una
famiglia. Questa diversità è la ricchezza della famiglia e della
vita quando le persone imparano a condividere, a essere e operare
per il bene di tutti.
Una
famiglia bella è quella in cui i fratelli non sono antagonisti ma
sanno donare il proprio bene alla famiglia e godere delle cose belle
che i fratelli raggiungono.
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ORDINARIO
17 C
2007
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La
preghiera può dire tante cose e esprimerle in tanti modi. Mosè
esprime a Dio il suo amore per il giusto che rischia di essere
sterminato a causa degli empi e lo esprime con una preghiera a
scalare, quasi un tentativo di aggiornare Dio, che era sceso per
vedere la situazione, e un espediente per saggiare la sua
misericordia.
Gesù
insegna ai suoi discepoli che cosa dire a Dio quando pregano; non
consegna una formula dove sono importanti le parole precise da dire
ma i contenuti.
Ci
sono ancora cristiani ligi alle formule da recitare integre, da non
cambiare, diminuire o aumentare e ligi alla lingua, anche se non la
conoscono, come c’è chi porta magliette alla moda e pubblicizza
frasi di cui non conosce il significato.
Il
padre nostro di Luca contiene cinque espressioni, quello di
Matteo ne contiene sette ed anche le espressioni comuni non sono
precise. Non si tratta quindi di formule da recitare a memoria, se
non nella preghiera fatta in comune; si tratta di un modello di
preghiera, che si può ampliare, diminuire e esprimere in altre
parole.
o
Mettiamo insieme le due versioni del padre nostro
e troviamo che Gesù insegna due modalità di pregare: la lode e
l’invocazione. La lode è rivolta alla Trinità.
Padre.
La preghiera cristiana è diretta al Padre. Noi conosciamo anche la
preghiera rivolta al Figlio, allo Spirito, a Maria e ai santi, ma la
preghiera liturgica, che è il
modello della preghiera cristiana,
si rivolge al Padre, per mezzo del Figlio nello Spirito
santo. C’è una scansione in Dio. Gesù dice: il Padre è più
grande di me.
Il
Figlio poi è più grande dello Spirito, che è anche il suo amore,
che dona a noi.
Sia
santificato il tuo nome. A Dio si riconosce che è padre di Gesù
e di tutti i figli adottati in lui. L’orante auspica che la
discendenza di Dio padre sia resa santa come è santo lui; allude
alla redenzione e alla divinizzazione della creazione che Dio e
l’uomo sono impegnati a compiere in continuità finché Dio sia
tutto in tutti.
Venga
il tuo regno. Il regno è Gesù, la vera vite, e tutti coloro
che credono, sono innestati e vivono in lui. Il regno sta crescendo
ad opera della Trinità e dell’uomo.
Sia
fatta la tua volontà. La volontà di Dio è compiuta dalla
potenza dello Spirito fin dall’inizio della creazione, della
redenzione e della pentecoste della Chiesa.
Appropriamoci
della preghiera di lode contenuta nel padre nostro: va pregata nella
Chiesa, in ogni tempo e in ogni luogo, in terra come in cielo, e da
tutte le creature.
o
Le invocazioni evidenziano bisogni fondamentali dei
figli di Dio viventi sulla terra.
Dacci
oggi il pane di cui abbiamo bisogno ogni giorno. La vita in
crescita ha bisogno di essere nutrita. C’è il pane frutto
della terra e del lavoro dell’uomo che nutre il corpo e quindi
è condizione per la vita umana e per quella divina. E c’è il
pane che discende dal cielo che nutre la vita divina e quindi
salva quella umana.
La
preghiera unifica questi due pani come fa nell’eucaristia: l’uno
sostiene l’altro.
Un
monito a non cercare solo il pane della terra, che non dà un futuro
di salvezza.
Perdona
a noi come noi perdoniamo. Il perdono è necessario come il
pane.
L’esistenza
dice che senza il perdono non è possibile a noi la vita umana e
divina.
Il
perdono è il frutto della redenzione che impegna Dio a donarsi
senza riserve.
Non
ci indurre in tentazione. La tentazione è naturale per chi deve
scegliere ogni giorno tra bene e male che dimorano e crescono
insieme sulla terra. Gesù ci dice di chiedere a Dio che ci aiuti a
mantenerci liberi dal male e a crescere nel bene.
La
preghiera cristiana conosce altri contenuti ed altri modi insegnati
da Gesù.
Oggi
c’è anche la richiesta dello Spirito santo e la preghiera fatta
con insistenza.
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ORDINARIO
18 C
2007
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Una
persona dice a Gesù: Maestro, dì a mio fratello di dividere con
me l’eredità. La richiesta viene dalla folla, cioè
dall’esperienza che tutti fanno. Sappiamo quali lacerazioni può
provocare una eredità negli eredi. Il genitore dà ai figli vita ed
educazione; i fratelli condividono i beni e le esperienze che li
fanno crescere.
Tutte
queste cose belle e importanti svaniscono di fronte ad una eredità.
Spesso
nasce una rivalità e un
odio che non si placano più. Gesù ha l’occasione di fare una
catechesi sulla giustizia, di insegnare che si deve usare i beni nel
rispetto di tutti, in morte come nella vita. Gesù può insegnare a
chi riceve una eredità, frutto di ingiustizia verso altri eredi, a
dividerla comunque in modo giusto.
o
Gesù però evidenzia altre due cose, che per lui
vengono prima.
La
persona chiede a Gesù di intervenire sul suo fratello, tira Gesù
dalla sua parte.
Gesù
dice: Dio non è né giudice, né mediatore nelle cose umane.
E’ normale che sorgano conflitti fra gli uomini ed essi vanno
risolti secondo giustizia ma entro il giudizio e la mediazione degli
uomini, perché le cose umane contengono una parte della verità e
non è possibile una giustizia assoluta. Il cristiano deve educarsi
alla giustizia e alla solidarietà così da rispettare tutti i
valori implicati nelle sue scelte.
La
missione della Chiesa non è dire ai cristiani: dovete fare così.
La Chiesa
deve educare ma poi spetta ai singoli la responsabilità e il merito
di tradurre la parola di Dio nelle scelte concrete. Ne consegue
anche che nessun cristiano può rivendicare che le scelte che fa in
campo familiare, sociale e politico sono scelte cristiane. Questa
distinzione oggi è urgente perché la cultura è plurale e le
persone sono capaci di fare scelte diverse pur nel rispetto del
disegno di Dio e della giustizia.
I
cristiani devono guardarsi dal condannare scelte che sono
compatibili con il disegno di Dio. Comunque non possono mai odiare
le persone in nome di Dio.
o
Gesù stabilisce una regola d’oro: la vita
dell’uomo non è dai suoi beni.
Nella
nostra epoca si confonde la riuscita della persona con le cose che
possiede.
I
beni alimentano la vita ma sono spesso causa di contrasto, di guerra
e di morte.
E
c’è la morte che può venire questa notte, cioè appena si
sono accumulati beni per tanti anni. La vita sta nelle relazioni e
il nostro cuore cerca la felicità nella comunione con le persone.
Corriamo invece il rischio di avere il conto corrente pieno e il
cuore vuoto, un cuore incapace di solidarietà e di affetti
profondi.
Gli
uomini spesso preferiscono perdere le relazioni piuttosto che
perdere i beni.
Le
cose si impadroniscono del loro padrone: più cose possiede più
servo diventa.
Non
importa la quantità delle esperienze che viviamo ma la loro
profondità. Comprendiamo anche l’attualità di quello che Paolo
scrive ai cristiani di Colossi: Pensate e cercate le cose di
Cristo assiso alla destra di Dio.
Infatti
la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio. Siete rivestiti
dell’uomo nuovo, colui che si rinnova in conoscenza a immagine di
colui che lo ha creato.
Paolo
scrive ai cristiani di Colossi: Pensate e cercate le cose di
Cristo assiso alla destra di Dio. Infatti la vostra vita è nascosta
con Cristo in Dio.
Siete
rivestiti dell’uomo nuovo, colui che si rinnova in conoscenza a
immagine di colui che lo ha creato. La vita è fatta perché Cristo
sia tutto in tutti.
E
ai cristiani di Filippi scrive: Per me vivere è Cristo.
Il
cristiano cerca di arricchire davanti a Dio, anzi di arricchirsi in
Dio. Cristo infatti ci mette nella relazione d’amore con Dio, con
l’umanità e con la creazione.
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ORDINARIO
19 C
2007
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La
prima lettura è ambientata in Egitto. Un ebreo vive da uomo libero
nella terra dove i suoi padri furono schiavi e ricorda la notte
della liberazione, la colonna di fuoco che guidava il glorioso
migrare dei padri in un viaggio che non conoscevano. Il popolo,
memore della promessa di Dio, mangiava la cena pasquale attendendo
la salvezza dei giusti e lo sterminio dei nemici. Così l’ebreo in
Egitto celebra la notte di pasqua nella sua casa gustando la gioia
di far parte del popolo della promessa.
I
cristiani oggi partecipano al bene e al male del paese in cui
vivono. Non si fanno giudici dei fratelli ma attendono che sia Dio
stesso a giudicare e salvare: confidano nel compimento della sua
promessa nella fedeltà gioiosa al cammino ecclesiale.
o
Il brano del vangelo presenta l’immagine della porta
di entrata di una casa.
Fuori
sta arrivando il Signore. Il kurios
non è un padrone, come è tradotto nel testo, ma è Gesù, chiamato
figlio dell’uomo. Egli ora siede nella sua gloria alla destra del
padre e sta per venire a bussare a quella porta, per entrare in
quella casa. Dietro alla porta c’è il despoths,
colui che dispone della casa, come padrone.
Se
egli aprirà prontamente, il Signore entrerà e servirà a tutti i
presenti la sua cena. Se non gli aprirà, il Signore entrerà come
il ladro e saccheggerà quella casa.
L’immagine
mette in evidenza due cose. La vita appartiene all’uomo; egli è
creato ad mmagine di Dio e quindi libero come lui e può aprire o
chiudere la sua porta a Dio; farlo entrare nelle sue cose intime o
tenerlo lontano. La vita però appartiene a Dio che la crea, la
redime e la divinizza. Senza Dio la vita dell’uomo diventa
provvisoria e mortale, è come una casa saccheggiata. Beato l’uomo
che nella sua libertà apre la porta della sua casa a Dio. Dio lo
farà suo commensale e gli darà il cibo della vita libera, divina
ed eterna. Gesù consiglia ai discepoli alcune scelte.
o
Siano i vostri fianchi cinti e le vostre lampade
accese. E’ l’atteggiamento del popolo ebraico la sera della
sua liberazione: essere pronti a lasciare la terra d’Egitto e a
camminare l’esodo che purifica e rende pronti ad entrare nella
terra nuova.
La
terra non è tutto e non è per sempre. Dio ha preparato realtà
nuove per l’uomo. In passato venivano chiamate novissimi e
venivano imparate a memoria per averle sempre presenti come
motivazioni a un glorioso migrare, esodo dalla vita terrena.
Si
tratta di fare un viaggio sconosciuto che conduce a partecipare alla
gloria di Dio.
o
Il figlio dell’uomo verrà nell’ora che voi non
pensate. La sua venuta sarà una sorpresa gioiosa per i
discepoli che lo amano e lo attendono. Anche noi abbiamo provato
sorprese simili e l’intensa gioia che portavano con sé. Mercoledì
prossimo celebreremo la festa della vergine madre assunta nella
gloria e nella gioia di Dio.
Maria
ha seguito Gesù dalla vita terrena a quella dei cieli e terra
nuovi, perché ha creduto alla parola del Signore e seguito Gesù.
La croce di Gesù è stata anche quella di Maria e la gloria di Gesù
è stata la sua gloria. Maria sempre pronta alla obbedienza a Dio e
a Gesù: impariamo che devozione è vivere la sua spiritualità.
La
venuta di Gesù riempirà di vergogna i discepoli che sono trovati
fuori posto, zelanti nel cercare se stessi invece che protesi in
attesa della sua venuta.
Anche
noi abbiamo provato più volte il turbamento di essere sorpresi in
fallo di fronte alle attese legittime che le persone hanno nei
nostri riguardi.
Non
sappiamo quando verrà Gesù perché il suo amore esige fedeltà
piena non una fedeltà aggiustata all’ultimo minuto e quindi
apparente.
Contempliamo
le realtà eterne e impariamo ad essere vigilanti nell’amore a Gesù.
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ASSUNZIONE
DI MARIA 2007
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Questa
festa è nata nella Chiesa orientale, dove è chiamata dormizione
e significa: il passaggio di Maria dalla vita terrestre alle realtà
ultime; il giorno natale di Maria alla vita gloriosa; la sua pasqua,
che è partecipazione alla risurrezione del figlio.
o
La parola di Dio non dice che Maria è assunta in
cielo ma offre piste di ricerca.
La
nostra cultura è impregnata di cose terrene e noi le cerchiamo come
fossero le cose più importanti della vita. I credenti corrono due
pericoli. Il primo è staccare la festa odierna dalle realtà
ultime, facendone una celebrazione del presente. La devozione a
Maria è spesso inquinata, perché celebra l’umano e non celebra
Dio.
Non
si vuole fare la fatica di cercare la bellezza di Maria da imitare
nella vita.
Il
secondo pericolo è celebrare Maria da sola. L’assunzione sarebbe
un privilegio personale, slegato dalla relazione con Gesù e con la
storia della salvezza . Ho visto una bella icona in cui Maria è in
braccio a Gesù, entrambi vestiti dell’abito nuziale. Gesù
sostiene sulle sue ginocchia Maria nella festa gloriosa delle nozze
del cielo.
Ora
ci limitiamo a meditare le due letture proclamate, sapendo che da
sole sono insufficienti a dire il mistero di Maria entro quello di
Gesù e della Chiesa.
Le
parole pronunciate da Elisabetta e da Maria indicano il ruolo
complementare che esse e i loro bambini hanno nella storia della
salvezza: agiscono insieme.
o
L’incontro mette in luce la fede. La fretta
con cui Maria va dalla cugina indica il suo zelo nell’obbedienza
alla volontà di Dio. La fede di Maria traspare anche dalla sua
preghiera che, dalla parola iniziale, chiamiamo il magnificat.
Questo
inno, che
la Chiesa
canta ogni giorno ai vespri, ricalca la preghiera ebraica dei salmi,
ma evidenzia alcune cose che Maria ha vissuto nell’annunciazione.
Dio
ha guardato l’umiltà della sua serva corrisponde a Eccomi,
sono la serva del Signore. L’Onnipotente
ha fatto in me grandi cose richiama la potenza del Dio
Altissimo che adombra Maria e la parola dell’angelo, che nulla
è impossibile a Dio.
La
fede di Maria è grande anche perché Maria crede appena riceve
l’annuncio, prima che l’evento si compia. La fede è capacità
di accogliere i segni dell’agire di Dio e di capire che in essi si
realizza la parola di Dio espressa nelle Scritture. Infatti
Elisabetta sottolinea che Maria ha creduto nell’adempimento
delle parole di Dio. Maria crede che Dio compie quello
che dice, anche se ancora non lo si vede.
o
L’incontro mette in luce la testimonianza.
Maria con la sua presenza rende possibile che Gesù conduca
Elisabetta e il suo bambino a gioire nell’incontrarlo ora, quando
è ancora nel grembo materno. La gioia è legata non solo alla
nascita del bambino ma anche al compimento della salvezza da parte
di Dio.
o
L’incontro mette in luce la misericordia di
Dio. Dio agisce in Maria come opera in tutti i piccoli e gli umili.
Dio opera sempre per la salvezza di tutti. Il mondo è sempre
dominato dai superbi, dai potenti e dai ricchi ma Dio li rovescia
dai troni.
Dio
compie sempre le cose grandi negli umili, nei piccoli e nei poveri.
o
La prima lettura mette la nascita di Gesù entro il
contesto della lotta tra il drago e la donna, rivelata fin dal primo
vangelo, contenuto nella Genesi. La donna figura Maria e
la Chiesa
che portano in grembo Gesù e lo partoriscono per gli uomini.
Il
rifugio preparato per la donna ricorda la vittoria di Dio contro le
forze del male che dominano il mondo, anche la vittoria di Dio sulla
morte e sul sepolcro.
Celebriamo
l’assunzione di Maria credendo che chi partecipa alla missione di
Gesù nel mondo, partecipa anche alla sua gloria. Maria fin d’ora,
noi alla fine del mondo.
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ORDINARIO
20 C
2007
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Oggi
ascoltiamo la parola che Dio rivolge in tempo di crisi. Occorre
innanzi tutto che ci accorgiamo in cosa consiste la crisi; se
confrontiamo la vita attuale e la parola di Dio e non vediamo la
crisi significa che in noi è andato in crisi la fede.
I
profeti, e Cristo in particolare, hanno vissuto nella loro pelle lo
scontro fra la parola di Dio e la mentalità e le scelte dominanti
nel loro mondo religioso.
o
La prima lettura mette in evidenza la lotta tra il
profeta Geremia e i capi di Israele al tempo in cui Gerusalemme era
assediata dai Babilonesi. I capi calano Geremia in una cisterna di
fango e lo lasciano morire senza cibo, accusandolo di non cercare il
benessere del popolo ma di scoraggiare con le sue parole i soldati e
il popolo dal difendere Gerusalemme. Geremia viene salvato da uno
straniero, un etiope.
Sarà
ancora il re pagano Ciro a salvare Israele dalla schiavitù
babilonese.
E
sarà il centurione romano a riconoscere
in Gesù crocifisso il figlio di Dio.
Spesso
anche oggi i capi del popolo di Dio non vedono bene dove sta la
crisi.
I
nuovi profeti trovano più attenzione e rispetto nel mondo che nella
Chiesa.
Com’è
attuale la preghiera del salmista: Dio libera il profeta dal
fango della palude e dalla morte, lo stabilisce sulla roccia
e mette nella sua bocca un canto nuovo.
Dio
è in contrasto e contrapposizione con le persone emergenti del suo
popolo.
o
Il vangelo ci propone alcuni insegnamenti di Gesù ai
suoi discepoli e alla folla.
Sono
venuto a gettare fuoco sulla terra e quanto desidero se già fosse
acceso.
Allude
al fuoco del roveto ardente da cui nasce la liberazione di Israele,
al fuoco portato dalla parola dei profeti, fuoco da cui i capi si
difendono, perché vedono in esso il pericolo della distruzione
della salvezza. Il fuoco invece è segno dell’amore di Dio, che
illumina e riscalda e purifica le cose preziose che Dio semina nella
vita, dalle scorie che le avvolgono. Proprio Gesù dice che il
Battista è più che profeta, in quanto è come fiamma che illumina
e riscalda. Ed Erode ha spento la sua voce.
Oggi
si addolcisce la parola di Dio e in questo modo la si altera
togliendole forza.
E’,
come afferma Eb 4,12, una spada a doppio taglio che ci penetra
tutti? O, come scrive Gc 1,23, ci specchiamo in essa ma poi andiamo
via come eravamo prima?
Facciamo
fatica a non adattarci all’ambiente in cui viviamo, a giustificare
le nostre scelte di vita. La parola ci mette di fronte a scelte
difficili e ci lacera in noi stessi.
Ho
da essere battezzato con una immersione e come sono angosciato finché
sia compiuto. Gesù era già battezzato nel Giordano e aspettava
il battesimo della croce.
Lo
attendiamo con angoscia noi, che siamo già battezzati nell’acqua
e nello spirito?
Quante
volte ci fermiamo al battesimo di acqua, incapaci dell’obbedienza
alle cose che ci chiede il cammino ecclesiale: sono sassolini e li
trasformiamo in macigni, che impediscono il nostro cammino personale
e che perseguitano la comunità.
Sono
venuto a portare la pace. Porto la pace, la mia pace, e insieme la
divisione.
Siamo
continuamente tentati di cercare i compromessi e di considerarli la
pace.
Cerchiamo
di non violentare ma anche di non compromettere le nostre certezze.
Le
comunità più forti, come la famiglia e
la Chiesa
, conoscono tante divisioni.
Infatti,
non siamo battezzati per portare la pace del mondo ma quella della
croce.
S.
Francesco se ne va da casa nudo per seguire il Signore con radicalità
evangelica.
Gesù
ci invita a saper giudicare il nostro tempo alla luce del vangelo.
Si tratta di non fare le scelte mondane che fanno tutti, ma le
scelte che derivano dalla parola di Dio, annunciata dai profeti veri
e non quella annunciata da pastori mondanizzati.
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ORDINARIO
21 C
2007
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Quanti
si salvano? Gesù non rivela numeri ma l’impegno richiesto per
salvarsi.
Allora
le città avevano una porta bassa e stretta, aperta per la notte, ma
finché il padrone lo riteneva opportuno. Entrava una persona alla
volta e con fatica e doveva farlo per tempo, altrimenti rimaneva
fuori esposta al pericolo tutta la notte.
Anche
la città di Dio ha la porta di entrata bassa e stretta in cui ogni
persona entra da sola e nel tempo che Dio fissa per lei. Gesù ci dà
alcuni consigli opportuni.
o
Non ci sono privilegi. Non possiamo rivendicare la
frequentazione dei luoghi e la partecipazione ai riti religiosi ma
bisogna essere operatori di giustizia, cioè fare il cammino
ecclesiale richiesto al popolo di Dio. Come Gesù che andava deciso
verso Gerusalemme, insegnava per città e villaggi, pronto per la
sua ora, che l’attendeva.
E’
un consiglio ai cristiani che danno ai figli il catechismo e i
sacramenti e poi non li
sanno educare a viverli, perché non conoscono e non vivono quello
che chiedono.
Lo
è anche per chi pratica certe cose ma lascia altre che fanno parte
della salvezza. La comunità cristiana è chiamata a fare unità
attorno a Cristo senza escludere nessuno di quelli che lui chiama a
essere Chiesa, sacramento di salvezza per tutti.
Per
troppo tempo abbiamo considerato
la Chiesa
come luogo di salvezza per noi.
Il
Signore chiama discepoli a salvarsi diventando sacramento per gli
altri.
o
La salvezza è per tutti. Pietro in At 10,34 afferma: Dio
non fa preferenze ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque
popolo appartenga è a lui accetto.
Il
timore di Dio è la religiosità con cui le persone vivono le
possibilità che hanno.
Nel
campo estivo abbiamo riflettuto sulla discesa agli inferi, nello
stato di vita in cui ognuno, in libertà e con l’aiuto della
Chiesa, deciderà la propria salvezza.
La
prima lettura ci offre la conclusione del libro di Isaia sulla
salvezza universale.
I
rabbini pensavano che i popoli si salvavano se di sottomettevano a
Israele, Isaia invece,
con la tradizione profetica, annuncia che la possibilità della
salvezza è data ad ogni uomo e ad ogni popolo. In armonia con
questa tradizione Gesù annuncia che le persone verranno da tutti i
luoghi del mondo e siederanno alla mensa nel regno di Dio. Dio dà a
tutti la possibilità di vivere nell’amore e di salvarsi.
L’essere
nella Chiesa non dà la sicurezza della salvezza; anche
la Chiesa
è a servizio del disegno di Dio, che vuole che sia luce e lievito
per tutto il mondo.
o
Gesù dirà parole che bruciano come fuoco: non vi
conosco. Il Signore e noi ci riconosceremo se abbiamo comunione
dentro il cammino ecclesiale.
Cristo
che è venuto a riconciliare ebrei e pagani, schiavi e liberi, uomo
e donna; accetterà una comunità cristiana divisa, spesso per
motivi di egoismo delle persone.
L’icona
della pentecoste ci
ricorda che l’opera dello Spirito è condurci all’unità.
Oggi
l’individualismo impedisce il dialogo, l’apertura e
l’obbedienza a Dio.
E
presumiamo di credere nel crocifisso, nella risurrezione e nelle
realtà ultime: il giudizio, il paradiso, il purgatorio e
l’inferno. Se in passato questi temi potevano nascondere la
strategia pastorale di tenere buoni i cristiani; ora abbiamo modo di
conoscere che i novissimi sono le cose belle che Dio prepara per
coloro che ama.
o
Scriveva un vescovo del 300, quando
la Chiesa
usciva dalle persecuzioni: Oggi combattiamo contro un persecutore
che ci lusinga, non ci tortura ma ci accarezza; egli non ci confisca
i beni per darci la vita ma ci arricchisce per darci la morte, non
ci rende liberi imprigionandoci ma ci rende schiavi onorandoci nel
suo palazzo, non ci taglia la testa con la spada ma ci uccide
l’anima con la ricchezza.
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ORDINARIO
22 C
2007
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Iniziamo
la nostra meditazione dal breve brano della lettera agli Ebrei.
Religione è avvicinarsi a Dio, come amicizia e amore è avvicinarsi
a una persona. La storia della salvezza propone due modi di
avvicinarsi a Dio. Mosè salì sul Sinai e il popolo si avvicinò al
monte come a qualcosa di materiale: il fuoco, la tempesta, la
tenebra e parole così dure che il popolo supplicava Dio di non
rivolgergli più la parola e, se un animale toccava la montagna,
veniva lapidato. Uno spettacolo terribile, tanto che Mosè diceva: Io
sono spaventato e tremante. Mentre avviene questo il popolo
adora, al posto di Dio, un vitello d’oro. La religione del Sinai e
dei comandamenti è presentata così nella bibbia come un momento
davvero deludente della salvezza.
Ma
c’è un altro monte, scrive l’autore, ed è Sion, e sopra c’è
la città di Gerusalemme, quella celeste e non quella terrena. Vi è
riunita l’assemblea dei cristiani, di coloro a cui Gesù aveva
detto: i vostri nomi sono scritti nei cieli, ci sono i giusti
resi perfetti nel tempo di attesa della risurrezione universale. Il
popolo partecipa alle nozze che Gesù ha preparato con il dono di sé
fino al sangue, sacrificio più alto quello di Abele.
Guardate
di non rifiutare colui che parla dal cielo: il Cristo, molto più
grande di Mosè.
o
Il vangelo presenta alcuni insegnamenti di Gesù. Egli
era entrato di sabato per pranzare in casa di un capo dei farisei.
La gente lo guardava. Gesù guarisce un idropico e poi
osserva dove la gente si mette a tavola. Agisce, osserva e
insegna.
Noi
siamo invitati a nozze, nella festa della Gerusalemme celeste: la
bibbia presenta il paradiso come la festa di nozze tra il Figlio di
Dio e
la Chiesa
; e presenta così anche la comunità cristiana: una comunità
attorno all’altare, una sposa a mensa con lo sposo.
Dio
ci invita a questa festa e prepara un posto per ognuno di noi. Anche
Gesù dice ai suoi che sale al cielo per preparare loro un posto.
L’insegnamento di Gesù è chiaro: nessuno sceglie il posto in cui
sedere, perché dipende da colui che invita e dal servizio che una
persona ha svolto a Dio e alla comunità. C’è la chiamata della
iniziazione cristiana uguale per tutti e ci sono i doni che Dio
distribuisce e questi sono diversi. Questa distribuzione non
privilegia le persone ma fa il bene della comunità.
Faccio
qualche esempio: il presbitero, il diacono, la persona consacrata,
gli sposi e quelli che animano il cammino ecclesiale: i catechisti
per l’educazione alla fede, quelli che si occupano della liturgia
per la celebrazione dei sacramenti e del culto, quelli che
promuovono la carità, per costruire familiarità e solidarietà nei
beni, e gli altri servizi.
o
Nella comunità ognuno deve svolgere bene il suo
compito. Nessuno, né persona né gruppo, può condizionare il
parroco, perché il ministero è un compito dato a lui solo.
Egli
risponde al Signore e obbedisce al vescovo. All’inizio dell’anno
pastorale vi dirò cosa il vescovo domanda alla nostra comunità. Il
parroco ascolta la comunità, quando parla insieme nei Consigli e
nei percorsi parrocchiali. Tutti gli altri ministeri pastorali hanno
bisogno del mandato dalla comunità e si svolgono sotto la guida del
pastore.
Guai
alla comunità in cui il pastore cammina sotto la guida di una
persona o gruppo.
Abbiamo
sentito in questi giorni di un prete di Padova, con donna e bambino,
che pretende di continuare a fare il parroco, contro il vescovo, se
la parrocchia è con lui.
Un
parroco e una comunità non costituiscono una chiesa da soli, senza
la comunione con il loro vescovo, che a sua volta deve essere in
comunione con tutto l’episcopato.
Dio
che ci chiama a far parte della Chiesa stabilisce il posto ed esige
che sia rispettato.
La Chiesa
non è democrazia ma comunione. Lo ricordiamo
aprendo l’anno pastorale.
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ORDINARIO
23 C
2007
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Il
brano del vangelo che abbiamo ascoltato richiede una buona omelia,
una omelia che abbia tutte le caratteristiche richieste dalla
liturgia. Una buona omelia:
o
guida i fratelli a intendere e gustare la sacra
Scrittura.
Come
intendere e gustare questa pagina evangelica? Dice Gesù: Se
qualcuno non odia le persone care della sua famiglia e la sua vita
non può essere mio discepolo. L’AT insegna che la famiglia è
stata creata da Dio a immagine sua, che il padre e la madre sono da
onorare, che Dio è sposo di Israele e che bisogna amare se stessi
per amare gli altri. Il NT presenta la famiglia di Giuseppe, Maria e
Gesù come santa e l’amore tra Gesù e
la Chiesa
come sponsale. L’esegesi letterale non aiuta perché il verbo
greco misei
significa proprio odia. Lasciamo correre? Diamo vita tutti i nostri
beni? Non resta che leggere la bibbia con la bibbia. Matteo nel
riportare lo stesso insegnamento di Gesù usa il verbo amare invece
che odiare e scrive: Chi ama il padre e la madre più di me non
è degno di me.
Si
tratta di non amare le persone di famiglia, e la propria vita
terrena, più di Dio.
E’
la gerarchia nell’amore già definita nella sacra Scrittura: ama
il Signore tuo Dio con interi la mente, il cuore e le capacità e
ama il prossimo come te stesso. Si tratta di amare come Gesù ha
amato, l’amore fino alla fine che dona la propria vita.
Luca,
evangelista della misericordia qui usa un linguaggio duro e fa
riferimento come Matteo alla croce di Gesù. Essa è un evento che
costa molto a Gesù ma che è salvezza per lui e per noi, come il
parto è salvezza per la madre e per il bambino. La vita terrena in
fatti, con tutte le sue relazioni è cosa buona, ma è fatta per
essere partorita alla vita divina. Non è bene amare la vita
nell’utero materno più che la vita dopo il parto. Odiare: scelta
fra Dio e ciò che non lo è. Se il tuo occhio ti scandalizza
cavalo; chi perde la propria vita …
Intesa
così l’affermazione di Gesù è da gustare come evento di
salvezza e di gioia.
Questa
comprensione è confermata dalle due piccole parabole di Luca. Chi
vuole costruire calcola prima la spesa e valuta bene se ha i soldi
necessari. Un re prima di dichiarare guerra a un altro re confronta
prima quali forze sono in grado di mettere in campo. Anche una super
potenza può perdere la guerra e la faccia. Occorre verificare la
fattibilità degli obiettivi. La vita nostra e della comunità
cristiana è per il Signore. Se ciò che facciamo non è per il
Signore, perdiamo tutto, perché Dio realizza il disegno e come
vuole e non fa la nostra volontà anche se a noi sembra buona. Anche
Gesù ha salvato se stesso e noi facendo la volontà del Padre.
o
apre il cuore dei fedeli a rendere grazie per gli
eventi mirabili compiuti da Dio.
Chi
gusta la parola di Dio, lo ringrazia della creazione, della
redenzione, della santificazione e della glorificazione. La vita è
limitata nelle sue singole fasi, ma è mirabile nel ciclo completo,
quando Dio porterà a termine quello che ha iniziato.
o
alimenta la fede, perché sotto l’azione dello
Spirito santo si fa sacramento.
L’eucaristia
si avvera dopo la liturgia della parola e agisce portando a frutto
la parola che Dio dice. Per questo dobbiamo imparare a conoscere la
parola anche nello studio e nella catechesi, che la presentano più
estesamente e nel dialogo.
o
prepara a una fruttuosa comunione. Con Gesù
che è Parola e pane, non l’uno senza l’altro. Con i commensali,
che nella parola e nel pane diventano un solo corpo.
o
esorta a assumersi gli impegni della vita cristiana.
La parola e il pane nutrono ed esprimono la vita divina dei figli
che Dio chiama a sedere a mensa nella sua casa.
Il
tema dell’omelia di oggi è amare Dio e il suo disegno prima e più
di tutte le altre realtà della vita, gustare la comunione con Gesù
e i fratelli e impegnarsi per il regno. Viviamo questi percorsi
nella liturgia eucaristica e nella vita della settimana.
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ORDINARIO
24 C
2007
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Il
cap.15 di Luca riporta tre parabole: la pecora smarrita, la moneta
perduta e i due figli sbandati nella casa del padre. Ci poniamo
quattro domande fra altre possibili.
o
Chi si mette in ricerca?
Il pastore cerca
la pecora, la donna cerca la moneta. Non è possibile che la pecora
cerchi il pastore o la moneta cerchi la donna. Il padre non va in
cerca del figlio che si era allontano con l’eredità ma è il
figlio che, dopo aver perso tutto, cerca il padre. In altre parole
è colui che ha perduto che va in cerca. Nella nostra cultura si è
imposta l’idea che sono i pastori, parroci e le comunità, che
devono cercare chi si è allontanato dalla Chiesa. Ma sono i
cristiani, i figli che conoscevano Dio come padre, che lo hanno
abbandonato per seguire il mondo.
o
Che cosa è
stato smarrito? Le
parabole mettono in luce il bisogno primario.
Una pecora, una moneta, una eredità, in una
economia povera, sono un capitale.
Ho visto persone piangere davanti a un vitello nato
morto o a una grandinata.
La
parabola dei due figli è più elaborata e quindi dice di più. Il
figlio minore lascia la casa per realizzarsi e sperpera l’eredità
per trovare felicità, ma le prostitute non danno felicità, perché
non danno amore ma cercano il denaro. Il figlio minore non cerca il
Padre per amore ma per non morire di fame. A smuoverlo non è una
conversione spirituale ma il ricordo che nella casa paterna anche i
salariati mangiano a sazietà. Solo quando arriva scopre che il
padre lo abbraccia e fa grande festa per lui. La parabola mette in
centro e in bella luce la casa e l’amore del Padre.
o
Una comunità
cristiana come salva chi si allontana?
Diventa
una casa piena di amore, dove abbondano le cose vitali che gli
uomini cercano, una casa come la casa del Padre. I due figli non si
erano accorti dell’amore che il padre aveva per loro, ma l’amore
c’era. Ventidue anni fa ho fatto con il Signore questo patto: non
andrò a suonar campanelli, non cercherò di essere simpatico, ma
restaurerò la tua casa, farò in modo che diventi comunità come il
Concilio la vuole, in modo che quelli che l’abbandonano si
ricordino di essa quando restano delusi del mondo e che, quando
ritornano, vi respirino gioia e festa.
Una
catechesi autorevole, una liturgia autentica, una carità che
esprime fraternità e solidarietà sono i percorsi di vita con cui
abbiamo cercato di divenire comunità cristiana secondo il Concilio.
Abbiamo valorizzato i Consigli parrocchiali e le collaborazioni
possibili, puntando su una crescita di qualità che richiede i tempi
lunghi e il superamento di tanti ostacoli. Abbiamo conosciuto
persone che non accettavano di stare al loro ruolo, che non volevano
la catechesi di preparazione ai sacramenti e le modalità della
celebrazione, che cercavano uno spazio per sé. Abbiamo conosciuto critiche
e le sponde alternative di chi seguiva le tradizioni.
Abbiamo incontrato persone che hanno abbracciato la
nuova evangelizzazione lanciata dal Magistero alla luce del Concilio
e si sono resi autorevoli nel servizio.
Sono una minoranza, ma è la minoranza che rende
possibile il cambiamento.
o
Qual’è la
scommessa della missione nel tempo in cui viviamo?
Venerdì
iniziano il ritiro per avviare l’anno pastorale 2007-2008.
Impareremo da alcune cose che Paolo ha scritto ai cristiani di
Filippi come cammina una comunità che vuole essere una casa dove si
incontra l’amore divino, che attira e dona gioia.
Nel
nuovo anno pastorale continueremo il cammino di minoranza, perché i
lontani, ritornando trovino una comunità che riflette l’amore
divino, come la casa del Padre.
Affido
questo impegno alla preghiera e alla collaborazione dei discepoli di
Gesù.
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ORDINARIO
25 C
2007
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Non
è facile commentare il brano di Luca che abbiamo proclamato e
tradurlo nella vita attuale della Chiesa. Contiene una parabola e
questo breve commento: i figli di questo mondo, nella loro
generazione, sono più scaltri dei figli della luce. Gesù
invita i discepoli a farsi intraprendenti, a prendere tutte le
iniziative per la salvezza.
o
Iniziamo un anno pastorale: la parola ci invita a
farne un tempo importante per la salvezza delle persone e della
comunità. Nell’aula battesimale ci sono due segni:
la
vasca in pietra contiene l’acqua in cui ogni persona viene
battezzata singolarmente: la chiamata e il battesimo inseriscono la
singola persona in Cristo.
l’icona
della pentecoste: rappresenta la comunità del Risorto che
riceve insieme lo Spirito santo. In ognuno si posa la fiamma di
fuoco ma è lo Spirito è uno ed è la comunità a essere battezzata
nello Spirito. C’è un battesimo di acqua per la persona e un
battesimo dello Spirito per la comunità, perché sia la comunità
del Risorto.
Dopo
essere stati discepoli/battezzati ricevono un dono speciale, una
nuova consacrazione da Dio, che dà l’identità di comunità del
Risorto, luce nel mondo. Domenica prossima il vescovo imporrà le
mani per conferire il dono speciale dello Spirito santo a un gruppo
dei nostri giovani. Questi giovani, che sono battezzati e discepoli,
entrano a fare parte della comunità e vivono quella consacrazione
che è accaduta nella prima pentecoste. La pentecoste continua,
perché Gesù continua a riunire discepoli, a formarli e poi a
riunirli nella comunità consacrata dallo Spirito santo che ha la
forza di testimoniare il vangelo nel mondo come comunità.
Questo
dono, ci dice la parola oggi, è da utilizzare con convinzione e
scaltrezza.
Nelle
nostre comunità la cresima è utilizzata in maniera minima: i
cresimati, i padrini, le famiglie, la comunità stessa tradiscono
presto la causa per cui sono stati consacrati o non conoscono
neppure che la cresima li consacra alla causa di Cristo.
Molti
ritengono che la cresima sia un dono per la persona, come il
battesimo, solo che viene rinnovato in età adulta quando si è
capaci di rendere testimonianza.
La
cresima invece dà un’altra identità: essere la comunità del
Risorto.
In
fondo possiamo dire che noi non conosciamo abbastanza la comunità
cristiana.
o
Il vangelo oggi contiene anche quattro massime che
spostano l’attenzione sul problema dell’uso dei beni. La
parabola parla di un padrone e un amministratore. Chi sono? Si è
detto che il padrone è Dio, ma non è così. Dio non ha beni per sé,
non ne ha bisogno. Il padrone dei beni sono tutti gli uomini, perché
tutti ne hanno bisogno e nessuno può vivere senza. L’idea è
questa: i beni non appartengono alle singole persone ma a tutti. I
singoli uomini sono amministratori dei beni di tutti. Neppure la
sinistra più radicale ha una concezione così netta della proprietà
dei beni. Il vangelo però non è radicale ma fa
dell’amministratore, una persona che deve trovare i modi di
gestire i beni secondo il vangelo e rendere conto a Dio.
Chi
amministra lo deve fare in modo fedele al vangelo. Come lo ha fatto
Gesù? Egli era figlio di operaio e operaio, non era indigente,
mangiava con i peccatori, con le folle e con la sua comunità
ma raccoglieva gli avanzi e destinava una parte ai poveri, perché
era giusto e riconosceva il loro diritto sui beni che amministrava,
accettava poi di essere assistito dalle donne che lo seguivano senza
imbarazzo.
Mai
sfruttava i poveri per possedere, come ai tempi dei profeta Osea e
anche oggi.
Sentiamo
la responsabilità di essere amministratori di beni che sono
proprietà di tutti. Seguiamo l’esempio di Gesù che era libero di
fronte ai beni ed anche giusto.
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ANNIVERSARIO
DEDICAZIONE DELLA CHIESA 2007
..
Questa
domenica celebriamo tre eventi. Li enumero in ordine di tempo: 22
anni fa il mio ingresso in parrocchia come parroco; inizio di un
cammino fatto insieme, abbastanza lungo e significativo per parlarne
con il Signore. Sarebbe bello anche parlarne tra di noi, perché è
un evento ecclesiale, mio ma anche della comunità.
10
anni fa la consacrazione di questa chiesa al termine del lavoro di
restauro, con la partecipazione di tante persone che con il lavoro
hanno amato Dio e la comunità.
Ricordo
che la chiesa è stata consacrata dal vescovo Alfredo e unta con il
crisma.
Quattro
croci in pietra e la candela accesa davanti ad esse segnano
l’unzione.
La
mensa dell’altare poi è stata spalmata interamente con l’olio
santo con cui si unge la fronte dei battezzati, dei cresimati e i
ministri ordinati.
Comprendiamo
che alla chiesa bisogna riservare venerazione e rispetto durante le
liturgie ma anche quando preghiamo in solitudine. Gesù ha detto del
suo tempio: è la casa del padre mio e la casa della preghiera. Vale
ancora di più del tempio cristiano perché gli eventi che vengono
celebrati in esso sono più grandi.
o
La prima lettura ci pone questa domanda: è proprio
vero che Dio abita sulla terra?
Se
la creazione non può contenere Dio, perché le creature non
dispongono della creazione, può contenerlo un edificio? E’
evidente che la chiesa non è un luogo in cui Dio è prigioniero.
E’ invece il luogo dove noi preghiamo Dio, il luogo della comunità
a cui Dio guarda dalla sua dimora, che è più grande anche del
tempio. Abbiamo cantato nel salmo responsoriale: rendiamo grazie
a Dio nella sua dimora.
o
La lettera agli Efesini rivela che noi apparteniamo
alla famiglia di Dio. Abbiamo appreso nel ritiro di inizio anno
pastorale che i cristiani sono cittadini del vangelo.
Siamo
un edifico composto da pietre viventi. Abbiamo come pietra di
sostegno Cristo Gesù, gli apostoli e i profeti: non Cristo da solo,
non gli apostoli e i profeti da soli, perché dove ci sono gli
apostoli c’è Cristo e dov’è Cristo ci sono gli apostoli. Una
comunità cristiana non vive senza l’apostolo. Egli però è
chiamato e consacrato e inviato da Dio, non è scelto dalla comunità.
Siamo
edificati in Gesù per diventare dimora di Dio e dobbiamo crescere
ben ordinati secondo il carisma e il posto che Dio ci ha assegnato.
La Chiesa
dimora là dove tutti obbediscono a Dio, rappresentato dai pastori
da lui inviati.
o
Il brano del vangelo è incentrato sulla domanda che
Gesù stesso pone: Chi sono io?
Sono
possibili due risposte. Una si fonda su quello che Gesù ha
insegnato e fatto, e si esprime così: Gesù è profeta, e in
particolare un profeta risuscitato del passato.
Quanti
cristiani ancora oggi pensano a Gesù come a un profeta del passato!
La
seconda risposta dice che Gesù è l’inviato di Dio, l’unto, il
figlio suo unigenito, unico e insostituibile, il profeta di oggi, da
ascoltare in quello che rivela e fa oggi.
Conosciamo
Gesù così solo se il Padre ce lo rivela dentro il cammino di
Chiesa. Egli ce lo rivela attraverso i pastori che Gesù ci ha
inviato e a cui ha manifestato tutto quello che il Padre ha
manifestato a lui. C’è una circolarità: il Padre a Gesù, Gesù
ai pastori che chiama amici e questi al popolo. Gesù edifica la sua
Chiesa sui pastori che invia e consacra. Come il Padre ha mandato
me, così io mando voi.
Essi
hanno le chiavi: aprono e chiudono, sciolgono e legano e i cieli
confermano.
Recuperiamo
la gioia di professare e praticare questa fede: una fede ecclesiale.
Gesù
dice che chi riceve questa rivelazione
è beato. Le cose belle del mondo finiscono nel sepolcro
mentre Gesù è vita eterna per quelli che credono in lui.
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ORDINARIO
28 C
2007
..
Per
inserire il messaggio del brano di Luca che abbiamo ascoltato nel
contesto religioso del nostro tempo, precisiamo il senso di lebbra,
obbedienza, riconoscenza.
o
La lebbra è una malattia che dissolve
progressivamente il corpo e isola le persone dalla vita civile e
religiosa. Allora il contesto civile e religioso si confondevano.
Che
cosa corrisponde alla lebbra nel nostro contesto? L’ateismo nei
vari modi in cui si manifesta nella vita quotidiana: non fare più
riferimento a Dio ma vivere come se Dio non esistesse o non
centrasse con le nostre scelte, affermare la nostra autonomia da
Dio. L’ateismo distrugge progressivamente quello che
l’iniziazione cristiana ha costruito sia nella fede sia nella
carità, isola i cristiani dalla comunità del Risorto, anche se
continuano a tenere gli agganci con le feste e le tradizioni.
Invece
che seguire Cristo lo sostituiamo con la religione civile e
l’attaccamento ai riti della tradizione; trascuriamo l’amore a
Gesù che rende capaci di mantenerci fedeli alla sua spiritualità.
Egli ci vuole guarire dalla lebbra del nostro tempo e ci indica il
percorso fatto dal lebbroso, straniero rispetto alla religione
ebraica.
o
L’obbedienza non è più una virtù per la
maggioranza delle persone, già quando escono dall’adolescenza.
Accade una cosa strana: i genitori obbediscono ai figli e i preti
obbediscono agli umori dei loro parrocchiani. Questo stile viene
chiamato buonismo; si cerca di accontentare per mantenere le
relazioni, si accettano i nuovi costumi sociali, come il divorzio e
la convivenza, come cose normali.
o
Gesù ordina ai 10 lebbrosi di presentarsi ai
sacerdoti per certificare la loro guarigione e essi guariscono
mentre vanno dai sacerdoti, cioè mentre obbediscono.
Tutti
i segni di Dio richiedono la fede, cioè l’affidarsi e quindi
l’obbedire a Dio e tutti gli eventi salvifici della vita di Gesù
e di Maria avvengono sotto l’obbedienza.
Non
è possibile che il mondo si sollevi dal peccato e diventi nuova
creazione se non viene trasformato dalla parola e dalla grazia di
Dio. Per questo motivo tutta la vita cristiana e tutte le relazioni
ecclesiali devono misurarsi con l’obbedienza.
Nell’annuncio
di oggi scrivo come una comunità arriva a fare la volontà di Dio.
Se
una persona o un gruppo non accettano di cercare la verità insieme
con gli altri, nella collegialità ecclesiale, sono a servizio delle
idee umane e non del vangelo.
o
La riconoscenza è l’anima della liturgia cristiana.
La preghiera più bella della Chiesa si chiama eucaristia, cioè
azione di grazie. Ogni domenica esprimiamo la fede in Dio, che ci ha
raggiunti nella parola e nell’azione di Gesù, ringraziando e ogni
volta che rendiamo grazie, Gesù ci dice: alzati e va; la tua fede
ti ha salvato.
La
riconoscenza è un sentimento che nasce spontaneo quando le
relazioni sono belle e profonde. Nella vita cristiana però è un
sentire raro. Gesù ha raggiunto il 10%, un lebbroso su dieci lo ha
ringraziato ed per giunta era uno straniero.
E’
più facile trovare e esprimere riconoscenza nella cose umane che
nella religione.
Noi
educhiamo i bambini a dire grazie, ma quasi sempre si tratta di cose
materiali. Ricordo ancora una frase che ho letto in una fabbrica a
Vittorio V., quando seguivo gli operai: non fare del bene se non hai
la forza di superare l’ingratitudine.
A
sentire ed esprimere riconoscenza bisogna che ci educhiamo,
imparando ad apprezzare tutte le cose belle che Dio ci dona
attraverso le persone. Impariamo a non negarle solo perché accade,
a ragione o a torto, una cosa che non ci va. Siamo malati di lebbra,
siamo atei che non vedono i segni di amore di cui Dio ci circonda.
Chiediamo di essere guariti, impariamo ad obbedire e siamo
riconoscenti.
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ORDINARIO
29 C
2007
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La
preghiera mette in comunione l’umano con il divino. E’ difficile
presentare il divino mediante l’umano e quindi anche rendere
attuali le parabole di Gesù.
o
Dio è come il giudice? Il giudice non teme Dio e non
rispetta l’uomo ed è quindi empio e iniquo. Egli tuttavia fa
giustizia alla vedova, perché con la sua insistenza gli dava
molestia e lo tormentava in quanto lo screditava nella sua funzione.
Es
32 scrive che Dio interviene a favore dei suoi fedeli per difendere
il proprio onore in quanto si è esposto a loro favore. Se non
ascoltava la preghiera appariva che aveva fatto uscire Israele
dall’Egitto con malizia, per disperderli dalla terra.
La
preghiera può sfruttare il fatto che Dio si è già esposto per noi
nella storia della salvezza, che Gesù è morto per noi. L’uomo ha
crocifisso Gesù come empio ma il crocifisso ci dà il diritto di
essere perdonati ed ascoltati. L’amore divino è mirabile.
o
La preghiera è una richiesta insistente a Dio come
quella della vedova? Dio sa già di che cosa abbiamo bisogno ed è
già padre e quindi provvidenza per l’uomo.
La
comunità cristiana vive sempre in una condizione di debolezza e di
fragilità come la vedova, non ha garanzie di tipo economico,
sociale e politico. Anche se le ha non le servono anzi la
disturbano, perché solo Dio può costruire il regno.
La
preghiera della comunità deve durare finché è nelle condizioni di
fragilità e di povertà, cioè per sempre. E’ insistente non
perché Dio la ascolti ma perché il suo bisogno è insistente nella
sua condizione di essere realtà divina vivente nell’umano.
Mosè
sul monte rappresenta bene questa condizione della preghiera: le sue
mani devono rimanere alzate e ferme finché dura la condizione della
battaglia, in cui Israele ha bisogno di essere sostenuta nella sua
povertà e fragilità.
Se
una comunità cristiana non prega così significa che è
presuntuosa, che non attende da Dio ma confida in se stessa e nelle
sue forze, e allora piovono le divisioni e le sconfitte. La
preghiera vale non per le parole che la compongono ma per la
situazione che esprime, l’umiltà di chi confida in Dio e si
rivolge a lui.
o
Come interpretare il silenzio di Dio, che sembra non
ascoltare la nostra preghiera?
Sembra
che Dio tardi a far giustizia dei suoi eletti nonostante lo
invochino giorno e notte. Gesù afferma che Dio farà giustizia di
loro in fretta. Questa espressione ci invita a vivere la situazione
presente all’interno del dispiegarsi della salvezza.
Dio
ha ascoltato la preghiera drammatica di Gesù dell’orto degli
ulivi. La lettera agli ebrei dice che Gesù fu ascoltato per la sua
pietà. A noi appare che Dio non ha allontanato da Gesù il calice
della passione ma è stato in un silenzio. Gesù lo esprime nel
lamento: Dio mio, perché mi hai abbandonato? Il silenzio di Dio
esprime la fretta di Dio. Le comunità cristiane delle origini
vivevano la condizione di attesa della venuta del Risorto erano in
sintonia con la fretta di Dio.
Per
noi fretta vuol dire subito, perché abbiamo poco tempo; per Dio
vuol dire far si che il Regno venga attraverso la passione. E’
vero che sono passati venti secoli e il Risorto non è ancora venuto
ma è anche vero che agli occhi di Dio cento secoli sono come
un giorno solo, un giorno breve in cui l’erba che nasce e
disseca. La preghiera deve rispecchiare la sensazione di povertà e
fragilità di chi vive nel tempo e includere l’eternità che è
imminente.
Gli
uomini presumono di dominare il tempo ma essi nascono e muoiono
mentre il tempo rimane nelle mani di Dio, finché egli lo vuole. La
preghiera ha tre qualità:
-
trova sempre ascolto, perché Dio è già impegnato in quello che
chiediamo.
-
è continua perché deve coprire la nostra condizione di fragilità
e povertà.
-
viene fatta nel tempo ma si colloca nella fretta di Dio di
inaugurare il suo regno.
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ORDINARIO
30 C
2007
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Gesù
ci insegna a pregare mettendo a confronto la preghiera di un giusto
e quella di un peccatore. Il giusto nella preghiera si confronta con
i peccatori. Ringrazia Dio perché ritiene che l’esser giusto è
frutto del suo impegno ma è anche dono di Dio. Il contenuto della
preghiera è buono, perché è sincero e perché essere giusti e
ringraziare il Signore è lodevole. Il peccatore invece nella
preghiera si confronta con Dio. Riconosce di essere peccatore con la
postura del corpo, il battersi il petto e con le parole: o Dio,
sii benevolo a me peccatore. Il contenuto è sincero e notevole.
o
Le due preghiere hanno un esito diverso. Il peccatore
viene giustificato da Dio.
Scese
costui giustificato alla sua casa. Dio accoglie l’orante nella
sua giustizia, lo chiama a far parte del suo disegno, lo salva e lo
fa strumento di salvezza per altri.
Il
giusto non viene reso giusto da Dio ma rimane nella sua giustizia
terrena.
Per
essere giustificati occorre riconoscere che abbiamo bisogno
dell’amore di Dio.
o
La due preghiere manifestano una prospettiva diversa.
Il giusto si confronta con gli uomini e in particolare con i
peccatori. E’ naturale per lui notare la differenza e dire di
essere migliore, cioè esaltare se stesso. Se confrontasse la sua
vita con quella di Dio, noterebbe di essere ancora peccatore, di
aver tanta strada da fare prima di essere santo come lo è Dio e
chiederebbe a Dio di essere benevolo con lui. Dio non ascolta la
preghiera del giusto perché non è consapevole di essere lontano da
lui.
Il
peccatore invece si confronta con Dio e non con gli uomini.
C’erano senz’altro altri peccatori peggiori di lui e avrebbe
potuto anch’egli ringraziare il Signore di non essere peccatore
come loro. Egli invece avverte e rispetta la distanza dal Santo.
o
La parabola insegna che la preghiera non dipende solo
dal suo contenuto, cioè da quello che dice e dal come lo dice, ma
dal riconoscere la verità, che siamo lontani da Dio e bisognosi di
lui per partecipare alla sua santità e vivere nel suo amore.
Per
pregare in modo da essere giustificati è importante conoscere la
parola di Dio che fa ardere i cuori, curare l’autenticità delle
celebrazioni liturgiche e l’arte della acclamazione, del suono e
del canto. E’ necessario che l’assemblea partecipi alla
preghiera con consapevolezza e autorevolezza, perché a Dio non si
offrono cose scarse o improvvisate. Come un coro fa le prove per
essere allenato e aggiornato alle feste che vengono celebrate, così
deve imparare a fare anche l’assemblea. Dio merita che veniamo in
chiesa un quarto d’ora prima e prepariamo la celebrazione.
Ma
essenziale per la preghiera è confrontarci con Dio e non con gli
uomini e presentare la nostra offerta all’altare senza divisioni,
nella comunione ecclesiale. C’è per noi il pericolo di costruire
una casa-liturgia bella ma senza fondamenta.
o
Maria è una bella testimone della preghiera
cristiana. Devozione a Maria significa ammirare Maria in preghiera,
imparare a pregare come lei pregava. Maria non ripeteva formule a
memoria ma meditava nel suo cuore in modo prolungato la parola di
Dio e gli eventi della salvezza: Maria serbava questi eventi nel
suo cuore, considerandoli. Il verbo greco sum-ballw
significa gettare insieme, come i nostri vecchi sballottavano la
crema del latte per estrarre il burro, significa maturare nella
preghiera con le parole e gli eventi della salvezza, cioè pregare
davanti a Dio.
Il
Magnificat è esempio luminoso della preghiera di Maria davanti al
Signore, per raccontare le sue opere contro i superbi, i potenti e i
ricchi e contro i loro disegni, per cantare la sua misericordia e la
sua fedeltà alle promesse. Altra cosa dalle nostre preghiere,
quando ci mettiamo a confronto tra noi, noi e la nostra giustizia.
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TUTTI
I SANTI 2007
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Iniziamo
il nostro ascolto della parola da questa affermazione di 1Gv 3,2: Amati,
ora siamo figli di Dio e non apparve ancora cosa saremo. La
scrittura non rivela come saremo figli dopo la morte nostra e del
mondo: il futuro non lo possiamo sperimentare, e quindi conoscere,
ma solo sperare partendo dalle promesse di Dio, dagli eventi della
salvezza e da come la Chiesa ha creduto e sperato fino ad ora. Non
diamo alla meditazione che stiamo facendo un carattere di verità
rivelata.
Meditiamo
con il sensus ecclesiae, la fede militante della Chiesa, che
risponde alle domande della vita. Nella celebrazione dei
santi/defunti ci facciamo tre domande.
o
Quale legame c’è tra i vivi o defunti? La festa dei
santi si interseca con la liturgia dei defunti che oggi celebriamo
in cimitero. Ogni eucaristia unisce la memoria di Cristo, dei vivi e
dei defunti. La Chiesa celebra il fatto che Gesù e Maria sono in
cielo con il loro corpo come un privilegio; ritiene quindi che tutti
gli altri, vivi e defunti, santi e peccatori, siamo in attesa della
risurrezione dei nostri corpi e della creazione. La Chiesa chiama
sia inferi sia cielo le condizioni di vita dei defunti.
Noi
chiamiamo “inferi” il modo di essere
e di vivere di chi attende la risurrezione.
Il
credo proclama che Gesù è stato posto nel sepolcro ed è disceso
agli inferi.
Gesù,
che è presente in mezzo a noi fino alla fine dei tempi, è presente
anche negli inferi fino alla risurrezione, perché siamo tutti
membra del suo corpo e tutti insieme formiamo la Chiesa, la sua
sposa. Noi viviamo, nella nostra dimensione terrestre, la stessa
vita in Cristo che i defunti vivono
negli inferi: siamo Chiese sorelle, legate con legami vitali perché
il Cristo vive nella Chiesa terrestre e in quella degli inferi.
o
Qual è la vita dei defunti negli inferi? Vivono
l’amore di Dio e del prossimo come noi e negli stessi percorsi
ecclesiali: l’ascolto della parola, la celebrazione liturgica e la
carità ecclesiale; perché è in questi percorsi che lo Spirito
santo prende quello che è di Gesù e lo fa vivere. La prima lettura
riporta una liturgia solenne dei defunti, celebrata dalla folla
immensa radunata in preghiera davanti all’Agnello. L’assemblea
dei defunti segue i percorsi ecclesiali che facciamo noi in terra.
L’eucaristia nutre quelli che sono in Cristo e fa di
tutti, anche dei defunti, l’unico corpo di Cristo. Le
litanie dei santi esprimono la comunione che regna tra i santi.
Guariscono
dalle ferite lasciate dal peccato e crescono nell’amore mentre
attendono la risurrezione. Ecco perché la Chiesa fa memoria dei
defunti, esorta i cristiani ad offrire il sacrificio eucaristico per
loro ed essi intercedono per noi.
o
Chi sono i santi, sia quelli che vivono nella terra e
sia quelli degli inferi?
Quelli
che vestono le beatitudini. La Chiesa le proclama nella liturgia,
sia dei santi sia dei defunti, per dire che vivi e defunti
condividono questa identità.
Beata
è la vita di Dio, che è libero dagli affanni e dai condizionamenti
della terra. Beata è la vita degli eredi del Regno, quando vivono
liberi dal mondo e in attesa.
La
beatitudine è la veste dei poveri in spirito. Essi sono piccoli,
mendicanti, senza casa e senza diritti, consapevoli di non essere
padroni di nessuno e di nulla, anche quando possiedano le cose
necessarie alla vita. Su questa prima beatitudine si radicano le
altre, perché solo chi è povero e umile davanti a Dio e al
prossimo è capace di cercare la giustizia, di seminare la pace, di
perdonare, di essere misericordioso, mite e puro di cuore e fedele
nella persecuzione, a causa di Gesù.
Oggi
e domani viviamo la comunione profonda tra tutti coloro che sono in
Cristo e impegnati per un mondo migliore in attesa che ci sia donato
da Dio nella gloria.
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ORDINARIO
31 C
2007
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Gesù
entra a Gerico, un posto di dogana tra la valle del Giordano e la
Giudea, e la attraversa. Incontra Zaccheo, che era capo dei
doganieri ed era ricco ed era odiato da tutti per il suo lavoro, e
si invita in casa sua, dove è accolto con gioia.
Tutti
mormoravano contro Gesù, perché aveva scelto di dimorare da un
peccatore. A conclusione dell’incontro Gesù dice: oggi è
avvenuta la salvezza a questa casa.
La
nostra meditazione parte da qui, dalla domanda che Gesù pone circa
la salvezza. Come avviene oggi la salvezza alla nostra casa?
Sottolineiamo tre risposte.
Partiamo
con il constatare che quello che facciamo per la salvezza è
poco.
o
Non basta incontrare Gesù. Luca nel capitolo
precedente racconta di un capo che aveva osservato i comandamenti
fin dalla sua giovinezza e che chiede a Gesù: dopo aver fatto
che cosa erediterò la vita eterna? Gesù lo chiama a seguirlo,
dopo aver distribuito tutte le sue cose ai poveri, perché
l’osservanza della legge non basta.
Il
notabile non lo segue e rimane, molto ricco e molto triste, lontano
dalla salvezza. Per essere giustificati bisogna abbandonare la
sicurezza che abbiamo sul cammino che facciamo, che spesso è un
cammino secondo le tradizioni e chiuso allo Spirito.
Come
può essere salvato chi non sente il bisogno e l’urgenza di
cambiare?
o
Non basta vedere Gesù, anche se a volte può costare
molto, come a Zaccheo.
Tante
persone hanno visto Gesù ma si sono fermate al suo agire umano e
non hanno conosciuto la sua anima, la sua sete missionaria, il suo
amore che salva.
Gesù
invece vede Zaccheo con altri occhi. Conosce che è amato dal Padre,
lo ama e con la sua parola riscalda il suo cuore e lo rende sicuro
nella conversione.
Gesù
dice a Zaccheo: oggi per me è necessario rimanere nella tua casa.
Vuole
dire: per me che sono mandato dal Padre a salvare i peccatori.
Nessuno
va a Gesù se il Padre non lo attira a lui o non lo mette nelle sue
mani.
La
giustizia del pubblicano in preghiera non è sufficiente perché Dio
lo giustifichi.
La
salvezza si trova oltre la nostra giustizia ed anche oltre il nostro
peccato, nell’amore di Dio che ci salva in Gesù, che viene a
incontraci per salvarci.
Dio,
quando chiama qualcuno per nome, gli indica con chiarezza che cosa
fare.
Zaccheo
deve accogliere nella sua casa Gesù e condividere la mensa con lui
e i suoi beni materiali con i poveri, a cui Gesù è mandato per
introdurli nella casa di Dio.
Zaccheo
dispone di restituire quattro volte tanto a chi avesse derubato e di
dare metà dei suoi beni ai poveri. Non dona tutti i suoi averi e
non segue Gesù ma la salvezza opera in lui, perché diventa povero
in spirito, secondo la beatitudine.
Noi
siamo chiamati per nome nel battesimo. Il nome nuovo con cui Dio ci
chiama indica che siamo diversi da chi cerca la sua identità nella
fedeltà alla legge, nell’onestà e nella giustizia umana, perché
noi siamo chiamati a vivere per Dio.
Se
noi crediamo di essere salvati perché siamo onesti, siamo lontani
dalla salvezza.
Dio
può realizzare il nome nuovo solo in coloro che lasciano il nome
vecchio.
o
Non basta quello che abbiamo vissuto fino a ieri,
dobbiamo compiere l’oggi di Dio.
Oggi
vi è nato il Salvatore; oggi sarai con me in paradiso; oggi la
salvezza è avvenuta a questa casa. La salvezza si realizza
quando Dio ci incontra e ci parla.
Occorre
sentire l’oggi di Dio, come il tempo di cui la nostra salvezza ha
bisogno.
Occorre
cercare sempre, perché
siamo tentati di soffocare le domande sul senso della nostra vita. I
cristiani sono chiamati a volare alto, sopra tante scelte che fanno
i nostri contemporanei. Preghiamo perché la salvezza oggi venga
alla nostra casa.
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ORDINARIO
32 C
2007
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Nei
giorni scorsi abbiamo meditato sulle condizioni di vita dei defunti.
Abbiamo detto che non abitano luoghi distinti ma sono nella stessa
attesa della risurrezione. Questa attesa è per tutti purificazione
dalle ferite del peccato proprie e dell’umanità e crescita della
loro vita in Cristo e quindi della santità in loro e nella Chiesa.
o
Il vangelo proclamato oggi ci propone una rivelazione
alta sulla risurrezione. catechesi
I
sadducei erano un gruppo religioso con legami forti con la politica.
Ai sadducei appartenevano i sacerdoti di alto rango, le famiglie
benestanti e conservatrici, le persone contrarie ad ogni cambiamento
delle tradizioni, legati alle istituzioni e al potere e quindi
conniventi con l’autorità romana. Erano i nemici più pericolosi
di Gesù, quelli che hanno deciso la sua morte. Oggi li chiameremo
atei-devoti, non credenti alleati al potere religioso. I sadducei
presentano a Gesù il caso di una donna che nella vita terrena era
stata moglie di sette fratelli e gli chiedono di chi sarà moglie
dopo la risurrezione. Hanno l’intenzione di mettere in ridicolo
chi crede nella vita oltre la morte, i farisei e Gesù. Gesù
risponde che la vita eterna non è una fotocopia di quella
terrestre. Il mondo che nasce dalla risurrezione è nuovo e non può
essere descritto con parole e immagini umane, ma può essere accolto
solo nella fede nella parola di Dio. Gesù poi propone alcune cose
alla nostra fede.
o
Gesù parla di coloro che sono giudicati degni del
mondo che segue la risurrezione. Dice che i risorti sono e vivono in
modo diverso da chi vive nella vita terrena.
Sono
figli di Dio, perché sono figli della risurrezione.
I
figli di Dio su questa terra sono coloro a cui il Signore ha rivolto
la parola e che hanno creduto e vivono nella comunità ecclesiale il
cammino terreno di Gesù, la crescita in sapienza e grazia nelle
condizioni possibili sulla terra e nel loro tempo.
Sono
anche i defunti che vivono secondo la loro santità in attesa della
risurrezione.
Questi
figli di Dio mancano tutti di qualcosa che non appartiene alla terra
ma che attendono da Dio. Quando ha risuscitato Gesù Dio gli ha
detto: Mio figlio sei tu, io oggi ti ho generato. Anche a
Maria, risuscitandola ha detto: mia figlia sei tu, io oggi ti ho
generato. Speriamo che un giorno Dio dica anche a noi le stesse
parole. Maria risorta è
diversa da Maria nella vita terrena e non possiamo pensarla e
onorarla con la mentalità umana ma nella fede della pasqua e della
risurrezione.
La
risurrezione non è un passaggio semplice da questa terra al cielo
ma è una nuova generazione: essere generati dall’alto come ha
detto Gesù a Nicodemo.
Vivi
e defunti siamo figli di Dio, ma attendiamo di essere figli della
risurrezione.
Sono
come gli angeli. Sappiamo alcune cose fatte dagli angeli ma non
come sono.
Gesù
rivela una caratteristica della vita degli angeli: gli angeli non
muoiono.
La
risurrezione introduce in una nuova creazione in cui i risorti non
muoiono.
Se
non c’è la morte non è necessaria neppure la procreazione. La
sponsalità troverà nuova collocazione nella sponsalità di Cristo
e della Chiesa. E la virginità per il regno diventerà virginità
nel regno, una partecipazione alla verginità di Gesù e di Maria
risorti, che in terra non conosciamo ma che sarà cosa buona,
bellezza.
Sono
liberi dal peccato. 1Gv 3,9 rivela che: chiunque è generato
da Dio non pecca, perché il seme
di Dio rimane in lui, e non può peccare, perché è generato da Dio.
Abbiamo difficoltà ad applicare questa verità agli uomini nelle
loro vita terrestre, perché i figli di Dio su questa terra possono
peccare e perdersi. Ma la applichiamo ai figli che sono generati da
Dio nella risurrezione: non peccano più.
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ORDINARIO
33 C
2007
.
Il
mese di novembre è tempo di meditazione sulla vita dei santi, dei
defunti e sulla vita terrena. Oggi il vangelo ci dice quale
consistenza ha il tempo presente.
o
L’occasione è una visita al tempio di Gerusalemme,
una bella opera costruita circa 100 anni prima: grande per la
bellezza dei materiali, per l’arte e perché casa di Dio e simbolo
del popolo alleato con Dio, il cuore della religione ebraica. Alcuni
esprimono ammirazione e gioia per il tempio e quello che
rappresenta: la fede di un popolo che custodisce una bella casa per
il suo Dio, il luogo dell’incontro con lui, dove celebra la
memoria degli eventi di salvezza, storia e gioia di Israele.
o
Anche noi abbiamo restaurato con gioia questa chiesa
che abbiamo ereditato da coloro che ci hanno preceduto e ci hanno
lasciato segni belli della loro fede: il presbiterio e la cappella
dell’eucaristia. Gesù gode quando va nel tempio, lo difende da
ogni cosa, anche utile al culto, che rende profano un luogo che egli
ama come la casa del Padre suo e della preghiera. In questa
occasione Gesù rivela un altro aspetto della verità: Bello! ma verranno
giorni in cui di queste cose che vedete non
resterà pietra su pietra. Sono cose provvisorie e non la
realtà definitiva.
Questa
rivelazione riguarda il tempio ed ogni realtà bella delle
religioni.
La
religione sulla terra ha i giorni contati; non è un assoluto o un
immutabile.
o
Partendo dalla rivelazione sulle realtà temporali Gesù
sviluppa due esortazioni.
Non
state ingannati. Oggi è facile allontanarsi dalla fedeltà e
vivere da ingannati.
Verranno
a nome mio ad annunciarvi un vangelo nuovo. Ci sono nella Chiesa
alcune voci, anche autorevoli, e
alcuni luoghi che non rappresentano il vangelo.
Anche
Paolo mette in guardia dai vangeli diversi da quello predicato da
lui.
La
lotta è tra le tradizioni e i cambiamenti. Le tradizioni
imbrigliano la parola di Dio, perché rappresentano l’incarnazione
della parola legata a un tempo e una cultura e non le permettendo di
essere contemporanea e viva per l’uomo.
I
cambiamenti invece sono segno della fedeltà alla parola che Dio ci
rivolge mentre camminiamo incontro a lui, perché egli viene dentro
una storia e una cultura che cambiamo continuamente. La gente vive
come fosse nel tempo della cristianità e ascolta quello che viene
detto dai mezzi di comunicazione sociale come fossero una nuova
cattedra religiosa. La Chiesa parlava delle cose di Dio e degli
uomini e, spesso invadendo i campi culturali laici, culturali,
sociali e politici. Oggi i mezzi di comunicazione invadono il campo
teologico e ecclesiale senza averne competenza.
E
la gente che non conosce la parola viva vive ingannata pensando di
credere.
Non
state spaventati. La storia è sempre attraversata da eventi
grandiosi e tragici; oggi più di sempre perché li provoca l’uomo
che adopera mezzi potentissimi.
E’
necessario che queste cose, che annunciano la fine del mondo e del
tempo, avvengano ma non sono esse la fine perché prima c’è il
lungo tempo della Chiesa.
E’
il tempo delle persecuzioni. Esse vengono sia da fuori la Chiesa sia
da dentro.
Quelle
esterne provocano la testimonianza visibile e feconda del martirio,
quelle che vengono da dentro provocano lacerazioni delle
relazioni fraterne e quindi tante sofferenze interne e scandalo agli
occhi degli uomini: sono contro testimonianza.
La
catechesi scorsa: Vivete in modo degno da cittadini del vangelo
di Cristo: che è vivere nell’unità, combattenti insieme e
non spaventati dagli avversari. A voi infatti è donato il per
Cristo, non solo il credere in lui ma anche il soffrire per lui.
Il tempo è un dono ma perché, inseriti in Cristo,
viviamo da cittadini del vangelo.
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CRISTO
RE C
2007
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Gesù
Cristo è il re dell’universo. La festa liturgica non ha ancora
cento anni, però la Scrittura lo afferma con chiarezza. Dio si
compiace di far abitare in Gesù tutta la pienezza. E lo fa in tre
fasi. L’inno cristiano riportato da Paolo nella lettera ai
colossesi afferma: Dio, creando le cose, le fonda in Cristo;
Gesù è il primogenito dai morti, perché Dio ha pacificato per
mezzo del suo sangue le cose della terra e del cielo. La regalità
di Gesù dunque è scritta nella creazione e nella glorificazione.
o
La liturgia, scegliendo il vangelo della passione,
mette in risalto che Gesù è re nella vita terrena. E’ questa
regalità che rende possibile quella che Dio ha sognato quando ha
creato il mondo e che realizza nella risurrezione. Ma Gesù in terra
non appare re. Come lo è? Tutti quelli che sono attivi sotto la
croce, i capi, i soldati e uno dei malfattori, sfidano Gesù a
salvare se stesso. Questa sfida rimanda alle tentazioni, dove
il diavolo sfida Gesù a pensare a sé: a mangiare, a essere
glorificato dagli uomini e a possedere il mondo; rimanda alla
presentazione di Gesù nella sinagoga di Nazaret dove egli smaschera
i presenti che pensano: medico, cura te stesso, fa i miracoli
qui e sarai riconosciuto; rimanda a Gesù di fronte a Pilato,
che gli dice: parla perché posso liberarti o crocifiggerti.
Gesù
è re perché rifiuta la tentazione e salva se stesso, in quanto
salva la creazione.
o
La regalità di Cristo si manifesta nel donare la sua
vita per tutte le creature che sono fondate in lui e sperano da lui,
come il ladrone che muore accanto a lui.
Le
persone per credergli gli chiedono il miracolo di scendere dalla
croce.
Il
miracolo che Gesù compie non è scendere dalla croce ma restare in
croce.
Miracolo
è questo: Dio ha fondato tutte le creature su Gesù per cui
egli salva se stesso se salva tutte le creature; Dio preferisce i
pastori alla gente per bene; Dio chiama ad essere collaboratori di
Gesù semplici pescatori e perfino un pubblicano; Gesù condivide la
mensa con i peccatori, si lascia baciare i piedi da una donna
malfamata e condivide la morte con due briganti; fa questo per
portare alla gloria.
o
Se tutte le cose sono fondate, glorificate e redente
in Cristo, significa anche che tutte partecipano alla sua regalità.
Israele e la Chiesa sono un popolo regale.
Noi
che siamo nella condizione terrena partecipiamo alla regalità di
Gesù se viviamo come Gesù è vissuto nella vita terrena, se
salviamo noi stessi salvando tutti quelli che Dio ha fondato con noi
in Cristo, attenti a preferire gli ultimi.
Non
salviamo noi stessi se cerchiamo ricchezza, onore e potere, anche in
piccolo.
o
Nelle Scritture non troviamo nessun accenno a Maria
regina. La devozione invece usa molto questo titolo: le litanie
del rosario, invocano Maria che è nella gloria. Dovremmo invece
meditare sulla partecipazione di Maria alla regalità di Gesù.
Dio
la ha creata immacolata e l’ha assunta nella gloria nel suo corpo.
Ma Maria ha partecipato alla regalità nella vita terrena. Se
mancasse questo passaggio il sogno di Dio non si sarebbe realizzato
nella sua partecipazione attiva alla regalità di Gesù. Dio ha
crea, redime e divinizza le cose in Gesù. Maria ha partecipato
nello stile di Gesù: ha salvato se stessa donando la sua vita per
tutte le creature che vivono in Gesù. Essa è vissuta obbediente al
mirabile disegno che si è compiuto in Gesù
re.
La
Chiesa del cielo ora attende di realizzare la piena regalità nella
glorificazione. Noi celebriamo la regalità di Gesù vivendola in
noi nella nostra vita terrena.
Siamo un popolo regale in quanto salviamo noi
stessi donando la nostra vita per tutte le creature che attendono
con noi la loro salvezza da Gesù re dell’universo.
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