Omelie del tempo ordinario 2     (2007) 

 

a cura di don Carlo Salvador

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03.06.2007  SANTA TRINITA' C 2007

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10.06.2007  CORPO E SANGUE DI CRISTO C 2007

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17.06.2007  ORDINARIO 11 C  2007

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24.06.2007  NATIVITA' DEL BATTISTA 2007

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01.07.2007  ORDINARIO 13 C  2007

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08.07.2007  ORDINARIO 14 C  2007

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15.07.2007  ORDINARIO 15 C  2007

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22.07.2007  ORDINARIO 16 C  2007

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29.07.2007  ORDINARIO 17 C  2007 clicca per scaricare il file in formato word
05.08.2007  ORDINARIO 18 C  2007

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12.08.2007  ORDINARIO 19 C  2007

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15.08.2007  ASSUNZIONE DI MARIA 2007 clicca per scaricare il file in formato word
19.08.2007  ORDINARIO 20 C  2007

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26.08.2007  ORDINARIO 21 C  2007

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02.09.2007  ORDINARIO 22 C  2007

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09.09.2007  ORDINARIO 23 C  2007

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16.09.2007  ORDINARIO 24 C  2007

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23.09.2007  ORDINARIO 25 C  2007

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30.09.2007  ANNIVERSARIO DEDICAZIONE 2007

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07.10.2007  IDEA GUIDA 2007-2008

14.10.2007  ORDINARIO 28 C  2007

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21.10.2007  ORDINARIO 29 C  2007

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28.10.2007  ORDINARIO 30 C  2007

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01.11.2007  TUTTI   I   SANTI   2007    clicca per scaricare il file in formato word
04.11.2007  ORDINARIO 31 C  2007

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11.11.2007  ORDINARIO 32 C  2007

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18.11.2007  ORDINARIO 33 C  2007

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25.11.2007  CRISTO  RE     C  2007

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SANTA TRINITA’  C  2007

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La liturgia celebra la Trinità come solennità, come festa grande per tutto il popolo di Dio.

Introduce il brano del vangelo con un versetto dell’Apocalisse che presenta Dio nel tempo: colui che è, che era e che viene. Ogni vita ha nella Trinità la sua origine e il suo compimento. La fede professa la Trinità che opera dentro la vita: il Padre la crea, il Figlio  assume la creazione e la redime, lo Spirito divinizza ogni vita inserendola nel Figlio.

Noi oggi sostiamo sui quattro versetti che abbiamo ascoltato dal vangelo di Giovanni.

o       Tutte le cose, quante ha il Padre, sono mie. Gesù rivolge le sue energie di amore verso colui che chiama padre. Il padre è fonte di acqua viva per il suo cuore assetato di amore.

La vita sta nelle relazioni. Nessuno vive in se stesso o per se stesso ma nella relazione con Dio e gli altri esseri viventi. La vita si compie nel ricevere e nel donare.

Giovanni nel prologo scrive che in principio era la Parola ed egli era verso Dio ed era Dio e che tutte le cose furono fatte per mezzo di lui e che in lui era la vita.

Gesù esiste verso il Padre e partecipa della sua vita ricevendola da lui e vivendola per lui, secondo la sua volontà. Gesù prega il Padre: Questa è la vita eterna: che conoscano te e colui che hai mandato. La vita eterna significa essere conosciuto da Dio e conoscerlo. Vivere è entrare nel circuito d’amore che nasce dalla Trinità e confluisce in essa.

Gesù dice al Padre: tutte le cose mie sono tue e tutte le cose tue sono mie.

La vocazione dell’umanità è diventare una cosa sola come lo sono Gesù e il Padre.

La comunione nella parola, nella celebrazione e nella fraternità è la caratteristica della comunità cristiana e della vita cristiana. Sono possibili perché Gesù ci rivela l’intima relazione tra lui e il Padre facendocela conoscere nell’esperienza dell’intimità con lui.

Gesù, Parola del Padre, rivela a noi se stesso: egli è per noi via, verità e vita.

o       Ancora molte cose ho da dirvi, ma non potete portarle ora. La rivelazione è progressiva.

Viene partecipata nelle relazioni della vita, vissute nell’amore divino. Anche noi, come Gesù, cresciamo in età, sapienza e grazia, tre modalità così unite fra loro che una non esiste senza le altre. La rivelazione di Gesù la portiamo nello scorrere del tempo e nel crescere della vita. Il verbo greco allude alla madre che porta il bambino nel suo grembo.

La madre genera, nutre e provvede al suo bambino finché si sia formato e sia in grado di essere partorito alla luce, di vivere la vita fuori del suo grembo in tutte le relazioni.

Nelle relazioni agisce il più forte: noi portiamo le parole che Gesù deposita in noi e ci lasciamo nutrire da loro, assumendole nell’esperienza. La rivelazione non va condensata, ma va meditata progressivamente nel cuore, perché cresca nelle relazioni di amore.

Maria si nutriva così alle parole e agli eventi operati da Dio e dal figlio Gesù nella storia.

Il battesimo ci rende figli del Padre innestandoci in Cristo, la cresima ci conferma con il dono dello Spirito e l’eucaristia ci nutre alla vita di Gesù.

La Trinità è nella nostra vita d’amore: noi verremo a lui e faremo dimore presso di lui. 

o       Lo Spirito vi guiderà alla pienezza della verità. La vita è cammino, Gesù è la strada e lo Spirito è la guida. Egli rivela l’amore di Dio nei nostri cuori. E’ alito che fa vivere la vita divina e vento che spinge verso il compimento del regno di Dio: la comunione trinitaria. Lo Spirito ascolta  quello che Dio dice e annuncia a noi le cose in modo che avvengano.

Nell’amicizia accade così: il volto di una persona e la sua parola entra nell’intimo senza violenza e una volta accolta nell’amore, senza violenza, trasfigura verso il bello.

Non accade d’improvviso né senza lavoro e sofferenza ma nella tribolazione.

Li maturano la pazienza, la virtù provata e la speranza. Tutto è messo nelle mani dello Spirito santo e egli ci porta alla vita eterna nella comunione trinitaria.

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CORPO E SANGUE DEL SIGNORE  C  2007

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Ogni Messa unisce due celebrazioni: la liturgia della parola scrive la storia d’amore tra Dio e l’uomo; la liturgia  eucaristica rinnova la loro alleanza nel sacramento.

Il sacramento opera quando la parola e il pane agiscono insieme in noi che celebriamo.

Non c’è un sacramento, se la parola non ci raggiunge e ci fa ardere il cuore.

Senza la parola i segni non significano più nulla, diventano magici e esprimono l’umano.

Vediamo come la parola, oggi, ci educa a celebrare l’eucaristia.

La prima lettura ci presenta Abramo e Melchisedek. Questi era un re sacerdote, prima della religione ebraica e cristiana, e offre a Dio pane e vino per benedire Abramo e benedire Dio, cioè per ringraziare Dio che ha messo in mano ad Abramo i suoi nemici.

La lettera agli ebrei vede in Melchisedek la figura di Gesù, sacerdote della salvezza.

Celebriamo l’eucaristia per benedire Dio che salva e l’uomo che cerca la salvezza.

o       S. Paolo ci rivela che Gesù istituisce l’eucaristia nella notte in cui veniva tradito, quando il cuore di Giuda era deserto e i discepoli si aspettavano la redenzione storica di Israele.

Questo è il mio corpo per voi. Che cosa significa il mio corpo per voi?

Solo la presenza reale, cioè che Gesù è presente con il corpo nel pane?

Pensiamo all’alleanza matrimoniale in cui un uomo e una donna diventano una carne sola e al corpo mistico di Cristo, formato da tutti coloro che credono e sono uniti in lui.

Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue significa che l’alleanza richiede il martirio. Fate questo in memoria di me significa che dobbiamo fare memoria di quello che le parole  e rito dicono, rendendole vere nell’esistenza personale e della comunità.

Paolo conclude: ogni volta che fate questo voi annunciate la morte del Signore finché egli venga. Ci sono due tempi nel celebrare il mistero di Cristo: ora annunciamo la sua morte, offrendo il sacrificio di Gesù e nostro insieme, come un unico sacrificio; alla fine dei tempi, quando egli verrà nella gloria, vedremo la sua gloria e lo adoreremo.

Il vangelo riporta il gesto tipico della religione ebraica, di Gesù e dell’eucaristia.

Nella messa lo celebriamo così. Il sacerdote prende il pane dalla presentazione dei doni/offertorio, lo benedice nella preghiera eucaristica in cui lo Spirito trasforma pane e vino nel corpo e sangue e unisce i fedeli nel corpo di Cristo, lo spezza nella frazione del pane in cui vive nel corpo spezzato della Chiesa, e lo distribuisce perché i discepoli siamo assimilati a lui e siano testimoni insieme con lui nella chiesa e nel mondo.

Celebrare l’eucaristia ci domanda di avere gi stessi sentimenti che furono di Cristo Gesù.

Celebriamo i segni eucaristici entro una cena abbondante e condivisa da tutti.

Il luogo era deserto e c’erano cinquemila uomini che avevano seguito Gesù per ascoltare la sua parola e vede i segni. Erano privi del pane che dava la forza di vivere la parola.

Si siedono in gruppi di cinquanta, allusione alle piccole comunità in cui l’eucaristia va celebrata per produrre frutto. L’eucaristia non accade in una celebrazione televisiva, unica per tutti, ma in  piccole comunità in cui le persone interagiscono e costruiscono insieme la verità del segno nella preghiera/canto e nella comunione fraterna.

Nell’assemblea celebrante c’è posto anche per l’ospite e il pellegrino ma resta comunità.

o       In questa domenica nell’eucaristia celebriamo anche l’accoglienza per il battesimo di due bambini e la confessione di 19 bambini. Sono segni per l’eucaristia e che ricevono forza dall’eucaristia, cioè sono segni dell’alleanza che l’eucaristia annuncia e rende possibile.

Cerchiamo di parteciparvi come assemblea convocata da Dio e divenuta comunità di fratelli che condividono l’eucaristia non in modo marginale ma in tutti i suoi elementi costitutivi e vivono con la sua forza per potere donare la vita di Dio al mondo.

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ORDINARIO  11  C  2007

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La parola di Dio oggi annuncia il perdono, tema a noi familiare ma sempre attuale.

Il vangelo oggi ci propone il perdono che viene celebrato attorno a una mensa.

Il mangiare insieme facilita la condivisione dei sentimenti profondi e il perdono esprime amore grande. La domenica ci ritroviamo attorno alla mensa dell’amore fino alla fine. Per celebrarlo noi peccatori abbiamo bisogno di perdono. L’eucaristia comporta perdono.

Uno dei farisei offre un pranzo e invita Gesù per giudicarlo. Infatti non gli offre il bacio di accoglienza né l’acqua di purificazione né il profumo, come invece era usanza fare, e pensa che non è un profeta chi si lascia avvicinare in quel modo dalla donna peccatrice.

Simone è senza amore per Gesù e ancor più per la peccatrice che condanna nel suo cuore.

L’incontro tra Simone e Gesù non fa storia, perché il fariseo non è disposto ad amare.

Gesù dimostra amore a Simone. Infatti gli racconta la parabola dei due creditori per fare breccia in lui e accoglie la peccatrice per dirgli che anche lui può essere perdonato.

Gesù accoglie la peccatrice nella sue espressioni di amore. Dice che ha molto amato.

La peccatrice non accusa i suoi peccati che del resto erano noti a tutti, ma ama molto.

Il perdono suppone la conversione del cuore che si manifesta in gesti, anche quelli previsti nel rito sacramentale, che esprimono l’amore e la fede in Gesù.

Il perdono è l’incontro dell’amore di Gesù con l’amore del peccatore. Nella nostra chiesa nell’aula penitenziale è raffigurata da questa scena. Davanti all’assemblea, l’altare, il battistero e l’aula penitenziale sono segni dell’amore che alimenta così la vita cristiana.

Stiamo celebrando l’eucaristia, la parola e la lode avranno un prolungamento per coloro che partecipano al ritiro della comunità. Gli effetti di tutto questo dipendono dall’amore.

o       Paolo era un ebreo zelante. Amava la legge, la osservava e la faceva osservare.

Per amore alla legge perseguitava la Chiesa nascente. Raggiunto da Gesù sulla via di Damasco lascia la legge e crede in lui. E’ la sua conversione da persecutore a testimone.

Nel brano ai Galati che abbiamo ascoltato Paolo riflette su questo evento di perdono.

L’uomo non è giustificato dalle opere della legge ma soltanto per la fede in Cristo.

Osservare le norme è facile. Possiamo fare un elenco delle nostre opere, decidere quali mancanze sono gravi e quali giustificate e constatare che in fondo siamo osservanti.

Aggiungiamo qualche preghiera o opera di penitenza per dimostrare il nostro zelo ed è fatta. Si può essere meticolosi nell’osservare così la legge senza troppo impegno.

Seguire Cristo è molto impegnativo. Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Fra Paolo e Cristo si stabilisce una comunione profonda. Paolo dice: per me vivere è Cristo. Questo programma di vita lo spinge a opporsi alla legge, perché la vede come antagonista di Gesù. Il discepolo si rispecchia nell’amore di Cristo e vede che egli è sempre impari di fronte a lui. Il peccato diventa la risposta di amore debole a un dono di amore grande. Dio ci offre il perdono come salvezza continua nella potenza dello Spirito che ci santifica facendoci degni di comunione con Dio.

Il perdono manifesta la compassione di Gesù per l’uomo ferito dal peccato, il suo diventare solidale con noi, per curare le nostre ferite e costituirci nell’amore.

I cristiani sembrano solleciti più a giudicare e condannare, più ad apparire più che ad essere, a separarsi dai peccatori, come i farisei hanno fatto con Gesù, più che ad andare loro incontro  per farsi buoni samaritani alla debolezza del fratello.

Gesù ha amato i peccatori senza contaminarsi, ha usato le mani e le ha mantenute pulite.

La tua fede ti ha salvata; va in pace. Quanto sarebbe bello che il diacono dicesse con verità questo ad ogni Messa. Attorno alla mensa offerta da Dio è avvenuto il perdono.

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NATIVITA’ DEL BATTISTA  2007

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La liturgia celebra due feste di Giovanni Battista: la nascita e il martirio. Oggi celebriamo la sua nascita come solennità che prevale sulla liturgia della domenica. Giovanni Battista è una grande figura biblica. Egli possiede lo Spirito e la potenza di Elia, il grande profeta. Egli incontra Gesù, fin da quando tutti e due sono nel grembo materno. Dio lo chiama e lo plasma fin nel seno di sua madre, per manifestare la sua gloria in lui. Accompagna la sua nascita con eventi straordinari che suscitano un forte timore religioso nella gente.

Che sarà mai di questo bambino? Lo stupore nasceva da quello che Dio compiva.

o       La parola di Dio oggi richiama la vocazione di Isaia. Ogni profeta è chiamato ad essere luce nella sua terra e nel suo tempo, luce che arriverà a illuminare tutte le nazioni.

L’idea è commentata bene nel salmo responsoriale, che canta la presenza di Dio, che conosce anche i pensieri più intimi. Il salmo canta l’opera stupenda di Dio: Tu mi hai fatto come un prodigio. Ricordiamo allora le cose grandi che Dio ha fatto in Giovanni Battista, per apprezzare sia le cose che Dio ha compiuto in lui sia quelle che continua a fare in noi e nel nostro tempo. Gesù ci ha insegnato che Dio opera sempre.

Teniamo in grande considerazione la vocazione. La Bibbia è piena di racconti di chiamate. Una persona diventa grande nella storia della salvezza quando Dio la chiama e la plasma. Se una persona è grande significa che Dio stesso opera in lei. Se leggiamo la nostra storia nella fede ci accorgeremo che le cose belle le ha compiute il Signore.

Quando nasciamo Dio ci offre il dono del battesimo e santifica con i sacramenti le tappe della vita. Dobbiamo imparare ad avere più rispetto e stima delle persone che sono per noi un dono di Dio. La Scrittura dice che nei cristiani abita Dio stesso.

o       Il Battista è stato un grande asceta, che si è tenuto libero dalla cose terrene, tutto dedito a compiere la volontà di Dio. Anche alla gente ha proposto ciò che egli viveva, con la serietà con cui le viveva: la conversione, la penitenza e il battesimo di acqua.

Egli annuncia che il giudizio di Dio è imminente e invita a ritornare all’alleanza con Dio.

Dice che Dio è fedele alle promesse del passato e che oggi le realizza in modo deciso. Con Dio si tratta di prendere o lasciare; con lui occorre essere disposti a cambiare la vita.

Il Battista è come una voce che grida nel deserto, il luogo di combattimento spirituale fra il mondo che decade ogni giorno di più e il regno di Dio che venendo chiede accoglienza.

Egli dice quello che deve dire senza riguardo verso i potenti. Anche loro infatti, se si vogliono salvare, devono compiere la volontà di Dio. Rivolge a Erode una ammonizione dura che gli costerà la vita. E’ un messaggio prezioso, oggi, perché molti cristiani pretendono di conciliare cose che contrastano fra loro. Gesù insegnerà che non si può servire due padroni e che bisogna cercare prima di tutto  il regno di Dio.

o       Il Battista è anche l’uomo della gioia. Egli esulta di gioia già nel grembo della madre, appena ella sente il saluto di Maria. Egli è l’amico che conduce la sposa allo sposo e poi si ritira, felice che essi si appartengano, felice di diminuire, perché Gesù cresca.

In questo modo egli porta molti alla gioia vera. Gesù fa di lui l’elogio più bello che un credente possa desiderare: era una lampada che arde ed illumina e voi avete potuto rallegrarvi alla sua luce. Quando ci rallegriamo davanti a una persona significa che essa, nella sua austerità, ci ha comunicato cose divine che hanno generato in noi la gioia.

o       Il Battista è stato circonciso con un nome nuovo per il suo casato. Appartiene a Israele ma lo supera a causa di ciò che Dio compiva in lui. Come la Vergine del Magnificat.

E’ l’insegnamento che ripeto spesso, anche se cade nel vuoto. Se non siamo disposti a cambiare la vita ogni giorno, il vangelo non ha inciso in noi ma è solo un sopramobile.

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ORDINARIO  13  C  2007

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Nei mesi di luglio e agosto, come gli scorsi anni, prima del vangelo proclamiamo una sola lettura,  la prima o la seconda, seguita dal salmo responsoriale fissato.

Oggi meditiamo il cammino cristiano, sia delle singole persone sia della comunità.

Il vangelo propone il cammino di Gesù. E’ lo stesso che fanno i suoi discepoli.

Egli ha detto di essere la strada per l’unico cammino che conduce alla gloria.

o       Come viene presentato il cammino dei cristiani nelle letture che abbiamo ascoltato?

Il cammino corrisponde alla meta che si vuol raggiungere: se è alta il cammino è duro. Si compivano i giorni di Gesù. La traduzione non aiuta. La meta di Gesù non è essere tolto da questo mondo ma essere assunto nel nuovo mondo. Questa meta, la più bella che esista, può chiedere qualsiasi rinuncia. Gesù per entrare nella gloria indurì il volto. L’espressione indica una scelta sofferta e decisa. Niente può fermare Gesù dal suo obiettivo, neppure l’umiliazione e la sofferenza della passione.

Ogni discepolo che entrare nel regno di Dio, si trova di fronte a una scelta radicale, senza se e senza ma. Giacomo e Giovanni non capiscono l’alternativa e chiedono che scenda il fuoco dal cielo a consumare chi si oppone al regno dei cieli.

La Chiesa è posta sempre di fronte all’alternativa: donare la propria vita o invocare il fuoco dal cielo; è continuamente tentata di usare il potere per annunciare.

Anche i singoli cristiani sono tentati di fidarsi del potere, della ricchezza e delle sicurezze e fanno fatica a credere nella forza del vangelo disarmato.

o       Gesù cita tre esempi dalla vita per mettere a nudo l’atteggiamento del discepolo.

Il figlio dell’uomo non ha dove posare il capo. La sequela non copre i rischi derivanti dalla scelta ma offre situazioni sempre provvisorie. I cammini sono sempre nuovi, da rivedere e aggiornare continuamente. Bisogna imparare a liberarsi da se stessi, dalle proprie mediocrità e dal passato per saper fare scelte coraggiose.

Lascia i morti seppellire i loro morti. Coloro che vivono nel regno non si prendono cura di ciò che è morto ma del regno di Dio, che è vivo e cresce ogni giorno.

Uno che ha preso l’aratro per arare i campi non si tira indietro neppure di fronte alle esigenze umane ma va avanti subito, perché vuole avere le messi che verranno.

o       Paolo insegna due cose a chi vuole seguire Gesù.

Cristo ci ha liberati e ci chiama a libertà: ad essere liberi dai desideri umani che impediscono il cammino spirituale. Essere liberi da ci fa liberi per.

Occorre mettersi a servizio gli uni degli altri mediante l’amore. Tutta la legge trova la sua pienezza nell’obbedire al comando di amare il prossimo come noi stessi.

Bisogna tenere reciso il cordone ombelicale che ci nutriva, tenendoci fusi alla madre, bisogna cioè rinunciare alla relazioni che erano importante nel passato, per vivere relazioni caste con tutte le manifestazioni della vita.

o       L’idea guida del grest 2007, che inizia oggi, richiama il dono della natura.

Il grest offre molte possibilità di crescere. Gli animatori lo hanno figurato in un albero che crescerà mettendo tanti germogli che diventeranno foglie, fiori e frutti.

Quest’albero costruito insieme custodirà alla sua ombra e nutrirà con i suoi frutti tutti coloro che lo fanno crescere. Tutta la comunità cristiana è chiamata a pregare, perché il Dio che chiama tante persone a farsi protagoniste del grest, dia a suo tempo la pioggia e il sole, cioè tutte le cose che fanno vivere nello spirito.

Il grest non è solo un’avventura umana ma anche un tempo che Dio ci dà per amare noi stessi e le persone che il grest fa incontrare e per far crescere il suo regno.

 

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ORDINARIO  14  C  2007

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Matteo, Marco e Luca raccontano che Gesù ha mandato i dodici apostoli in missione. Luca racconta che Gesù, oltre ai Dodici, ha inviato altri 72  discepoli.

I racconti hanno molte cose comuni ed alcune differenti. Teniamo conto di tutte.

Il numero degli inviati ha un senso simbolico. I Dodici rappresentano le dodici tribù di Israele. Il numero 12 quindi significa che tutto il popolo di Dio è inviato.

Ogni discepolo è inviato. Se non è coinvolto nella missione non è vero discepolo.

Il numero 72 indica tutte le nazioni. Gen 10 presenta la tavola dei popoli conosciuti; la desume dalla genealogia dei figli di Noè e risulta di 72 popoli.

In Nm 11 è scritto che lo Spirito del Signore è sceso su 70 anziani riuniti da Mosè nella tenda del convegno e poi su altri due che non si erano presentati. La missione dunque è rivolta a tutti i popoli della terra, perché su tutti scende lo Spirito. 

o       Gesù invia la Chiesa in missione nel mondo con alcune raccomandazioni che indicano come deve essere svolta la missione e quindi la sua natura.

La messa è molta ma gli operai sono pochi. Non si parla dell’aratura e della semina ma della messe. Gli operai sono mandati a raccogliere quello che Dio ha seminato.

Dio opera sempre: la creazione, la redenzione e la santificazione sono opera di Dio.

Il missionario deve essere convinto che il primo vero missionario è Dio stesso.

Il missionario non si deve legare alla cose: il testo allude alla bisaccia, ai sandali e alla borsa, le cose necessarie allora a chi si metteva in viaggio. Il missionario in realtà adopera le cose utili alla missione ma sa che la missione non dipende da esse.

Noi in questi anni abbiamo ristrutturato con impegno gli edifici della parrocchia. Questo lavoro  è stato utile alla missione, ci ha aiutato a crescere insieme, ad amare i luoghi dove ci incontriamo e cresciamo nell’annuncio, nella preghiera e nella fraternità. Non abbiamo sbagliato o perso tempo, perché abbiamo fatto cose che si dimostrano utili. Tuttavia la missione non dipende dai luoghi a disposizione.

Si possono fare tante cose utili che poi rimangono vuote. Occorre anche altro.

La stessa cosa dobbiamo dire del lavoro pastorale. Avere operatori pastorali competenti, che conoscono la parola di Dio è urgente. Esorto sempre a dedicarsi allo studio della teologia e a partecipare alla formazione che viene fatta in parrocchia e in diocesi. Ma questo non è sufficiente. Ci sono persone preparate che ostacolano la missione, perché smarriscono il vangelo che hanno conosciuto.

Il missionario non si lega alle persone ma passa di casa in casa. Vivere le relazioni comunitarie porta a stringere amicizie che diventano importanti nella vita delle persone ma il missionario deve essere disposto a rinunciare a una persona ed anche a tutte se lo chiede il regno di Dio. Nella pastorale ci possono essere scelte da fare che lasciano cadere relazioni che prima erano importanti. Lo erano ma non lo sono più da quando ostacolano la crescita della comunità. Una persona deve anche saper isolarsi perché altre possano interrogarsi e crescere. Essere tutti uniti può ostacolare il regno di Dio quando per essere uniti bisogna rinunciare a scelte importanti.

L’unità allora si fa nella verità, perché Gesù è verità. Gesù è arrivato a dire: guai a voi, quando tutti diranno bene di voi. Noi a volte cerchiamo la gratificazione nei risultati o nel gradimento delle persone. Ma queste cose non sono un segno sicuro.

Il missionario gusta la gioia della missione ma essa non gli viene da quello che fa ma dal fatto che il suo nome è scritto nei cieli. Il missionario si sente strumento di Dio ma sa anche che ha già da Dio la gioia del regno a cui ha votato la sua vita.

 

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ORDINARIO  15  C  2007

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Un esperto della legge pone a Gesù una domanda seria. Facendo che cosa erediterò la vita eterna? La risposta è data dalla parola di Dio, la stessa per Israele e per Gesù: amerai Dio interamente e il prossimo tuo come te stesso. L’esperto pone una domanda ulteriore,  Chi è prossimo a me? La domanda per lui era un espediente per uscire dall’imbarazzo ma per Gesù era molto seria, perché la parola di Dio su questo tema aveva ancora qualcosa da dire. Mt 5,43: Udiste che fu detto: amerai il tuo prossimo e non amerai il tuo nemico. Io invece vi dico: amate i vostri nemici.

La parabola del samaritano è una risposta molto bella: mio prossimo è la persona a cui io mi faccio prossimo, perché Gesù gli è prossimo. Vediamola con attenzione.

o       Un uomo cammina sulla strada, si imbatte nei malviventi, viene derubato ed anche percosso in modo grave. E’ una persona di cui non si specifica il nome né la nazionalità né l’appartenenza religiosa; è simbolo di ogni uomo della terra e della storia, e quindi anche del nostro paese  e del nostro tempo. Passano accanto a lui un sacerdote e un levita e lo scansano, camminando dall’altra parte della strada. Sacerdoti e leviti servono Dio nel tempio, nella parola, nella liturgia e n. preghiera.

Non si occupano di quello che succede nella strada. La percorrono per raggiungere una meta, non per quello che vi può accadere. Passa accanto al ferito un samaritano, simbolo dell’eretico, di chi non onora Dio nel tempio: controfigura.

Il samaritano si commuove e si prende cura del ferito, ritarda il suo viaggio, sta con lui la notte e provvede a lui con il suo denaro. Gesù evidenzia la commozione del samaritano: sente la sorte dello sconosciuto come la propria, lo ama come se stesso.

Gesù completa la parola di Dio dicendo: fa anche tu la misericordia verso chi ha bisogno, qualunque bisogno, e senza distinzioni, anche se sconosciuto o nemico.

Fa agli altri quello che vorresti che gli altri facessero a te. Succede anche oggi che trascuriamo Dio o che trascuriamo il prossimo La parabola evidenzia una urgenza, a cui è difficile dare la risposta giusta nella vita nostra vita nel mondo: viene prima  l’amore a Dio o viene prima l’amore al prossimo? Quale amore precede l’altro?

La parola di Dio insegna che amare Dio è il comando che impegna di più: tutta la mente, il cuore, le forze. Gesù insegna che bisogna fare come il samaritano e non come il sacerdote e il levita. C’è una precedenza fra i due comandi?

o             Matteo nel capitolo 25 descrive con accuratezza e solennità il giudizio universale.

Che cosa è più importante di fronte a Dio giudice? Dio non ricorda i comandamenti come facciamo noi nell’esame di coscienza. Nel giudizio i dieci comandamenti non entrano, né i tre comandi verso Dio né i sette verso il prossimo. Entra l’amore e con queste modalità. Ogni volta che avete fatto alcune cose ai miei fratelli più piccoli l’avete fatto a me. Ogni volta che  non le avete fatte, non le avete fatte a me.

Sul piano del fare viene prima il prossimo. Del resto Giovanni ricorda che non possiamo amare Dio che non vediamo se non amiamo il prossimo che vediamo.

o             Sull’amore a Dio è facile illudersi e quindi sbagliare. L’amore dell’uomo invece è visibile e non inganna. Anche per questo Dio si è fatto uomo, fratello di ogni uomo. Perché, quando amiamo l’uomo, noi possiamo amare Dio che fa con l’uomo un corpo solo. Il corpo di Cristo è nell’eucaristia ed anche in ogni uomo e donna.

E’ possibile amare Dio e ogni uomo quando si ama nel nome di Gesù, Dio e uomo.

Come dice Mosè, amare non è una cosa lontana per farlo ma è portata di tutti.

Basta amare i fratelli sapendo che in essi si ama il Dio che si è fatto uomo.

 

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ORDINARIO  16  C  2007

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Abbiamo ascoltato due pagine belle della sacra Scrittura. La prima, dal libro della Genesi, racconta come Abramo ha ospitato Dio sotto le querce di Mamre; la seconda, dal vangelo di Luca, racconta come Marta e Maria hanno ospitato Gesù. Tutte e due insegnano che Dio si fa ospitare dall’uomo e insegnano come ospitarlo.

Le pagine belle sono impegnative e richiedono riflessione attenta e tempo.

Alcune le leggiamo proprio durante l’estate. Ci fermiamo a qualche osservazione.

o       Abramo è un capo di una famiglia patriarcale, ma si dà da fare di persona per i tre ospiti che si fermano davanti alla sua tenda. La moglie Sara e il servo eseguono. Tutto è accompagnato dalla fede di trovarsi di fronte a Dio, dalla adorazione del cuore, da tanta gratitudine e dal lasciare Dio libero di andare o di restare.

Anche noi siamo in relazione con Dio ma non sempre abbiamo attenzione a donare a Dio, a ringraziarlo, a godere di lui e a lasciarlo libero di essere a suo agio con noi.

La relazione che abbiamo con Dio è spesso interessata: non lo sentiamo come l’amico da ospitare in libertà, ma il nostro tappabuchi, il Dio a nostro servizio.

Siamo poco ospitali nella vita spirituale come in quella ecclesiale. Ci comportiamo come se avessimo solo diritti e non doveri di gratitudine e di obbedienza.

Alcuni cristiani arrivano ad abbandonare Dio quando non sono esauditi.

o       L’ospitalità di Marta e Maria è diversa: sono due sorelle che abitano nella stessa casa ma ognuna ospita Gesù a modo suo. Tutte e due vogliono bene a Gesù e sono amate da lui. Anche il fratello Lazzaro, che in questa pagina non è nominato.

Marta esprime l’ospitalità preparando il mangiare da condividere con Gesù. Lo fa con premura e generosità: si impegna con molti servizi. Questa ospitalità esprime una sensibilità umana preziosa. Sappiamo tutti cosa significa ospitare ed essere ospitati a tavola e sappiamo anche che è facile esagerare, fare più del necessario. Esprime anche una sensibilità cristiana. Gesù si è fatto servo fino a morte e morte di croce e ha chiesto ai suoi discepoli di imparare da lui a farsi sempre servi di tutti. Possiamo dire che Marta è stata fedele alla sua parte buona, con tanta generosità.

Maria sedutasi ai piedi di Gesù ascoltava la sua parola. Ascoltava e parlava: è l’ospitalità nelle cose interiori o spirituali difficile da praticare, sia da offrire sia da accogliere. Viviamo nel tempo delle comunicazioni e siamo incapaci di ascoltarci, di dirci le cose con responsabilità e sincerità, evitiamo di affrontare cose delicate che sarebbe necessario affrontare e affrontarle con attenzione e carità.

Anche la nostra esperienza in parrocchia riflette questa situazione: si fa fatica ad ascoltare insieme Gesù, confrontandoci insieme sulla sua parola e così viene meno la cosa più preziosa: vivere un pensare e sentire comune nelle cose di Dio.

Vi ho detto ancora che il testo italiano contiene un errore di traduzione.

Gesù non dice che la scelta di Maria è migliore di quella di Marta ma che è buona. Aggiunge anche che è eterna, perché è un’attività dello Spirito e quindi divina.

o       La pagina di Luca insegna una cosa importante per la vita ecclesiale. L’ultimo Concilio l’ha riscoperta e riconsegnata a noi. La Chiesa è la famiglia di Dio e tutte le persone in essa sono ugualmente importanti. Tutte sono diverse come lo sono i fratelli in una famiglia. Questa diversità è la ricchezza della famiglia e della vita quando le persone imparano a condividere, a essere e operare per il bene di tutti.

Una famiglia bella è quella in cui i fratelli non sono antagonisti ma sanno donare il proprio bene alla famiglia e godere delle cose belle che i fratelli raggiungono.

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ORDINARIO  17  C  2007

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La preghiera può dire tante cose e esprimerle in tanti modi. Mosè esprime a Dio il suo amore per il giusto che rischia di essere sterminato a causa degli empi e lo esprime con una preghiera a scalare, quasi un tentativo di aggiornare Dio, che era sceso per vedere la situazione, e un espediente per saggiare la sua misericordia.

Gesù insegna ai suoi discepoli che cosa dire a Dio quando pregano; non consegna una formula dove sono importanti le parole precise da dire ma i contenuti.

Ci sono ancora cristiani ligi alle formule da recitare integre, da non cambiare, diminuire o aumentare e ligi alla lingua, anche se non la conoscono, come c’è chi porta magliette alla moda e pubblicizza frasi di cui non conosce il significato.

Il padre nostro di Luca contiene cinque espressioni, quello di Matteo ne contiene sette ed anche le espressioni comuni non sono precise. Non si tratta quindi di formule da recitare a memoria, se non nella preghiera fatta in comune; si tratta di un modello di preghiera, che si può ampliare, diminuire e esprimere in altre parole.

o       Mettiamo insieme le due versioni del padre nostro e troviamo che Gesù insegna due modalità di pregare: la lode e l’invocazione. La lode è rivolta alla Trinità.

Padre. La preghiera cristiana è diretta al Padre. Noi conosciamo anche la preghiera rivolta al Figlio, allo Spirito, a Maria e ai santi, ma la preghiera liturgica, che è  il modello della preghiera cristiana,  si rivolge al Padre, per mezzo del Figlio nello Spirito santo. C’è una scansione in Dio. Gesù dice: il Padre è più grande di me.

Il Figlio poi è più grande dello Spirito, che è anche il suo amore, che dona a noi.

Sia santificato il tuo nome. A Dio si riconosce che è padre di Gesù e di tutti i figli adottati in lui. L’orante auspica che la discendenza di Dio padre sia resa santa come è santo lui; allude alla redenzione e alla divinizzazione della creazione che Dio e l’uomo sono impegnati a compiere in continuità finché Dio sia tutto in tutti.

Venga il tuo regno. Il regno è Gesù, la vera vite, e tutti coloro che credono, sono innestati e vivono in lui. Il regno sta crescendo ad opera della Trinità e dell’uomo.

Sia fatta la tua volontà. La volontà di Dio è compiuta dalla potenza dello Spirito fin dall’inizio della creazione, della redenzione e della pentecoste della Chiesa.

Appropriamoci della preghiera di lode contenuta nel padre nostro: va pregata nella Chiesa, in ogni tempo e in ogni luogo, in terra come in cielo, e da tutte le creature.

o       Le invocazioni evidenziano bisogni fondamentali dei figli di Dio viventi sulla terra.

Dacci oggi il pane di cui abbiamo bisogno ogni giorno. La vita in crescita ha bisogno di essere nutrita. C’è il pane frutto della terra e del lavoro dell’uomo che nutre il corpo e quindi è condizione per la vita umana e per quella divina. E c’è il pane che discende dal cielo che nutre la vita divina e quindi salva quella umana.

La preghiera unifica questi due pani come fa nell’eucaristia: l’uno sostiene l’altro.

Un monito a non cercare solo il pane della terra, che non dà un futuro di salvezza.

Perdona a noi come noi perdoniamo. Il perdono è necessario come il pane.

L’esistenza dice che senza il perdono non è possibile a noi la vita umana e divina.

Il perdono è il frutto della redenzione che impegna Dio a donarsi senza riserve.

Non ci indurre in tentazione. La tentazione è naturale per chi deve scegliere ogni giorno tra bene e male che dimorano e crescono insieme sulla terra. Gesù ci dice di chiedere a Dio che ci aiuti a mantenerci liberi dal male e a crescere nel bene.

La preghiera cristiana conosce altri contenuti ed altri modi insegnati da Gesù.

Oggi c’è anche la richiesta dello Spirito santo e la preghiera fatta con insistenza.

 

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ORDINARIO  18  C  2007

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Una persona dice a Gesù: Maestro, dì a mio fratello di dividere con me l’eredità. La richiesta viene dalla folla, cioè dall’esperienza che tutti fanno. Sappiamo quali lacerazioni può provocare una eredità negli eredi. Il genitore dà ai figli vita ed educazione; i fratelli condividono i beni e le esperienze che li fanno crescere.

Tutte queste cose belle e importanti svaniscono di fronte ad una eredità.

Spesso nasce una rivalità  e un odio che non si placano più. Gesù ha l’occasione di fare una catechesi sulla giustizia, di insegnare che si deve usare i beni nel rispetto di tutti, in morte come nella vita. Gesù può insegnare a chi riceve una eredità, frutto di ingiustizia verso altri eredi, a dividerla comunque in modo giusto.

o       Gesù però evidenzia altre due cose, che per lui vengono prima.

La persona chiede a Gesù di intervenire sul suo fratello, tira Gesù dalla sua parte.

Gesù dice: Dio non è né giudice, né mediatore nelle cose umane. E’ normale che sorgano conflitti fra gli uomini ed essi vanno risolti secondo giustizia ma entro il giudizio e la mediazione degli uomini, perché le cose umane contengono una parte della verità e non è possibile una giustizia assoluta. Il cristiano deve educarsi alla giustizia e alla solidarietà così da rispettare tutti i valori implicati nelle sue scelte.

La missione della Chiesa non è dire ai cristiani: dovete fare così. La Chiesa deve educare ma poi spetta ai singoli la responsabilità e il merito di tradurre la parola di Dio nelle scelte concrete. Ne consegue anche che nessun cristiano può rivendicare che le scelte che fa in campo familiare, sociale e politico sono scelte cristiane. Questa distinzione oggi è urgente perché la cultura è plurale e le persone sono capaci di fare scelte diverse pur nel rispetto del disegno di Dio e della giustizia.

I cristiani devono guardarsi dal condannare scelte che sono compatibili con il disegno di Dio. Comunque non possono mai odiare le persone in nome di Dio.

o       Gesù stabilisce una regola d’oro: la vita dell’uomo non è dai suoi beni.

Nella nostra epoca si confonde la riuscita della persona con le cose che possiede.

I beni alimentano la vita ma sono spesso causa di contrasto, di guerra e di morte.

E c’è la morte che può venire questa notte, cioè appena si sono accumulati beni per tanti anni. La vita sta nelle relazioni e il nostro cuore cerca la felicità nella comunione con le persone. Corriamo invece il rischio di avere il conto corrente pieno e il cuore vuoto, un cuore incapace di solidarietà e di affetti profondi.

Gli uomini spesso preferiscono perdere le relazioni piuttosto che perdere i beni.

Le cose si impadroniscono del loro padrone: più cose possiede più servo diventa.

Non importa la quantità delle esperienze che viviamo ma la loro profondità. Comprendiamo anche l’attualità di quello che Paolo scrive ai cristiani di Colossi: Pensate e cercate le cose di Cristo assiso alla destra di Dio.

Infatti la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio. Siete rivestiti dell’uomo nuovo, colui che si rinnova in conoscenza a immagine di colui che lo ha creato.

Paolo scrive ai cristiani di Colossi: Pensate e cercate le cose di Cristo assiso alla destra di Dio. Infatti la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio.

Siete rivestiti dell’uomo nuovo, colui che si rinnova in conoscenza a immagine di colui che lo ha creato. La vita è fatta perché Cristo sia tutto in tutti.

E ai cristiani di Filippi scrive: Per me vivere è Cristo.

Il cristiano cerca di arricchire davanti a Dio, anzi di arricchirsi in Dio. Cristo infatti ci mette nella relazione d’amore con Dio, con l’umanità e con la creazione.

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ORDINARIO  19  C  2007

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La prima lettura è ambientata in Egitto. Un ebreo vive da uomo libero nella terra dove i suoi padri furono schiavi e ricorda la notte della liberazione, la colonna di fuoco che guidava il glorioso migrare dei padri in un viaggio che non conoscevano. Il popolo, memore della promessa di Dio, mangiava la cena pasquale attendendo la salvezza dei giusti e lo sterminio dei nemici. Così l’ebreo in Egitto celebra la notte di pasqua nella sua casa gustando la gioia di far parte del popolo della promessa.

I cristiani oggi partecipano al bene e al male del paese in cui vivono. Non si fanno giudici dei fratelli ma attendono che sia Dio stesso a giudicare e salvare: confidano nel compimento della sua promessa nella fedeltà gioiosa al cammino ecclesiale.

o       Il brano del vangelo presenta l’immagine della porta di entrata di una casa.

Fuori sta arrivando il Signore. Il kurios non è un padrone, come è tradotto nel testo, ma è Gesù, chiamato figlio dell’uomo. Egli ora siede nella sua gloria alla destra del padre e sta per venire a bussare a quella porta, per entrare in quella casa. Dietro alla porta c’è il despoths, colui che dispone della casa, come padrone.

Se egli aprirà prontamente, il Signore entrerà e servirà a tutti i presenti la sua cena. Se non gli aprirà, il Signore entrerà come il ladro e saccheggerà quella casa.

L’immagine mette in evidenza due cose. La vita appartiene all’uomo; egli è creato ad mmagine di Dio e quindi libero come lui e può aprire o chiudere la sua porta a Dio; farlo entrare nelle sue cose intime o tenerlo lontano. La vita però appartiene a Dio che la crea, la redime e la divinizza. Senza Dio la vita dell’uomo diventa provvisoria e mortale, è come una casa saccheggiata. Beato l’uomo che nella sua libertà apre la porta della sua casa a Dio. Dio lo farà suo commensale e gli darà il cibo della vita libera, divina ed eterna. Gesù consiglia ai discepoli alcune scelte.

o       Siano i vostri fianchi cinti e le vostre lampade accese. E’ l’atteggiamento del popolo ebraico la sera della sua liberazione: essere pronti a lasciare la terra d’Egitto e a camminare l’esodo che purifica e rende pronti ad entrare nella terra nuova.

La terra non è tutto e non è per sempre. Dio ha preparato realtà nuove per l’uomo. In passato venivano chiamate novissimi e venivano imparate a memoria per averle sempre presenti come motivazioni a un glorioso migrare, esodo dalla vita terrena.

Si tratta di fare un viaggio sconosciuto che conduce a partecipare alla gloria di Dio.

o       Il figlio dell’uomo verrà nell’ora che voi non pensate. La sua venuta sarà una sorpresa gioiosa per i discepoli che lo amano e lo attendono. Anche noi abbiamo provato sorprese simili e l’intensa gioia che portavano con sé. Mercoledì prossimo celebreremo la festa della vergine madre assunta nella gloria e nella gioia di Dio.

Maria ha seguito Gesù dalla vita terrena a quella dei cieli e terra nuovi, perché ha creduto alla parola del Signore e seguito Gesù. La croce di Gesù è stata anche quella di Maria e la gloria di Gesù è stata la sua gloria. Maria sempre pronta alla obbedienza a Dio e a Gesù: impariamo che devozione è vivere la sua spiritualità. 

La venuta di Gesù riempirà di vergogna i discepoli che sono trovati fuori posto, zelanti nel cercare se stessi invece che protesi in attesa della sua venuta.

Anche noi abbiamo provato più volte il turbamento di essere sorpresi in fallo di fronte alle attese legittime che le persone hanno nei nostri riguardi.

Non sappiamo quando verrà Gesù perché il suo amore esige fedeltà piena non una fedeltà aggiustata all’ultimo minuto e quindi apparente.

Contempliamo le realtà eterne e impariamo ad essere vigilanti nell’amore a Gesù.

 

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ASSUNZIONE DI MARIA 2007

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Questa festa è nata nella Chiesa orientale, dove è chiamata dormizione e significa: il passaggio di Maria dalla vita terrestre alle realtà ultime; il giorno natale di Maria alla vita gloriosa; la sua pasqua, che è partecipazione alla risurrezione del figlio.

o       La parola di Dio non dice che Maria è assunta in cielo ma offre piste di ricerca.

La nostra cultura è impregnata di cose terrene e noi le cerchiamo come fossero le cose più importanti della vita. I credenti corrono due pericoli. Il primo è staccare la festa odierna dalle realtà ultime, facendone una celebrazione del presente. La devozione a Maria è spesso inquinata, perché celebra l’umano e non celebra Dio.

Non si vuole fare la fatica di cercare la bellezza di Maria da imitare nella vita.

Il secondo pericolo è celebrare Maria da sola. L’assunzione sarebbe un privilegio personale, slegato dalla relazione con Gesù e con la storia della salvezza . Ho visto una bella icona in cui Maria è in braccio a Gesù, entrambi vestiti dell’abito nuziale. Gesù sostiene sulle sue ginocchia Maria nella festa gloriosa delle nozze del cielo.

Ora ci limitiamo a meditare le due letture proclamate, sapendo che da sole sono insufficienti a dire il mistero di Maria entro quello di Gesù e della  Chiesa.

Le parole pronunciate da Elisabetta e da Maria indicano il ruolo complementare che esse e i loro bambini hanno nella storia della salvezza: agiscono insieme.

o       L’incontro mette in luce la fede. La fretta con cui Maria va dalla cugina indica il suo zelo nell’obbedienza alla volontà di Dio. La fede di Maria traspare anche dalla sua preghiera che, dalla parola iniziale, chiamiamo il magnificat.

Questo inno, che la Chiesa canta ogni giorno ai vespri, ricalca la preghiera ebraica dei salmi, ma evidenzia alcune cose che Maria ha vissuto nell’annunciazione.

Dio ha guardato l’umiltà della sua serva corrisponde a Eccomi, sono la serva del Signore. L’Onnipotente ha fatto in me grandi cose richiama la potenza del Dio Altissimo che adombra Maria e la parola dell’angelo, che nulla è impossibile a Dio.

La fede di Maria è grande anche perché Maria crede appena riceve l’annuncio, prima che l’evento si compia. La fede è capacità di accogliere i segni dell’agire di Dio e di capire che in essi si realizza la parola di Dio espressa nelle Scritture. Infatti Elisabetta sottolinea che Maria ha creduto nell’adempimento  delle parole di Dio. Maria crede che Dio compie quello che dice, anche se ancora non lo si vede.

o       L’incontro mette in luce la testimonianza. Maria con la sua presenza rende possibile che Gesù conduca Elisabetta e il suo bambino a gioire nell’incontrarlo ora, quando è ancora nel grembo materno. La gioia è legata non solo alla nascita del bambino ma anche al compimento della salvezza da parte di Dio.

o       L’incontro mette in luce la misericordia di Dio. Dio agisce in Maria come opera in tutti i piccoli e gli umili. Dio opera sempre per la salvezza di tutti. Il mondo è sempre dominato dai superbi, dai potenti e dai ricchi ma Dio li rovescia dai troni.

Dio compie sempre le cose grandi negli umili, nei piccoli e nei poveri.

o       La prima lettura mette la nascita di Gesù entro il contesto della lotta tra il drago e la donna, rivelata fin dal primo vangelo, contenuto nella Genesi. La donna figura Maria e la Chiesa che portano in grembo Gesù e lo partoriscono per gli uomini.

Il rifugio preparato per la donna ricorda la vittoria di Dio contro le forze del male che dominano il mondo, anche la vittoria di Dio sulla morte e sul sepolcro.

Celebriamo l’assunzione di Maria credendo che chi partecipa alla missione di Gesù nel mondo, partecipa anche alla sua gloria. Maria fin d’ora, noi alla fine del mondo.

 

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ORDINARIO  20  C  2007

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Oggi ascoltiamo la parola che Dio rivolge in tempo di crisi. Occorre innanzi tutto che ci accorgiamo in cosa consiste la crisi; se confrontiamo la vita attuale e la parola di Dio e non vediamo la crisi significa che in noi è andato in crisi la fede.

I profeti, e Cristo in particolare, hanno vissuto nella loro pelle lo scontro fra la parola di Dio e la mentalità e le scelte dominanti nel loro mondo religioso.

o       La prima lettura mette in evidenza la lotta tra il profeta Geremia e i capi di Israele al tempo in cui Gerusalemme era assediata dai Babilonesi. I capi calano Geremia in una cisterna di fango e lo lasciano morire senza cibo, accusandolo di non cercare il benessere del popolo ma di scoraggiare con le sue parole i soldati e il popolo dal difendere Gerusalemme. Geremia viene salvato da uno straniero, un etiope.

Sarà ancora il re pagano Ciro a salvare Israele dalla schiavitù babilonese.

E sarà il centurione romano a riconoscere  in Gesù crocifisso il figlio di Dio.

Spesso anche oggi i capi del popolo di Dio non vedono bene dove sta la crisi.

I nuovi profeti trovano più attenzione e rispetto nel mondo che nella Chiesa.

Com’è attuale la preghiera del salmista: Dio libera il profeta dal fango della palude e dalla morte, lo stabilisce sulla roccia  e mette nella sua bocca un canto nuovo.

Dio è in contrasto e contrapposizione con le persone emergenti del suo popolo.

o       Il vangelo ci propone alcuni insegnamenti di Gesù ai suoi discepoli e alla folla.

Sono venuto a gettare fuoco sulla terra e quanto desidero se già fosse acceso.

Allude al fuoco del roveto ardente da cui nasce la liberazione di Israele, al fuoco portato dalla parola dei profeti, fuoco da cui i capi si difendono, perché vedono in esso il pericolo della distruzione della salvezza. Il fuoco invece è segno dell’amore di Dio, che illumina e riscalda e purifica le cose preziose che Dio semina nella vita, dalle scorie che le avvolgono. Proprio Gesù dice che il Battista è più che profeta, in quanto è come fiamma che illumina e riscalda. Ed Erode ha spento la sua voce.

Oggi si addolcisce la parola di Dio e in questo modo la si altera togliendole forza.

E’, come afferma Eb 4,12, una spada a doppio taglio che ci penetra tutti? O, come scrive Gc 1,23, ci specchiamo in essa ma poi andiamo via come eravamo  prima?

Facciamo fatica a non adattarci all’ambiente in cui viviamo, a giustificare le nostre scelte di vita. La parola ci mette di fronte a scelte difficili e ci lacera in noi stessi.

Ho da essere battezzato con una immersione e come sono angosciato finché sia compiuto. Gesù era già battezzato nel Giordano e aspettava il battesimo della croce.

Lo attendiamo con angoscia noi, che siamo già battezzati nell’acqua e nello spirito?

Quante volte ci fermiamo al battesimo di acqua, incapaci dell’obbedienza alle cose che ci chiede il cammino ecclesiale: sono sassolini e li trasformiamo in macigni, che impediscono il nostro cammino personale e che perseguitano la comunità.

Sono venuto a portare la pace. Porto la pace, la mia pace, e insieme la divisione.

Siamo continuamente tentati di cercare i compromessi e di considerarli la pace.

Cerchiamo di non violentare ma anche di non compromettere le nostre certezze.

Le comunità più forti, come la famiglia e la Chiesa , conoscono tante divisioni.

Infatti, non siamo battezzati per portare la pace del mondo ma quella della croce.

S. Francesco se ne va da casa nudo per seguire il Signore con radicalità evangelica.

Gesù ci invita a saper giudicare il nostro tempo alla luce del vangelo. Si tratta di non fare le scelte mondane che fanno tutti, ma le scelte che derivano dalla parola di Dio, annunciata dai profeti veri e non quella annunciata da pastori mondanizzati.

 

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ORDINARIO  21  C  2007

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Quanti si salvano? Gesù non rivela numeri ma l’impegno richiesto per salvarsi.

Allora le città avevano una porta bassa e stretta, aperta per la notte, ma finché il padrone lo riteneva opportuno. Entrava una persona alla volta e con fatica e doveva farlo per tempo, altrimenti rimaneva fuori esposta al pericolo tutta la notte.

Anche la città di Dio ha la porta di entrata bassa e stretta in cui ogni persona entra da sola e nel tempo che Dio fissa per lei. Gesù ci dà alcuni consigli opportuni.

o       Non ci sono privilegi. Non possiamo rivendicare la frequentazione dei luoghi e la partecipazione ai riti religiosi ma bisogna essere operatori di giustizia, cioè fare il cammino ecclesiale richiesto al popolo di Dio. Come Gesù che andava deciso verso Gerusalemme, insegnava per città e villaggi, pronto per la sua ora, che l’attendeva.

E’ un consiglio ai cristiani che danno ai figli il catechismo e i sacramenti  e poi non li sanno educare a viverli, perché non conoscono e non vivono quello che chiedono.

Lo è anche per chi pratica certe cose ma lascia altre che fanno parte della salvezza. La comunità cristiana è chiamata a fare unità attorno a Cristo senza escludere nessuno di quelli che lui chiama a essere Chiesa, sacramento di salvezza per tutti.

Per troppo tempo abbiamo considerato la Chiesa come luogo di salvezza per noi.

Il Signore chiama discepoli a salvarsi diventando sacramento per gli altri.

o        La salvezza è per tutti. Pietro in At 10,34 afferma: Dio non fa preferenze ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga è a lui accetto.

Il timore di Dio è la religiosità con cui le persone vivono le possibilità che hanno.

Nel campo estivo abbiamo riflettuto sulla discesa agli inferi, nello stato di vita in cui ognuno, in libertà e con l’aiuto della Chiesa, deciderà la propria salvezza.

La prima lettura ci offre la conclusione del libro di Isaia sulla salvezza universale.

I rabbini pensavano che i popoli si salvavano se di sottomettevano a Israele,  Isaia invece, con la tradizione profetica, annuncia che la possibilità della salvezza è data ad ogni uomo e ad ogni popolo. In armonia con questa tradizione Gesù annuncia che le persone verranno da tutti i luoghi del mondo e siederanno alla mensa nel regno di Dio. Dio dà a tutti la possibilità di vivere nell’amore e di salvarsi.

L’essere nella Chiesa non dà la sicurezza della salvezza; anche la Chiesa è a servizio del disegno di Dio, che vuole che sia luce e lievito per tutto il mondo.

o       Gesù dirà parole che bruciano come fuoco: non vi conosco. Il Signore e noi ci riconosceremo se abbiamo comunione dentro il cammino ecclesiale.

Cristo che è venuto a riconciliare ebrei e pagani, schiavi e liberi, uomo e donna; accetterà una comunità cristiana divisa, spesso per motivi di egoismo delle persone.

L’icona della  pentecoste ci ricorda che l’opera dello Spirito è condurci all’unità.

Oggi l’individualismo impedisce il dialogo, l’apertura e l’obbedienza a Dio.

E presumiamo di credere nel crocifisso, nella risurrezione e nelle realtà ultime: il giudizio, il paradiso, il purgatorio e l’inferno. Se in passato questi temi potevano nascondere la strategia pastorale di tenere buoni i cristiani; ora abbiamo modo di conoscere che i novissimi sono le cose belle che Dio prepara per coloro che ama.

o       Scriveva un vescovo del 300, quando la Chiesa usciva dalle persecuzioni: Oggi combattiamo contro un persecutore che ci lusinga, non ci tortura ma ci accarezza; egli non ci confisca i beni per darci la vita ma ci arricchisce per darci la morte, non ci rende liberi imprigionandoci ma ci rende schiavi onorandoci nel suo palazzo, non ci taglia la testa con la spada ma ci uccide l’anima con la ricchezza.

 

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ORDINARIO  22  C  2007

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Iniziamo la nostra meditazione dal breve brano della lettera agli Ebrei. Religione è avvicinarsi a Dio, come amicizia e amore è avvicinarsi a una persona. La storia della salvezza propone due modi di avvicinarsi a Dio. Mosè salì sul Sinai e il popolo si avvicinò al monte come a qualcosa di materiale: il fuoco, la tempesta, la tenebra e parole così dure che il popolo supplicava Dio di non rivolgergli più la parola e, se un animale toccava la montagna, veniva lapidato. Uno spettacolo terribile, tanto che Mosè diceva: Io sono spaventato e tremante. Mentre avviene questo il popolo adora, al posto di Dio, un vitello d’oro. La religione del Sinai e dei comandamenti è presentata così nella bibbia come un momento davvero deludente della salvezza.

Ma c’è un altro monte, scrive l’autore, ed è Sion, e sopra c’è la città di Gerusalemme, quella celeste e non quella terrena. Vi è riunita l’assemblea dei cristiani, di coloro a cui Gesù aveva detto: i vostri nomi sono scritti nei cieli, ci sono i giusti resi perfetti nel tempo di attesa della risurrezione universale. Il popolo partecipa alle nozze che Gesù ha preparato con il dono di sé fino al sangue, sacrificio più alto quello di Abele.

Guardate di non rifiutare colui che parla dal cielo: il Cristo, molto più grande di Mosè.

o       Il vangelo presenta alcuni insegnamenti di Gesù. Egli era entrato di sabato per pranzare in casa di un capo dei farisei.  La gente lo guardava. Gesù guarisce un idropico e poi  osserva dove la gente si mette a tavola. Agisce, osserva e insegna.

Noi siamo invitati a nozze, nella festa della Gerusalemme celeste: la bibbia presenta il paradiso come la festa di nozze tra il Figlio di Dio e la Chiesa ; e presenta così anche la comunità cristiana: una comunità attorno all’altare, una sposa a mensa con lo sposo.

Dio ci invita a questa festa e prepara un posto per ognuno di noi. Anche Gesù dice ai suoi che sale al cielo per preparare loro un posto. L’insegnamento di Gesù è chiaro: nessuno sceglie il posto in cui sedere, perché dipende da colui che invita e dal servizio che una persona ha svolto a Dio e alla comunità. C’è la chiamata della iniziazione cristiana uguale per tutti e ci sono i doni che Dio distribuisce e questi sono diversi. Questa distribuzione non privilegia le persone ma fa il bene della comunità.

Faccio qualche esempio: il presbitero, il diacono, la persona consacrata, gli sposi e quelli che animano il cammino ecclesiale: i catechisti per l’educazione alla fede, quelli che si occupano della liturgia per la celebrazione dei sacramenti e del culto, quelli che promuovono la carità, per costruire familiarità e solidarietà nei beni, e gli altri servizi.

o       Nella comunità ognuno deve svolgere bene il suo compito. Nessuno, né persona né gruppo, può condizionare il parroco, perché il ministero è un compito dato a lui solo.

Egli risponde al Signore e obbedisce al vescovo. All’inizio dell’anno pastorale vi dirò cosa il vescovo domanda alla nostra comunità. Il parroco ascolta la comunità, quando parla insieme nei Consigli e nei percorsi parrocchiali. Tutti gli altri ministeri pastorali hanno bisogno del mandato dalla comunità e si svolgono sotto la guida del pastore.

Guai alla comunità in cui il pastore cammina sotto la guida di una persona o gruppo.

Abbiamo sentito in questi giorni di un prete di Padova, con donna e bambino, che pretende di continuare a fare il parroco, contro il vescovo, se la parrocchia è con lui.

Un parroco e una comunità non costituiscono una chiesa da soli, senza la comunione con il loro vescovo, che a sua volta deve essere in comunione con tutto l’episcopato.

Dio che ci chiama a far parte della Chiesa stabilisce il posto ed esige che sia rispettato.

La Chiesa non è democrazia ma comunione. Lo ricordiamo aprendo l’anno pastorale.

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ORDINARIO  23  C  2007

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Il brano del vangelo che abbiamo ascoltato richiede una buona omelia, una omelia che abbia tutte le caratteristiche richieste dalla liturgia. Una buona omelia:

o       guida i fratelli a intendere e gustare la sacra Scrittura.

Come intendere e gustare questa pagina evangelica? Dice Gesù: Se qualcuno non odia le persone care della sua famiglia e la sua vita non può essere mio discepolo. L’AT insegna che la famiglia è stata creata da Dio a immagine sua, che il padre e la madre sono da onorare, che Dio è sposo di Israele e che bisogna amare se stessi per amare gli altri. Il NT presenta la famiglia di Giuseppe, Maria e Gesù come santa e l’amore tra Gesù e la Chiesa come sponsale. L’esegesi letterale non aiuta perché il verbo greco misei significa proprio odia. Lasciamo correre? Diamo vita tutti i nostri beni? Non resta che leggere la bibbia con la bibbia. Matteo nel riportare lo stesso insegnamento di Gesù usa il verbo amare invece che odiare e scrive: Chi ama il padre e la madre più di me non è degno di me.

Si tratta di non amare le persone di famiglia, e la propria vita terrena, più di Dio.

E’ la gerarchia nell’amore già definita nella sacra Scrittura: ama il Signore tuo Dio con interi la mente, il cuore e le capacità e ama il prossimo come te stesso. Si tratta di amare come Gesù ha amato, l’amore fino alla fine che dona la propria vita. 

Luca, evangelista della misericordia qui usa un linguaggio duro e fa riferimento come Matteo alla croce di Gesù. Essa è un evento che costa molto a Gesù ma che è salvezza per lui e per noi, come il parto è salvezza per la madre e per il bambino. La vita terrena in fatti, con tutte le sue relazioni è cosa buona, ma è fatta per essere partorita alla vita divina. Non è bene amare la vita nell’utero materno più che la vita dopo il parto. Odiare: scelta fra Dio e ciò che non lo è. Se il tuo occhio ti scandalizza cavalo; chi perde la propria vita …

Intesa così l’affermazione di Gesù è da gustare come evento di salvezza e di gioia.

Questa comprensione è confermata dalle due piccole parabole di Luca. Chi vuole costruire calcola prima la spesa e valuta bene se ha i soldi necessari. Un re prima di dichiarare guerra a un altro re confronta prima quali forze sono in grado di mettere in campo. Anche una super potenza può perdere la guerra e la faccia. Occorre verificare la fattibilità degli obiettivi. La vita nostra e della comunità cristiana è per il Signore. Se ciò che facciamo non è per il Signore, perdiamo tutto, perché Dio realizza il disegno e come vuole e non fa la nostra volontà anche se a noi sembra buona. Anche Gesù ha salvato se stesso e noi facendo la volontà del Padre.

o       apre il cuore dei fedeli a rendere grazie per gli eventi mirabili compiuti da Dio.

Chi gusta la parola di Dio, lo ringrazia della creazione, della redenzione, della santificazione e della glorificazione. La vita è limitata nelle sue singole fasi, ma è mirabile nel ciclo completo, quando Dio porterà a termine quello che ha iniziato.

o       alimenta la fede, perché sotto l’azione dello Spirito santo si fa sacramento.

L’eucaristia si avvera dopo la liturgia della parola e agisce portando a frutto la parola che Dio dice. Per questo dobbiamo imparare a conoscere la parola anche nello studio e nella catechesi, che la presentano più estesamente e nel dialogo.

o       prepara a una fruttuosa comunione. Con Gesù che è Parola e pane, non l’uno senza l’altro. Con i commensali, che nella parola e nel pane diventano un solo corpo.

o       esorta a assumersi gli impegni della vita cristiana. La parola e il pane nutrono ed esprimono la vita divina dei figli che Dio chiama a sedere a mensa nella sua casa.

Il tema dell’omelia di oggi è amare Dio e il suo disegno prima e più di tutte le altre realtà della vita, gustare la comunione con Gesù e i fratelli e impegnarsi per il regno. Viviamo questi percorsi nella liturgia eucaristica e nella vita della settimana.

 

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ORDINARIO  24  C  2007

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Il cap.15 di Luca riporta tre parabole: la pecora smarrita, la moneta perduta e i due figli sbandati nella casa del padre. Ci poniamo quattro domande fra altre possibili.

o       Chi si mette in ricerca?  Il pastore cerca la pecora, la donna cerca la moneta. Non è possibile che la pecora cerchi il pastore o la moneta cerchi la donna. Il padre non va in cerca del figlio che si era allontano con l’eredità ma è il figlio che, dopo aver perso tutto, cerca il padre. In altre parole è colui che ha perduto che va in cerca. Nella nostra cultura si è imposta l’idea che sono i pastori, parroci e le comunità, che devono cercare chi si è allontanato dalla Chiesa. Ma sono i cristiani, i figli che conoscevano Dio come padre, che lo hanno abbandonato per seguire il mondo.

o       Che cosa è stato smarrito? Le parabole mettono in luce il bisogno primario.

Una pecora, una moneta, una eredità, in una economia povera, sono un capitale.

Ho visto persone piangere davanti a un vitello nato morto o a una grandinata.

La parabola dei due figli è più elaborata e quindi dice di più. Il figlio minore lascia la casa per realizzarsi e sperpera l’eredità per trovare felicità, ma le prostitute non danno felicità, perché non danno amore ma cercano il denaro. Il figlio minore non cerca il Padre per amore ma per non morire di fame. A smuoverlo non è una conversione spirituale ma il ricordo che nella casa paterna anche i salariati mangiano a sazietà. Solo quando arriva scopre che il padre lo abbraccia e fa grande festa per lui. La parabola mette in centro e in bella luce la casa e l’amore del Padre.

o       Una comunità cristiana come salva chi si allontana?

Diventa una casa piena di amore, dove abbondano le cose vitali che gli uomini cercano, una casa come la casa del Padre. I due figli non si erano accorti dell’amore che il padre aveva per loro, ma l’amore c’era. Ventidue anni fa ho fatto con il Signore questo patto: non andrò a suonar campanelli, non cercherò di essere simpatico, ma restaurerò la tua casa, farò in modo che diventi comunità come il Concilio la vuole, in modo che quelli che l’abbandonano si ricordino di essa quando restano delusi del mondo e che, quando ritornano, vi respirino gioia e festa.

Una catechesi autorevole, una liturgia autentica, una carità che esprime fraternità e solidarietà sono i percorsi di vita con cui abbiamo cercato di divenire comunità cristiana secondo il Concilio. Abbiamo valorizzato i Consigli parrocchiali e le collaborazioni possibili, puntando su una crescita di qualità che richiede i tempi lunghi e il superamento di tanti ostacoli. Abbiamo conosciuto persone che non accettavano di stare al loro ruolo, che non volevano la catechesi di preparazione ai sacramenti e le modalità della celebrazione, che cercavano uno spazio per sé. Abbiamo conosciuto critiche e le sponde alternative di chi seguiva le tradizioni.

Abbiamo incontrato persone che hanno abbracciato la nuova evangelizzazione lanciata dal Magistero alla luce del Concilio e si sono resi autorevoli nel servizio.

Sono una minoranza, ma è la minoranza che rende possibile il cambiamento.

o       Qual’è la scommessa della missione nel tempo in cui viviamo?

Venerdì iniziano il ritiro per avviare l’anno pastorale 2007-2008. Impareremo da alcune cose che Paolo ha scritto ai cristiani di Filippi come cammina una comunità che vuole essere una casa dove si incontra l’amore divino, che attira e dona gioia.

Nel nuovo anno pastorale continueremo il cammino di minoranza, perché i lontani, ritornando trovino una comunità che riflette l’amore divino, come la casa del Padre.

Affido questo impegno alla preghiera e alla collaborazione dei discepoli di Gesù.

 

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ORDINARIO  25  C  2007

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Non è facile commentare il brano di Luca che abbiamo proclamato e tradurlo nella vita attuale della Chiesa. Contiene una parabola e questo breve commento: i figli di questo mondo, nella loro generazione, sono più scaltri dei figli della luce. Gesù invita i discepoli a farsi intraprendenti, a prendere tutte le iniziative per la salvezza.

o       Iniziamo un anno pastorale: la parola ci invita a farne un tempo importante per la salvezza delle persone e della comunità. Nell’aula battesimale ci sono due segni:

la vasca in pietra contiene l’acqua in cui ogni persona viene battezzata singolarmente: la chiamata e il battesimo inseriscono la singola persona in Cristo.

l’icona della pentecoste: rappresenta la comunità del Risorto che riceve insieme lo Spirito santo. In ognuno si posa la fiamma di fuoco ma è lo Spirito è uno ed è la comunità a essere battezzata nello Spirito. C’è un battesimo di acqua per la persona e un battesimo dello Spirito per la comunità, perché sia la comunità del Risorto.

Dopo essere stati discepoli/battezzati ricevono un dono speciale, una nuova consacrazione da Dio, che dà l’identità di comunità del Risorto, luce nel mondo. Domenica prossima il vescovo imporrà le mani per conferire il dono speciale dello Spirito santo a un gruppo dei nostri giovani. Questi giovani, che sono battezzati e discepoli, entrano a fare parte della comunità e vivono quella consacrazione che è accaduta nella prima pentecoste. La pentecoste continua, perché Gesù continua a riunire discepoli, a formarli e poi a riunirli nella comunità consacrata dallo Spirito santo che ha la forza di testimoniare il vangelo nel mondo come comunità.

Questo dono, ci dice la parola oggi, è da utilizzare con convinzione e scaltrezza.

Nelle nostre comunità la cresima è utilizzata in maniera minima: i cresimati, i padrini, le famiglie, la comunità stessa tradiscono presto la causa per cui sono stati consacrati o non conoscono neppure che la cresima li consacra alla causa di Cristo.

Molti ritengono che la cresima sia un dono per la persona, come il battesimo, solo che viene rinnovato in età adulta quando si è capaci di rendere testimonianza.

La cresima invece dà un’altra identità: essere la comunità del Risorto.

In fondo possiamo dire che noi non conosciamo abbastanza la comunità cristiana.

o       Il vangelo oggi contiene anche quattro massime che spostano l’attenzione sul problema dell’uso dei beni. La parabola parla di un padrone e un amministratore. Chi sono? Si è detto che il padrone è Dio, ma non è così. Dio non ha beni per sé, non ne ha bisogno. Il padrone dei beni sono tutti gli uomini, perché tutti ne hanno bisogno e nessuno può vivere senza. L’idea è questa: i beni non appartengono alle singole persone ma a tutti. I singoli uomini sono amministratori dei beni di tutti. Neppure la sinistra più radicale ha una concezione così netta della proprietà dei beni. Il vangelo però non è radicale ma fa dell’amministratore, una persona che deve trovare i modi di gestire i beni secondo il vangelo e rendere conto a Dio.

Chi amministra lo deve fare in modo fedele al vangelo. Come lo ha fatto Gesù? Egli era figlio di operaio e operaio, non era indigente,  mangiava con i peccatori, con le folle e con la sua comunità ma raccoglieva gli avanzi e destinava una parte ai poveri, perché era giusto e riconosceva il loro diritto sui beni che amministrava, accettava poi di essere assistito dalle donne che lo seguivano senza imbarazzo.

Mai sfruttava i poveri per possedere, come ai tempi dei profeta Osea e anche oggi.

Sentiamo la responsabilità di essere amministratori di beni che sono proprietà di tutti. Seguiamo l’esempio di Gesù che era libero di fronte ai beni ed anche giusto.

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ANNIVERSARIO DEDICAZIONE DELLA CHIESA  2007

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Questa domenica celebriamo tre eventi. Li enumero in ordine di tempo: 22 anni fa il mio ingresso in parrocchia come parroco; inizio di un cammino fatto insieme, abbastanza lungo e significativo per parlarne con il Signore. Sarebbe bello anche parlarne tra di noi, perché è un evento ecclesiale, mio ma anche della comunità.

10 anni fa la consacrazione di questa chiesa al termine del lavoro di restauro, con la partecipazione di tante persone che con il lavoro hanno amato Dio e la comunità.

Ricordo che la chiesa è stata consacrata dal vescovo Alfredo e unta con il crisma.

Quattro croci in pietra e la candela accesa davanti ad esse segnano l’unzione. 

La mensa dell’altare poi è stata spalmata interamente con l’olio santo con cui si unge la fronte dei battezzati, dei cresimati e i ministri ordinati.

Comprendiamo che alla chiesa bisogna riservare venerazione e rispetto durante le liturgie ma anche quando preghiamo in solitudine. Gesù ha detto del suo tempio: è la casa del padre mio e la casa della preghiera. Vale ancora di più del tempio cristiano perché gli eventi che vengono celebrati in esso sono più grandi.

o       La prima lettura ci pone questa domanda: è proprio vero che Dio abita sulla terra?

Se la creazione non può contenere Dio, perché le creature non dispongono della creazione, può contenerlo un edificio? E’ evidente che la chiesa non è un luogo in cui Dio è prigioniero. E’ invece il luogo dove noi preghiamo Dio, il luogo della comunità a cui Dio guarda dalla sua dimora, che è più grande anche del tempio. Abbiamo cantato nel salmo responsoriale: rendiamo grazie a Dio nella sua dimora.

o       La lettera agli Efesini rivela che noi apparteniamo alla famiglia di Dio. Abbiamo appreso nel ritiro di inizio anno pastorale che i cristiani sono cittadini del vangelo.

Siamo un edifico composto da pietre viventi. Abbiamo come pietra di sostegno Cristo Gesù, gli apostoli e i profeti: non Cristo da solo, non gli apostoli e i profeti da soli, perché dove ci sono gli apostoli c’è Cristo e dov’è Cristo ci sono gli apostoli. Una comunità cristiana non vive senza l’apostolo. Egli però è chiamato e consacrato e inviato da Dio, non è scelto dalla comunità.

Siamo edificati in Gesù per diventare dimora di Dio e dobbiamo crescere ben ordinati secondo il carisma e il posto che Dio ci ha assegnato. La Chiesa dimora là dove tutti obbediscono a Dio, rappresentato dai pastori da lui inviati.

o       Il brano del vangelo è incentrato sulla domanda che Gesù stesso pone: Chi sono io?

Sono possibili due risposte. Una si fonda su quello che Gesù ha insegnato e fatto, e si esprime così: Gesù è profeta, e in particolare un profeta risuscitato del passato.

Quanti cristiani ancora oggi pensano a Gesù come a un profeta del passato!

La seconda risposta dice che Gesù è l’inviato di Dio, l’unto, il figlio suo unigenito, unico e insostituibile, il profeta di oggi, da ascoltare in quello che rivela e fa oggi.

Conosciamo Gesù così solo se il Padre ce lo rivela dentro il cammino di Chiesa. Egli ce lo rivela attraverso i pastori che Gesù ci ha inviato e a cui ha manifestato tutto quello che il Padre ha manifestato a lui. C’è una circolarità: il Padre a Gesù, Gesù ai pastori che chiama amici e questi al popolo. Gesù edifica la sua Chiesa sui pastori che invia e consacra. Come il Padre ha mandato me, così io mando voi.

Essi hanno le chiavi: aprono e chiudono, sciolgono e legano e i cieli confermano.

Recuperiamo la gioia di professare e praticare questa fede: una fede ecclesiale.

Gesù dice che chi riceve questa rivelazione  è beato. Le cose belle del mondo finiscono nel sepolcro mentre Gesù è vita eterna per quelli che credono in lui.

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ORDINARIO  28  C  2007

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Per inserire il messaggio del brano di Luca che abbiamo ascoltato nel contesto religioso del nostro tempo, precisiamo il senso di lebbra, obbedienza, riconoscenza.

o       La lebbra è una malattia che dissolve progressivamente il corpo e isola le persone dalla vita civile e religiosa. Allora il contesto civile e religioso si confondevano.

Che cosa corrisponde alla lebbra nel nostro contesto? L’ateismo nei vari modi in cui si manifesta nella vita quotidiana: non fare più riferimento a Dio ma vivere come se Dio non esistesse o non centrasse con le nostre scelte, affermare la nostra autonomia da Dio. L’ateismo distrugge progressivamente quello che l’iniziazione cristiana ha costruito sia nella fede sia nella carità, isola i cristiani dalla comunità del Risorto, anche se continuano a tenere gli agganci con le feste e le tradizioni.

Invece che seguire Cristo lo sostituiamo con la religione civile e l’attaccamento ai riti della tradizione; trascuriamo l’amore a Gesù che rende capaci di mantenerci fedeli alla sua spiritualità. Egli ci vuole guarire dalla lebbra del nostro tempo e ci indica il percorso fatto dal lebbroso, straniero rispetto alla religione ebraica.

o       L’obbedienza non è più una virtù per la maggioranza delle persone, già quando escono dall’adolescenza. Accade una cosa strana: i genitori obbediscono ai figli e i preti obbediscono agli umori dei loro parrocchiani. Questo stile viene chiamato buonismo; si cerca di accontentare per mantenere le relazioni, si accettano i nuovi costumi sociali, come il divorzio e la convivenza, come cose normali.

o       Gesù ordina ai 10 lebbrosi di presentarsi ai sacerdoti per certificare la loro guarigione e essi guariscono mentre vanno dai sacerdoti, cioè mentre obbediscono.

Tutti i segni di Dio richiedono la fede, cioè l’affidarsi e quindi l’obbedire a Dio e tutti gli eventi salvifici della vita di Gesù e di Maria avvengono sotto l’obbedienza.

Non è possibile che il mondo si sollevi dal peccato e diventi nuova creazione se non viene trasformato dalla parola e dalla grazia di Dio. Per questo motivo tutta la vita cristiana e tutte le relazioni ecclesiali devono misurarsi con l’obbedienza.

Nell’annuncio di oggi scrivo come una comunità arriva a fare la volontà di Dio.

Se una persona o un gruppo non accettano di cercare la verità insieme con gli altri, nella collegialità ecclesiale, sono a servizio delle idee umane e non del vangelo.

o       La riconoscenza è l’anima della liturgia cristiana. La preghiera più bella della Chiesa si chiama eucaristia, cioè azione di grazie. Ogni domenica esprimiamo la fede in Dio, che ci ha raggiunti nella parola e nell’azione di Gesù, ringraziando e ogni volta che rendiamo grazie, Gesù ci dice: alzati e va; la tua fede ti ha salvato.

La riconoscenza è un sentimento che nasce spontaneo quando le relazioni sono belle e profonde. Nella vita cristiana però è un sentire raro. Gesù ha raggiunto il 10%, un lebbroso su dieci lo ha ringraziato ed per giunta era uno straniero.

E’ più facile trovare e esprimere riconoscenza nella cose umane che nella religione.

Noi educhiamo i bambini a dire grazie, ma quasi sempre si tratta di cose materiali. Ricordo ancora una frase che ho letto in una fabbrica a Vittorio V., quando seguivo gli operai: non fare del bene se non hai la forza di superare l’ingratitudine.

A sentire ed esprimere riconoscenza bisogna che ci educhiamo, imparando ad apprezzare tutte le cose belle che Dio ci dona attraverso le persone. Impariamo a non negarle solo perché accade, a ragione o a torto, una cosa che non ci va. Siamo malati di lebbra, siamo atei che non vedono i segni di amore di cui Dio ci circonda. Chiediamo di essere guariti, impariamo ad obbedire e siamo riconoscenti.

 

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ORDINARIO  29  C  2007

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La preghiera mette in comunione l’umano con il divino. E’ difficile presentare il divino mediante l’umano e quindi anche rendere attuali le parabole di Gesù.

o       Dio è come il giudice? Il giudice non teme Dio e non rispetta l’uomo ed è quindi empio e iniquo. Egli tuttavia fa giustizia alla vedova, perché con la sua insistenza gli dava molestia e lo tormentava in quanto lo screditava nella sua funzione.

Es 32 scrive che Dio interviene a favore dei suoi fedeli per difendere il proprio onore in quanto si è esposto a loro favore. Se non ascoltava la preghiera appariva che aveva fatto uscire Israele dall’Egitto con malizia, per disperderli dalla terra.

La preghiera può sfruttare il fatto che Dio si è già esposto per noi nella storia della salvezza, che Gesù è morto per noi. L’uomo ha crocifisso Gesù come empio ma il crocifisso ci dà il diritto di essere perdonati ed ascoltati. L’amore divino è mirabile.

o       La preghiera è una richiesta insistente a Dio come quella della vedova? Dio sa già di che cosa abbiamo bisogno ed è già padre e quindi provvidenza per l’uomo.

La comunità cristiana vive sempre in una condizione di debolezza e di fragilità come la vedova, non ha garanzie di tipo economico, sociale e politico. Anche se le ha non le servono anzi la disturbano, perché solo Dio può costruire il regno.

La preghiera della comunità deve durare finché è nelle condizioni di fragilità e di povertà, cioè per sempre. E’ insistente non perché Dio la ascolti ma perché il suo bisogno è insistente nella sua condizione di essere realtà divina vivente nell’umano.

Mosè sul monte rappresenta bene questa condizione della preghiera: le sue mani devono rimanere alzate e ferme finché dura la condizione della battaglia, in cui Israele ha bisogno di essere sostenuta nella sua povertà e fragilità.

Se una comunità cristiana non prega così significa che è presuntuosa, che non attende da Dio ma confida in se stessa e nelle sue forze, e allora piovono le divisioni e le sconfitte. La preghiera vale non per le parole che la compongono ma per la situazione che esprime, l’umiltà di chi confida in Dio e si rivolge a lui.

o       Come interpretare il silenzio di Dio, che sembra non ascoltare la nostra preghiera?

Sembra che Dio tardi a far giustizia dei suoi eletti nonostante lo invochino giorno e notte. Gesù afferma che Dio farà giustizia di loro in fretta. Questa espressione ci invita a vivere la situazione presente all’interno del dispiegarsi della salvezza.

Dio ha ascoltato la preghiera drammatica di Gesù dell’orto degli ulivi. La lettera agli ebrei dice che Gesù fu ascoltato per la sua pietà. A noi appare che Dio non ha allontanato da Gesù il calice della passione ma è stato in un silenzio. Gesù lo esprime nel lamento: Dio mio, perché mi hai abbandonato? Il silenzio di Dio esprime la fretta di Dio. Le comunità cristiane delle origini vivevano la condizione di attesa della venuta del Risorto erano in sintonia con la fretta di Dio.

Per noi fretta vuol dire subito, perché abbiamo poco tempo; per Dio vuol dire far si che il Regno venga attraverso la passione. E’ vero che sono passati venti secoli e il Risorto non è ancora venuto ma è anche vero che agli occhi di Dio cento secoli sono come  un giorno solo, un giorno breve in cui l’erba che nasce e disseca. La preghiera deve rispecchiare la sensazione di povertà e fragilità di chi vive nel tempo e includere l’eternità che è imminente.

Gli uomini presumono di dominare il tempo ma essi nascono e muoiono mentre il tempo rimane nelle mani di Dio, finché egli lo vuole. La preghiera ha tre qualità:

- trova sempre ascolto, perché Dio è già impegnato in quello che chiediamo.

- è continua perché deve coprire la nostra condizione di fragilità e povertà.

- viene fatta nel tempo ma si colloca nella fretta di Dio di inaugurare il suo regno.

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ORDINARIO  30  C  2007

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Gesù ci insegna a pregare mettendo a confronto la preghiera di un giusto e quella di un peccatore. Il giusto nella preghiera si confronta con i peccatori. Ringrazia Dio perché ritiene che l’esser giusto è frutto del suo impegno ma è anche dono di Dio. Il contenuto della preghiera è buono, perché è sincero e perché essere giusti e ringraziare il Signore è lodevole. Il peccatore invece nella preghiera si confronta con Dio. Riconosce di essere peccatore con la postura del corpo, il battersi il petto e con le parole: o Dio, sii benevolo a me peccatore. Il contenuto è sincero e notevole.

o       Le due preghiere hanno un esito diverso. Il peccatore viene giustificato da Dio.

Scese costui giustificato alla sua casa. Dio accoglie l’orante nella sua giustizia, lo chiama a far parte del suo disegno, lo salva e lo fa strumento di salvezza per altri.

Il giusto non viene reso giusto da Dio ma rimane nella sua giustizia terrena.

Per essere giustificati occorre riconoscere che abbiamo bisogno dell’amore di Dio.

o       La due preghiere manifestano una prospettiva diversa. Il giusto si confronta con gli uomini e in particolare con i peccatori. E’ naturale per lui notare la differenza e dire di essere migliore, cioè esaltare se stesso. Se confrontasse la sua vita con quella di Dio, noterebbe di essere ancora peccatore, di aver tanta strada da fare prima di essere santo come lo è Dio e chiederebbe a Dio di essere benevolo con lui. Dio non ascolta la preghiera del giusto perché non è consapevole di essere lontano da lui.

Il peccatore invece si confronta con Dio e non con gli uomini. C’erano senz’altro altri peccatori peggiori di lui e avrebbe potuto anch’egli ringraziare il Signore di non essere peccatore come loro. Egli invece avverte e rispetta la distanza dal Santo.

o       La parabola insegna che la preghiera non dipende solo dal suo contenuto, cioè da quello che dice e dal come lo dice, ma dal riconoscere la verità, che siamo lontani da Dio e bisognosi di lui per partecipare alla sua santità e vivere nel suo amore.

Per pregare in modo da essere giustificati è importante conoscere la parola di Dio che fa ardere i cuori, curare l’autenticità delle celebrazioni liturgiche e l’arte della acclamazione, del suono e del canto. E’ necessario che l’assemblea partecipi alla preghiera con consapevolezza e autorevolezza, perché a Dio non si offrono cose scarse o improvvisate. Come un coro fa le prove per essere allenato e aggiornato alle feste che vengono celebrate, così deve imparare a fare anche l’assemblea. Dio merita che veniamo in chiesa un quarto d’ora prima e prepariamo la celebrazione.

Ma essenziale per la preghiera è confrontarci con Dio e non con gli uomini e presentare la nostra offerta all’altare senza divisioni, nella comunione ecclesiale. C’è per noi il pericolo di costruire una casa-liturgia bella ma senza fondamenta.

o       Maria è una bella testimone della preghiera cristiana. Devozione a Maria significa ammirare Maria in preghiera, imparare a pregare come lei pregava. Maria non ripeteva formule a memoria ma meditava nel suo cuore in modo prolungato la parola di Dio e gli eventi della salvezza: Maria serbava questi eventi nel suo cuore, considerandoli. Il verbo greco sum-ballw significa gettare insieme, come i nostri vecchi sballottavano la crema del latte per estrarre il burro, significa maturare nella preghiera con le parole e gli eventi della salvezza, cioè pregare davanti a Dio.

Il Magnificat è esempio luminoso della preghiera di Maria davanti al Signore, per raccontare le sue opere contro i superbi, i potenti e i ricchi e contro i loro disegni, per cantare la sua misericordia e la sua fedeltà alle promesse. Altra cosa dalle nostre preghiere, quando ci mettiamo a confronto tra noi, noi e la nostra giustizia.

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TUTTI I SANTI  2007

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Iniziamo il nostro ascolto della parola da questa affermazione di 1Gv 3,2: Amati, ora siamo figli di Dio e non apparve ancora cosa saremo. La scrittura non rivela come saremo figli dopo la morte nostra e del mondo: il futuro non lo possiamo sperimentare, e quindi conoscere, ma solo sperare partendo dalle promesse di Dio, dagli eventi della salvezza e da come la Chiesa ha creduto e sperato fino ad ora. Non diamo alla meditazione che stiamo facendo un carattere di verità rivelata.

Meditiamo con il sensus ecclesiae, la fede militante della Chiesa, che risponde alle domande della vita. Nella celebrazione dei santi/defunti ci facciamo tre domande.

o       Quale legame c’è tra i vivi o defunti? La festa dei santi si interseca con la liturgia dei defunti che oggi celebriamo in cimitero. Ogni eucaristia unisce la memoria di Cristo, dei vivi e dei defunti. La Chiesa celebra il fatto che Gesù e Maria sono in cielo con il loro corpo come un privilegio; ritiene quindi che tutti gli altri, vivi e defunti, santi e peccatori, siamo in attesa della risurrezione dei nostri corpi e della creazione. La Chiesa chiama  sia inferi sia cielo le condizioni di vita dei defunti.

Noi chiamiamo “inferi” il modo di essere  e di vivere di chi attende la risurrezione.

Il credo proclama che Gesù è stato posto nel sepolcro ed è disceso agli inferi.

Gesù, che è presente in mezzo a noi fino alla fine dei tempi, è presente anche negli inferi fino alla risurrezione, perché siamo tutti membra del suo corpo e tutti insieme formiamo la Chiesa, la sua sposa. Noi viviamo, nella nostra dimensione terrestre, la stessa vita in Cristo che i defunti  vivono negli inferi: siamo Chiese sorelle, legate con legami vitali perché il Cristo vive nella Chiesa terrestre e in quella degli inferi.

o       Qual è la vita dei defunti negli inferi? Vivono l’amore di Dio e del prossimo come noi e negli stessi percorsi ecclesiali: l’ascolto della parola, la celebrazione liturgica e la carità ecclesiale; perché è in questi percorsi che lo Spirito santo prende quello che è di Gesù e lo fa vivere. La prima lettura riporta una liturgia solenne dei defunti, celebrata dalla folla immensa radunata in preghiera davanti all’Agnello. L’assemblea dei defunti segue i percorsi ecclesiali che facciamo noi in terra. L’eucaristia nutre quelli che sono in Cristo e fa di  tutti, anche dei defunti, l’unico corpo di Cristo. Le litanie dei santi esprimono la comunione che regna tra i santi.

Guariscono dalle ferite lasciate dal peccato e crescono nell’amore mentre attendono la risurrezione. Ecco perché la Chiesa fa memoria dei defunti, esorta i cristiani ad offrire il sacrificio eucaristico per loro ed essi intercedono per noi.

o       Chi sono i santi, sia quelli che vivono nella terra e sia quelli degli inferi? 

Quelli che vestono le beatitudini. La Chiesa le proclama nella liturgia, sia dei santi sia dei defunti, per dire che vivi e defunti condividono questa identità.

Beata è la vita di Dio, che è libero dagli affanni e dai condizionamenti della terra. Beata è la vita degli eredi del Regno, quando vivono liberi dal mondo e in attesa.

La beatitudine è la veste dei poveri in spirito. Essi sono piccoli, mendicanti, senza casa e senza diritti, consapevoli di non essere padroni di nessuno e di nulla, anche quando possiedano le cose necessarie alla vita. Su questa prima beatitudine si radicano le altre, perché solo chi è povero e umile davanti a Dio e al prossimo è capace di cercare la giustizia, di seminare la pace, di perdonare, di essere misericordioso, mite e puro di cuore e fedele nella persecuzione, a causa di Gesù.

Oggi e domani viviamo la comunione profonda tra tutti coloro che sono in Cristo e impegnati per un mondo migliore in attesa che ci sia donato da Dio nella gloria.

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ORDINARIO  31  C   2007

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Gesù entra a Gerico, un posto di dogana tra la valle del Giordano e la Giudea, e la attraversa. Incontra Zaccheo, che era capo dei doganieri ed era ricco ed era odiato da tutti per il suo lavoro, e si invita in casa sua, dove è accolto con gioia.

Tutti mormoravano contro Gesù, perché aveva scelto di dimorare da un peccatore. A conclusione dell’incontro Gesù dice: oggi è avvenuta la salvezza a questa casa.

La nostra meditazione parte da qui, dalla domanda che Gesù pone circa la salvezza. Come avviene oggi la salvezza alla nostra casa? Sottolineiamo tre risposte.

Partiamo con il constatare che quello che facciamo per la salvezza è  poco.

o       Non basta incontrare Gesù. Luca nel capitolo precedente racconta di un capo che aveva osservato i comandamenti fin dalla sua giovinezza e che chiede a Gesù: dopo aver fatto che cosa erediterò la vita eterna? Gesù lo chiama a seguirlo, dopo aver distribuito tutte le sue cose ai poveri, perché l’osservanza della legge non basta.

Il notabile non lo segue e rimane, molto ricco e molto triste, lontano dalla salvezza. Per essere giustificati bisogna abbandonare la sicurezza che abbiamo sul cammino che facciamo, che spesso è un cammino secondo le tradizioni e chiuso allo Spirito.

Come può essere salvato chi non sente il bisogno e l’urgenza di cambiare?

o       Non basta vedere Gesù, anche se a volte può costare molto, come a Zaccheo.

Tante persone hanno visto Gesù ma si sono fermate al suo agire umano e non hanno conosciuto la sua anima, la sua sete missionaria, il suo amore che salva.

Gesù invece vede Zaccheo con altri occhi. Conosce che è amato dal Padre, lo ama e con la sua parola riscalda il suo cuore e lo rende sicuro nella conversione.

Gesù dice a Zaccheo: oggi per me è necessario rimanere nella tua casa.

Vuole dire: per me che sono mandato dal Padre a salvare i peccatori.

Nessuno va a Gesù se il Padre non lo attira a lui o non lo mette nelle sue mani.

La giustizia del pubblicano in preghiera non è sufficiente perché Dio lo giustifichi.

La salvezza si trova oltre la nostra giustizia ed anche oltre il nostro peccato, nell’amore di Dio che ci salva in Gesù, che viene a incontraci per salvarci.

Dio, quando chiama qualcuno per nome, gli indica con chiarezza che cosa fare.

Zaccheo deve accogliere nella sua casa Gesù e condividere la mensa con lui e i suoi beni materiali con i poveri, a cui Gesù è mandato per introdurli nella casa di Dio.

Zaccheo dispone di restituire quattro volte tanto a chi avesse derubato e di dare metà dei suoi beni ai poveri. Non dona tutti i suoi averi e non segue Gesù ma la salvezza opera in lui, perché diventa povero in spirito, secondo la beatitudine.

Noi siamo chiamati per nome nel battesimo. Il nome nuovo con cui Dio ci chiama indica che siamo diversi da chi cerca la sua identità nella fedeltà alla legge, nell’onestà e nella giustizia umana, perché noi siamo chiamati a vivere per Dio.

Se noi crediamo di essere salvati perché siamo onesti, siamo lontani dalla salvezza.

Dio può realizzare il nome nuovo solo in coloro che lasciano il nome vecchio.

o       Non basta quello che abbiamo vissuto fino a ieri, dobbiamo compiere l’oggi di Dio.

Oggi vi è nato il Salvatore; oggi sarai con me in paradiso; oggi la salvezza è avvenuta a questa casa. La salvezza si realizza quando Dio ci incontra e ci parla.

Occorre sentire l’oggi di Dio, come il tempo di cui la nostra salvezza ha bisogno.

Occorre cercare  sempre, perché siamo tentati di soffocare le domande sul senso della nostra vita. I cristiani sono chiamati a volare alto, sopra tante scelte che fanno i nostri contemporanei. Preghiamo perché la salvezza oggi venga alla nostra casa.

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ORDINARIO  32  C  2007

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Nei giorni scorsi abbiamo meditato sulle condizioni di vita dei defunti. Abbiamo detto che non abitano luoghi distinti ma sono nella stessa attesa della risurrezione. Questa attesa è per tutti purificazione dalle ferite del peccato proprie e dell’umanità e crescita della loro vita in Cristo e quindi della santità in loro e nella Chiesa.

o       Il vangelo proclamato oggi ci propone una rivelazione alta sulla risurrezione. catechesi

I sadducei erano un gruppo religioso con legami forti con la politica. Ai sadducei appartenevano i sacerdoti di alto rango, le famiglie benestanti e conservatrici, le persone contrarie ad ogni cambiamento delle tradizioni, legati alle istituzioni e al potere e quindi conniventi con l’autorità romana. Erano i nemici più pericolosi di Gesù, quelli che hanno deciso la sua morte. Oggi li chiameremo atei-devoti, non credenti alleati al potere religioso. I sadducei presentano a Gesù il caso di una donna che nella vita terrena era stata moglie di sette fratelli e gli chiedono di chi sarà moglie dopo la risurrezione. Hanno l’intenzione di mettere in ridicolo chi crede nella vita oltre la morte, i farisei e Gesù. Gesù risponde che la vita eterna non è una fotocopia di quella terrestre. Il mondo che nasce dalla risurrezione è nuovo e non può essere descritto con parole e immagini umane, ma può essere accolto solo nella fede nella parola di Dio. Gesù poi propone alcune cose alla nostra fede.

o       Gesù parla di coloro che sono giudicati degni del mondo che segue la risurrezione. Dice che i risorti sono e vivono in modo diverso da chi vive nella vita terrena.

Sono figli di Dio, perché sono figli della risurrezione.

I figli di Dio su questa terra sono coloro a cui il Signore ha rivolto la parola e che hanno creduto e vivono nella comunità ecclesiale il cammino terreno di Gesù, la crescita in sapienza e grazia nelle condizioni possibili sulla terra e nel loro tempo.

Sono anche i defunti che vivono secondo la loro santità in attesa della risurrezione.

Questi figli di Dio mancano tutti di qualcosa che non appartiene alla terra ma che attendono da Dio. Quando ha risuscitato Gesù Dio gli ha detto: Mio figlio sei tu, io oggi ti ho generato. Anche a Maria, risuscitandola ha detto: mia figlia sei tu, io oggi ti ho generato. Speriamo che un giorno Dio dica anche a noi le stesse parole.  Maria risorta è diversa da Maria nella vita terrena e non possiamo pensarla e onorarla con la mentalità umana ma nella fede della pasqua e della risurrezione.

La risurrezione non è un passaggio semplice da questa terra al cielo ma è una nuova generazione: essere generati dall’alto come ha detto Gesù a Nicodemo.

Vivi e defunti siamo figli di Dio, ma attendiamo di essere figli della risurrezione.

Sono come gli angeli. Sappiamo alcune cose fatte dagli angeli ma non come sono.

Gesù rivela una caratteristica della vita degli angeli: gli angeli non muoiono.

La risurrezione introduce in una nuova creazione in cui i risorti non muoiono.

Se non c’è la morte non è necessaria neppure la procreazione. La sponsalità troverà nuova collocazione nella sponsalità di Cristo e della Chiesa. E la virginità per il regno diventerà virginità nel regno, una partecipazione alla verginità di Gesù e di Maria risorti, che in terra non conosciamo ma che sarà cosa buona, bellezza.

Sono liberi dal peccato. 1Gv 3,9 rivela che: chiunque è generato da Dio non pecca, perché il  seme di Dio rimane in lui, e non può peccare, perché è generato da Dio. Abbiamo difficoltà ad applicare questa verità agli uomini nelle loro vita terrestre, perché i figli di Dio su questa terra possono peccare e perdersi. Ma la applichiamo ai figli che sono generati da Dio nella risurrezione: non peccano più.

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ORDINARIO  33  C  2007

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Il mese di novembre è tempo di meditazione sulla vita dei santi, dei defunti e sulla vita terrena. Oggi il vangelo ci dice quale consistenza ha il tempo presente.

o       L’occasione è una visita al tempio di Gerusalemme, una bella opera costruita circa 100 anni prima: grande per la bellezza dei materiali, per l’arte e perché casa di Dio e simbolo del popolo alleato con Dio, il cuore della religione ebraica. Alcuni esprimono ammirazione e gioia per il tempio e quello che rappresenta: la fede di un popolo che custodisce una bella casa per il suo Dio, il luogo dell’incontro con lui, dove celebra la memoria degli eventi di salvezza, storia e gioia di Israele.

o       Anche noi abbiamo restaurato con gioia questa chiesa che abbiamo ereditato da coloro che ci hanno preceduto e ci hanno lasciato segni belli della loro fede: il presbiterio e la cappella dell’eucaristia. Gesù gode quando va nel tempio, lo difende da ogni cosa, anche utile al culto, che rende profano un luogo che egli ama come la casa del Padre suo e della preghiera. In questa occasione Gesù rivela un altro aspetto della verità: Bello! ma verranno giorni in cui di queste cose che vedete non  resterà pietra su pietra. Sono cose provvisorie e non la realtà definitiva.

Questa rivelazione riguarda il tempio ed ogni realtà bella delle religioni.

La religione sulla terra ha i giorni contati; non è un assoluto o un immutabile.

o       Partendo dalla rivelazione sulle realtà temporali Gesù sviluppa due esortazioni.

Non state ingannati. Oggi è facile allontanarsi dalla fedeltà e vivere da ingannati.

Verranno a nome mio ad annunciarvi un vangelo nuovo. Ci sono nella Chiesa alcune voci, anche autorevoli,  e alcuni luoghi che non rappresentano il vangelo.

Anche Paolo mette in guardia dai vangeli diversi da quello predicato da lui.

La lotta è tra le tradizioni e i cambiamenti. Le tradizioni imbrigliano la parola di Dio, perché rappresentano l’incarnazione della parola legata a un tempo e una cultura e non le permettendo di essere contemporanea e viva per l’uomo.

I cambiamenti invece sono segno della fedeltà alla parola che Dio ci rivolge mentre camminiamo incontro a lui, perché egli viene dentro una storia e una cultura che cambiamo continuamente. La gente vive come fosse nel tempo della cristianità e ascolta quello che viene detto dai mezzi di comunicazione sociale come fossero una nuova cattedra religiosa. La Chiesa parlava delle cose di Dio e degli uomini e, spesso invadendo i campi culturali laici, culturali, sociali e politici. Oggi i mezzi di comunicazione invadono il campo teologico e ecclesiale senza averne competenza.

E la gente che non conosce la parola viva vive ingannata pensando di credere.

Non state spaventati. La storia è sempre attraversata da eventi grandiosi e tragici; oggi più di sempre perché li provoca l’uomo che adopera mezzi potentissimi.

E’ necessario che queste cose, che annunciano la fine del mondo e del tempo, avvengano ma non sono esse la fine perché prima c’è il lungo tempo della Chiesa. 

E’ il tempo delle persecuzioni. Esse vengono sia da fuori la Chiesa sia da dentro.

Quelle esterne provocano la testimonianza visibile e feconda del martirio,  quelle che vengono da dentro provocano lacerazioni delle relazioni fraterne e quindi tante sofferenze interne e scandalo agli occhi degli uomini: sono contro testimonianza. 

La catechesi scorsa: Vivete in modo degno da cittadini del vangelo di Cristo: che è vivere nell’unità, combattenti insieme e non spaventati dagli avversari. A voi infatti è donato il per Cristo, non solo il credere in lui ma anche il soffrire per lui.

Il tempo è un dono ma perché, inseriti in Cristo, viviamo da cittadini del vangelo.

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CRISTO RE  C  2007

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Gesù Cristo è il re dell’universo. La festa liturgica non ha ancora cento anni, però la Scrittura lo afferma con chiarezza. Dio si compiace di far abitare in Gesù tutta la pienezza. E lo fa in tre fasi. L’inno cristiano riportato da Paolo nella lettera ai colossesi afferma: Dio, creando le cose, le fonda in Cristo; Gesù è il primogenito dai morti, perché Dio ha pacificato per mezzo del suo sangue le cose della terra e del cielo. La regalità di Gesù dunque è scritta nella creazione e nella glorificazione.

o       La liturgia, scegliendo il vangelo della passione, mette in risalto che Gesù è re nella vita terrena. E’ questa regalità che rende possibile quella che Dio ha sognato quando ha creato il mondo e che realizza nella risurrezione. Ma Gesù in terra non appare re. Come lo è? Tutti quelli che sono attivi sotto la croce, i capi, i soldati e uno dei malfattori, sfidano Gesù a salvare se stesso. Questa sfida rimanda alle tentazioni, dove il diavolo sfida Gesù a pensare a sé: a mangiare, a essere glorificato dagli uomini e a possedere il mondo; rimanda alla presentazione di Gesù nella sinagoga di Nazaret dove egli smaschera i presenti che pensano: medico, cura te stesso, fa i miracoli qui e sarai riconosciuto; rimanda a Gesù di fronte a Pilato, che gli dice: parla perché posso liberarti o crocifiggerti.

Gesù è re perché rifiuta la tentazione e salva se stesso, in quanto salva la creazione.

o       La regalità di Cristo si manifesta nel donare la sua vita per tutte le creature che sono fondate in lui e sperano da lui, come il ladrone che muore accanto a lui.

Le persone per credergli gli chiedono il miracolo di scendere dalla croce.

Il miracolo che Gesù compie non è scendere dalla croce ma restare in croce.

Miracolo è questo: Dio ha fondato tutte le creature su Gesù per cui egli salva se stesso se salva tutte le creature; Dio preferisce i pastori alla gente per bene; Dio chiama ad essere collaboratori di Gesù semplici pescatori e perfino un pubblicano; Gesù condivide la mensa con i peccatori, si lascia baciare i piedi da una donna malfamata e condivide la morte con due briganti; fa questo per portare alla gloria.

o       Se tutte le cose sono fondate, glorificate e redente in Cristo, significa anche che tutte partecipano alla sua regalità. Israele e la Chiesa sono un popolo regale.

Noi che siamo nella condizione terrena partecipiamo alla regalità di Gesù se viviamo come Gesù è vissuto nella vita terrena, se salviamo noi stessi salvando tutti quelli che Dio ha fondato con noi in Cristo, attenti a preferire gli ultimi.

Non salviamo noi stessi se cerchiamo ricchezza, onore e potere, anche in piccolo.

o       Nelle Scritture non troviamo nessun accenno a Maria regina. La devozione invece usa molto questo titolo: le litanie del rosario, invocano Maria che è nella gloria. Dovremmo invece meditare sulla partecipazione di Maria alla regalità di Gesù.

Dio la ha creata immacolata e l’ha assunta nella gloria nel suo corpo. Ma Maria ha partecipato alla regalità nella vita terrena. Se mancasse questo passaggio il sogno di Dio non si sarebbe realizzato nella sua partecipazione attiva alla regalità di Gesù. Dio ha crea, redime e divinizza le cose in Gesù. Maria ha partecipato nello stile di Gesù: ha salvato se stessa donando la sua vita per tutte le creature che vivono in Gesù. Essa è vissuta obbediente al mirabile disegno che si è compiuto in Gesù  re.

La Chiesa del cielo ora attende di realizzare la piena regalità nella glorificazione. Noi celebriamo la regalità di Gesù vivendola in noi nella nostra vita terrena.

Siamo un popolo regale in quanto salviamo noi stessi donando la nostra vita per tutte le creature che attendono con noi la loro salvezza da Gesù re dell’universo.

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Pagina a cura del gruppo internet della Parrocchia dell'Annunciazione di Campolongo in Conegliano (TV)